“Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo”: celebre vignettista, Giorgio Forattini, morto all’età di 94 anni, ha cambiato il modo di fare satira in Italia, con le sue caricature feroci ma mai volgari, ed evitando la tentazione di voler predicare, ammaestrare, insegnare…
Impertinente, Giorgio Forattini. E politicamente scorretto. Come dev’essere la satira. Di pochissime parole, soprattutto. I personaggi delle sue vignette non dicevano (quasi) niente ma raccontavano tutto, e le sue creazioni erano mini-trattati di sociologia politica, sciabolate immediate e ficcanti e, soprattutto, chiarissime. Gli bastava un’immagine, una “scenetta”, un tic, un vezzo, un particolare del fisico dei politici (e chissà oggi, in tempi in cui il body shaming è stigmatizzato, che cosa gli avrebbero detto), ed eccolo scodellare il racconto di un pezzo di storia politica e di potere del nostro Paese.
Forattini se n’è andato a 94 anni, nella sua Milano, che gli aveva dato l’Ambrogino d’Oro mentre alla Triennale aveva donato il suo sterminato archivio. I politici, soprattutto nella Prima Repubblica, mal lo sopportavano, cordialmente ricambiati: “Sono ateo”, diceva, “ma ho grande rispetto per chi ha fede in un Essere supremo. Mentre non ne ho affatto per chi crede agli uomini politici“.
“Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo”
“Senza falsa modestia, dopo Guareschi credo di venire io nella classifica dei protagonisti della satira italiana dell’ultimo secolo“, diceva di sé. Non aveva torto. Perché Forattini ha cambiato il modo di fare satira in Italia, con le sue caricature feroci ma mai volgari, ed evitando la tentazione di voler predicare, ammaestrare, insegnare, come spesso accade in questi anni.
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Strana parabola, la sua. Fino a 40 anni non prenderà in mano una matita, poi l’exploit. Nasce e studia a Roma (il 14 marzo 1931) dove, dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrive sia ad Architettura all’Università di Roma sia all’Accademia di Teatro, ma senza mai laurearsi. “Mi piaceva fare un po’ il ribelle della famiglia, mi sono sposato molto giovane, ho lasciato l’università e sono andato a fare il rappresentante di commercio per molti anni“, confessò in un’intervista, “arrivato ai quarant’anni stanco di girare l’Italia per il mio lavoro, ho scoperto il mestiere di vignettista entrando dalla porta”.
Nel ’53, all’età di 22 anni, infatti, Forattini parte per il Nord Italia a lavorare come operaio in una raffineria di petrolio, poi va al Sud e si reinventa rappresentante di commercio di prodotti petroliferi. A fine anni ’50 diventa direttore commerciale di una casa discografica, poi a fine anni ’60 è pubblicitario per varie aziende tra cui la Fiat e l’Alitalia”.

Ai giornali arriva “tardi”
Ai giornali arriva “tardi”, almeno per la sua epoca. Nel 1971, a 40 anni, vince un concorso per disegnatori indetto dal quotidiano romano di sinistra Paese Sera. E fu sulla prima pagina del quotidiano romano del pomeriggio che comparve, nel maggio del 1974, a commento dell’esito del referendum abrogativo sul divorzio, una delle vignette che hanno fatto la storia della satira politica italiana: il sughero con la faccia di Fanfani che schizza via da una bottiglia di champagne con l’etichetta “No”, sotto il titolo “Il tappo è saltato”.
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Disegna anche per Panorama (dove debuttò raffigurando Craxi di spalle che appende un pesce d’aprile sulla gobba di Andreotti,) poi nel 1975 lascia Paese Sera e passa a Repubblica di Eugenio Scalfari con la qualifica di grafico e disegnatore satirico, dove inizia una lunga collaborazione interrotta una prima volta nel 1982, quando andò a La Stampa (dove le sue vignette passarono in prima pagina), quindi ripresa nel 1984 e definitivamente chiusa dal vignettista nel 2000.
Il motivo dell’abbandono fu la mancata solidarietà del giornale romano, a cominciare dal direttore Ezio Mauro, e “con l’eccezione di due telefonate: da Barbara Palombelli e Antonio Polito” in seguito all’attacco di D’Alema, che qualche mese prima, da presidente del Consiglio, l’aveva querelato, chiedendogli un risarcimento da 3 miliardi di lire, per la vignetta in cui l’aveva raffigurato intento a cancellare col bianchetto alcuni nomi dalla lista Mitrokhin. D’Alema ritirò poi la querela, ma intanto Forattini fu prontamente riaccolto alla Stampa (con “un contratto per cinque anni a un miliardo di lire l’anno per una vignetta al giorno, naturalmente in prima pagina: accettai subito”), per passare poi nel 2006 al Giornale, e da lì, nel 2008, al Quotidiano Nazionale (che raccoglie le testate Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione).
Da Andreotti, invece, mai una querela, anzi…

Il personaggio più amato? “Spadolini, si divertiva. E poi ci sono Occhetto, Agnelli, Fassino magro magro come uno scheletro, Berlusconi-Zio Paperone, Scalfari, De Mita“. A chi gli chiese perché facesse Spadolini sempre nudo rispose: “Perché era grasso, mi piaceva. La satira deve sfruttare il fisico delle persone”.
Da Andreotti, invece, mai una querela, anzi. Il Divo Giulio arrivò a dire: “È stato Forattini a inventarmi!”.
Dal 1974, anno in cui ha pubblicato il suo primo libro di vignette, Referendum reverendum, Giorgio Forattini cominciò una lunga serie di pubblicazioni (a cadenza annuale) con il proposito di rappresentare satiricamente l’evolversi delle vicende politiche italiane. In totale fanno 60 libri pubblicati e centinaia di migliaia di copie vendute. “I peggiori nemici della satira sono i comunisti e gli islamici. Sono uguali: non tollerano chi la pensa diversamente, se non sei dalla loro parte sei un nemico da perseguitare”, disse in un’intervista al Giornale, “l’unico limite che deve avere la satira è il codice penale“.
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