Figlia di contadini veneti emigrati in Francia, Inès Cagnati (1937-2007) è autrice di tre romanzi e di un libro di racconti. Pur vincendo dei premi, ha sempre vissuto appartata dalla società letteraria. Una scrittrice che merita di essere (ri)scoperta, a partire da “Génie la matta”, che racconta la storia di un amore sconfinato, allo stesso tempo innocente e straziante, di una figlia (nata da una violenza) per una madre. Ma che è anche il ritratto di una società rurale spietata con chi è diverso e fugge le sue regole…

La madre di Marie si chiama Eugénie, ma tutti in paese la chiamano “Génie la matta”. Lavora dove può. Nei campi, nelle fattorie. Oppure cucina a matrimoni e battesimi, portando a casa lo stretto necessario per sopravvivere. Con lei c’è sempre la figlia, che le corre dietro con tutte le sue forze nella paura di perderla di vista, di venire abbandonata. “Non starmi tra i piedi”, le ripete la madre quando Marie le si avvicina troppo. E allora la bambina controvoglia si allontana, si tiene in disparte. E aspetta.

L’attesa e il silenzio sono la materia prima del romanzo Génie la matta di Inès Cagnati, pubblicato in Francia nel 1976 (vincitore del Prix de Deux Magots) e ora per la prima volta proposto in Italia da Adelphi, nella traduzione di Ena Marchi, a quindici anni dalla morte dell’autrice. Racconta la storia di un amore sconfinato, allo stesso tempo innocente e straziante, di una figlia per una madre. Ma è anche il ritratto di una società rurale spietata con chi è diverso e fugge le sue regole.

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Come accade in tutta la produzione di Cagnati (tre romanzi e una raccolta di racconti, tutti premiati), Génie la matta attinge ampiamente dalla vita personale dell’autrice: c’è innanzitutto il mondo dell’infanzia, in cui si innesta la narrazione di Marie, un’infanzia solitaria, triste, segnata da perdite e violenze. E inevitabilmente estranea alle cose degli adulti, che la bambina percepisce di non poter comprendere fino in fondo.

Ne sono un esempio le sere in cui la madre piange davanti al fuoco, concedendosi di rompere il silenzio che abitualmente la circonda e ripetendo, in uno dei tanti refrain disseminati tra le pagine: “Non ho avuto niente, io”. Prova a consolarla Marie: “Hai me”. Ma purtroppo da sola non può comprendere né guarire le ferite che Génie porta con sé.

La natura della realtà rurale in cui la storia si muove è per Marie spesso l’unico sollievo: lo scorrere del fiume, l’odore della paglia appena colta e il profumo delle marmellate accompagnano le sue giornate, mentre attende il ritorno della madre la sera; gli animali che tiene in casa con sé – una vaccherella cieca e un anatroccolo – sono i suoi unici amici, quella famiglia felice che non ha mai potuto avere; quando fantastica di salvare la madre immagina di fuggire in isole esotiche, verdeggianti e rigogliose. La stessa narrazione segue il ritmo cadenzato della vita di campagna, stagionale, ciclico, con una ritualità che si estende anche alla quotidianità madre-figlia.

C’è l’eco della vita di Cagnati in tutto questo: figlia di immigrati italiani arrivati in Francia nella speranza di trovare lavoro e una vita migliore, la scrittrice nasce nel 1937 a Monclar, piccolo comune del sud-ovest francese. Nella casa di campagna in cui vive con i genitori (da cui derivano le sue esperte descrizioni della vita rurale) si parla italiano e raramente si frequentano persone francesi.

La differenza linguistica e la povertà in cui vive la sua famiglia rendono difficile un’integrazione immediata con il contesto che la circonda. “L’infanzia è un’età infelice, davvero infelice”, dichiara in un’intervista del 1989 per la trasmissione televisiva francese Hôtel, “forse unicamente perché l’ho vissuta male io”.

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Soltanto a scuola, e non con poche difficoltà, impara la lingua che l’accompagnerà per tutta la vita, personale e professionale (lavorerà come insegnate di francese in un liceo) e che sceglierà per i suoi romanzi.

Francese perché nata e vissuta in Francia, italiana perché nata da genitori italiani. Ma mai francese fino in fondo, mai italiana fino in fondo. La questione dell’appartenenza resta irrisolta in Inès Cagnati nonostante la naturalizzazione, che lei stessa definì una “tragedia” e non fece altro che sedimentare quella condizione di straniera, in bilico tra due mondi.

Nel romanzo è Génie a incarnare questa condizione, seppure trasposta e rimodellata. A diciassette anni subisce uno stupro che porta alla nascita di Marie e viene ripudiata dalla sua stessa madre, autoritaria e crudele, il resto della famiglia al seguito.

È la vittima di una società maschilista in cui, secondo Cagnati “la giovane stuprata, che non ha saputo proteggere la sua virtù fuori dal matrimonio, sembra più colpevole dello stupratore che in fondo, si dice, ha fatto solo la sua parte di maschio”. Lo stesso destino che toccherà alla figlia Marie.

Abbandonata a sé stessa tra lo scherno generale, sceglie come sua unica arma il silenzio, estraniandosi dal mondo quanto più le concede la sopravvivenza. Agli occhi degli altri Génie diventa semplicemente matta, perché con il suo mutismo sembra scampare alle prescrizioni di comportamento definite dalla società: “Il matto è colui che ci rassicura su noi stessi”, nota Cagnati durante un’intervista con Laurence Paton, “l’altro è matto perché noi siamo normali, e affinché noi possiamo esserlo. Ne è il garante”. Soltanto il confronto con un matto e il suo modo di vivere – strano, incomprensibile, deviato – permette di determinare la propria normalità e dunque tranquillizza.

Génie non può però svestire il ruolo che la società le ha assegnato: quando finalmente è riuscita a costruirsi qualcosa di molto simile a una famiglia, con un marito e un figlio, la piccola comunità, guidata dalla stessa madre di Génie, cercherà di farla rinchiudere in un istituto. “Conviene a tutti, capisci? Conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi” urla nell’atto II dell’Enrico IV, l’omonimo personaggio pirandelliano.

Non riuscendo nell’intento, la comunità punirà Génie sottraendole definitivamente la felicità che ai loro occhi non meritava.

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