“Nelle mie fiabe quando qualcuno compie un atto sbagliato viene punito, e non perdonato. Di solito la punizione si omette sempre ai più piccoli. Invece bisogna dire la verità: chi fa del male molto spesso deve pagare per quello che ha fatto. Vorrei che si dicesse ai bambini come stanno davvero le cose”. In occasione dell’uscita del libro “E tutte vissero felici e contente”, ilLibraio.it ha intervistato Emma Dante, attrice, drammaturga, regista e scrittrice. Nel dialogo spazio anche al ruolo delle donne in teatro (“Ci sono troppi registi uomini. Alcuni mediocri”) e alle preoccupazioni per il mondo dello spettacolo (“Bisogna solo aspettare. Non credo ci possano essere altre strade da percorrere attualmente, come quella del digitale”)

Attrice, drammaturga, regista e scrittrice: Emma Dante è uno dei nomi più noti e prestigiosi dell’ambiente teatrale (e non solo, visto che ha da poco presentato il suo secondo film, Le sorelle Macaluso, alla Mostra del cinema di Venezia).

Ma andiamo con ordine. Originaria di Palermo, Dante si è fatta conoscere dal grande pubblico grazie a spettacoli teatrali crudi, carnali e impetuosi. mPalermu, Carnezzeria, Verso Medea, La Scortecata, Bestie di scena, sono solo alcuni dei titoli più celebri, con i quali si è aggiudicata diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Scenario, il Premio Ubu (per due volte) e il Golden Graal come migliore regista.

I suoi testi parlano spesso di emarginazione e legami familiari, mettendo in scena poesia, corpi, grida, tensione e ironia: le drammaturgie riempiono la scena di fango, nudità e veemenza, creando un’atmosfera cupa e interiore, che però lascia sempre intravedere un po’ di luce.

Così sorprende – e positivamente – sapere che l’autrice, che ha anche vinto il premio Vittorini e il Super Vittorini 2009 con il suo romanzo d’esordio, via Castellana Bandiera (Rizzoli), da cui è stato tratto un omonimo film, ha pubblicato con La Nave di Teseo una raccolta di fiabe moderne: E tutte vissero felici e contente. Il volume, come ci racconta la stessa Dante, che abbiamo intervistato, raccoglie alcuni testi di spettacoli messi in scena in passato e ora presentati in forma di drammaturgia: didascalie e battute comprese (perfette per chi ha intenzione di cimentarsi con i propri figli in una performance della buonanotte memorabile).emma dante

Certo, si potrebbe pensare che un testo creato per il teatro possa perdere di efficacia trasposto sulla pagina, e invece è proprio qui che accade la svolta inaspettata: perché anche scritte, queste fiabe, conservano magia e forza comunicativa.

Parte del merito va riconosciuto alle meravigliose illustrazioni di Maria Costa, ma è soprattutto lo stile dell’autrice – colloquiale, umoristico, pungente –  a conferire alla lettura un ritmo leggero, esuberante e trasportato.

Per non parlare dell’uso della lingua. Come sa bene chi segue Emma Dante, prerogativa dei suoi scritti è il ricorso al siciliano. E infatti anche queste fiabe non sono da meno: “Ho riportato le storie della tradizione nel mio mondo e ho dato ai personaggi il mio modo di parlare. Volevo che si esprimessero in dialetto perché è una lingua di pancia, selvatica e gioiosa. Una lingua vera”.

Sembra strano coniugare verità e fiabe – che, per definizione, sono quanto di più lontano dalla realtà – ma invece è stata proprio la ricerca di autenticità a mettere in moto questo progetto di riscrittura. “Mi sono lasciata ispirare dai fratelli Grimm, da Andersen, ma anche da Collodi e Gianbattista Basile“, specifica l’autrice prima di spiegare i motivi che l’hanno spinta ad appassionarsi al materiale fiabesco. “Poi, però, mi sono distaccata dai grandi modelli. Desideravo ricostituire una nuova morale, non edulcorata, perché in fondo è la morale la funzione più importante di questi racconti“.

E quale sarebbe per lei? “Nelle mie fiabe, quando qualcuno compie un atto sbagliato viene punito, e non perdonato. Di solito la punizione si omette sempre ai più piccoli. Invece bisogna dire la verità: chi fa del male molto spesso deve pagare per quello che ha fatto. Vorrei che si dicesse ai bambini come stanno davvero le cose. Altrimenti è puro divertimento fine a se stesso”. E lei non si è divertita a riscrivere queste storie? “Certo che sì. Le due cose non devono escludersi”.

Infatti si sente, tra le pagine, questa voglia di divertirsi: si sente quando personaggi di fiabe diverse si incontrano inaspettatamente nel bosco (come se fosse un episodio crossover), quando scoprono Facebook, quando si depilano davanti a uno specchio magico, o quando volteggiano per la stanza intonando Gino Paoli.

e tutte vissero felici e contente

“Principalmente lo scopo del libro è far emergere punti di vista diversi da quelli tradizionali“. In effetti già il titolo lo anticipa, perché pone l’attenzione sulle vere protagoniste di queste fiabe, ovvero le donne. “Esatto. Di solito i principi fanno la loro apparizione all’ultimo minuto, si sposano con la principessa, e diventano gli eroi della situazione. Invece ho voluto restituire ai personaggi femminili una posizione centrale“.

E, facendo un passo fuori dal testo, riguardo al ruolo femminile nel mondo teatrale, un ambiente, come tanti, in cui le donne sono ancora in netta minoranza – soprattutto alla regia – cosa ci può dire? “Che mi dispiace moltissimo. Quando lavoro penso solo a lavorare, e non mi pongo problemi. Ma è vero, ci sono troppe poche donne in teatro, rispetto alla grande quantità di uomini. Alcuni anche mediocri“.

Il motivo, certamente, è culturale e sociale. Secondo Emma Dante addirittura narrativo: “Se guardiamo alle narrazioni originarie, l’uomo è rappresentato come l’avventuriero, il coraggioso e l’impavido. Le imprese delle donne invece sono sempre state abbastanza domestiche. Pensiamo all’Odissea: a Ulisse, che va in giro per il mondo, e a Penelope, che invece è costretta a restare a casa. Tutti considerano Ulisse come un grande, ma forse è proprio restare a casa il gesto più eroico che si possa compiere“.

L’affermazione è particolarmente significativa in questo periodo di reclusione forzata. Glielo facciamo notare e Dante sorride. Poi la voce torna immediatamente seria, ripensando alla situazione che ha colpito tutti, e in particolare i lavoratori dello spettacolo: “Sono molto preoccupata. Soprattutto perché non credo ci possano essere altre strade da percorrere attualmente, come quella del digitale. Il teatro è un’esperienza del qui e ora. È presenza“.

Forse però potrebbe essere l’occasione per aprirsi al cambiamento e magari sperimentare nuove modalità per arrivare al pubblico… “Io non credo. Il teatro è una delle istituzioni e delle esperienze più antiche del mondo. Sono sicura che non sarà un virus a scardinarlo”.

E quindi cosa fare? “Aspettare. Proprio come Penelope. Bisogna avere pazienza finché non potremo tornare a stare insieme. E intanto, se si può, fare progetti e sperare nel futuro. Hanno chiuso i teatri, è vero, ma i sogni non ce li possono togliere“.

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