Oltre un milione e passa di ragazzi a Tor Vergata, arrivati da 146 Paesi del mondo: inafferrabili, questi giovani, per il mondo ma anche per la Chiesa e (parte) del mondo cattolico. Parlano di fede, pregano, leggono la Bibbia, recitano il Rosario (anche) su TikTok e Instagram – Reportage dal primo Giubileo con la guerra nel cuore dell’Europa (e completamente social), dove le parole di Papa Leone XIV, le preghiere, i canti passano dai reel…

Istantanea numero uno: un ragazzo vede un sacerdote e si inginocchia subito a terra per confessarsi poco prima dell’arrivo del Papa.

Istantanea numero due: due ragazzi siriani si alternano per tenere alta la bandiera del proprio Paese speranzosi di “farla vedere al Papa quando passa”.

Istantanea numero tre: i neocatecumenali di Kiko Arguello, che sono ovunque, cantano, danzano e ballano con un ritmo allegro e un po’ cupo al tempo stesso.

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Istantanea numero quattro: il volto rigato di lacrime di una ragazza sudcoreana che crolla in ginocchio, sull’asfalto, durante l’adorazione del Santissimo Sacramento quando sul milione e passa di ragazzi di Tor Vergata – arrivati da 146 Paesi del mondo – piomba un silenzio da pelle d’oca mentre Leone XIV, in ginocchio, canta Eccomi insieme al coro della diocesi di Roma diretto da monsignor Marco Frisina che da queste parti è osannato come una star (e molto più de Il Volo, che a fine veglia cantano il Magnificat) e riceve anche i complimenti dal Papa per l’accompagnamento musicale della celebrazione.

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Istantanea numero cinque: Riccardo sventola la bandiera della Palestina perché “mia nonna è nata laggiù e ora sta soffrendo nel vedere quello che sta accadendo”. ù

Un gruppo arriva dall’Oceania, un altro dalle Isole Tonga con i giornalisti che si fermano e chiedono lumi sulla bandiera. Sembrano quasi inafferrabili, questi ragazzi. Papa boys, li chiamavano ai tempi di Giovanni Paolo II che nel 2000, venticinque anni fa esatti, ne radunò quasi due milioni su questa stessa spianata di Tor Vergata, novantasei ettari che ora sono una distesa colorata di bandiere, sacchi a pelo, t-shirt ed effigi sacre come i messicani che inalberano quasi tutti l’immagine della Madonna di Guadalupe, anche quando sono in coda per prendere le bottigliette d’acqua (a proposito, cinque milioni, distribuite in tutti i settori).

Inafferrabili, questi giovani, per il mondo ma anche per la Chiesa e (parte) del mondo cattolico. Vanno agli eventi ma tutte le domeniche disertano le chiese, puntano il dito alcuni. Hanno trasformato la fede in ballo da discoteca, gli fanno eco altri. La realtà sfugge sempre alle classificazioni frettolose.

Questi ragazzi parlano di fede, pregano, leggono la Bibbia, recitano il Rosario (anche) su TikTok e Instagram, nei reel e con i video che, a volte, diventano virali. Come virale è la voglia di esserci, di stare insieme, dopo l’inverno della pandemia che li ha ricacciati nella solitudine e nell’isolamento. Non sono superficiali, sono profondi, ma a modo loro e con gli strumenti che hanno a disposizione.

Nessuno di loro era nato nel 2000, l’alba del nuovo millennio, un attimo prima dell’attacco alle Torri Gemelle che deviò il corso della storia verso il grumo di guerre e conflitti che resistono ancora oggi e, in molte parti del mondo, Europa compresa, si sono incancrenite.

Rispetto al 2000 è cambiato tutto e non è cambiato niente“, dice Angela, da Bari, che è venuta ad accompagnare un gruppo di pellegrini, “la fede resta, cambia il modo di esprimerla”. Da dietro il palco sbuca Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli, uno dei “registi” dell’organizzazione del Grande Giubileo del 2000 ai tempi della Cei di Ruini: “Non ero mai tornato a Tor Vergata da allora”, confida, “è un colpo d’occhio che sorprende ma non troppo. Fra venticinque anni noi non ci saremo, forse, ma ci saranno altri ragazzi felici di credere, di sperare, di essere cattolici”. Nei secoli dei secoli.

Questo è il primo Giubileo con la guerra nel cuore dell’Europa e completamente social dove le parole di Leone XIV, le preghiere, i canti passano dai reel. E la Chiesa lo sa molto bene se, come anteprima dell’incontro con i giovani, ha organizzato in Vaticano il Giubileo dei missionari digitali e influencer cattolici. Tra loro, Nicola Camporiondo, 19 anni, studente di Teologia della provincia di Vicenza, oltre 13mila follower su Instagram e 160mila su TikTok. Mentre passeggiamo tra i settori di Tor Vergata viene fermato per un selfie, un abbraccio, uno scambio veloce di idee: “Ma tu sei quello che i video su TikTok? Sei fortissimo”, dicono alcune ragazze di Messina.

“Eventi come il Giubileo o le Giornate mondiale della gioventù aiutano a riscoprire e vivere la fede interiore che spesso viene messa da parte nella vita quotidiana”, dice quando gli chiedo la radice di tutto quest’entusiasmo. Gli fa eco Michael Mattaruzzo, 24 anni, di Bassano del Grappa, anche lui missionario digitale: “La fede si può vivere anche divertendosi come abbiamo fatto in questi giorni. I social sono uno strumento per raggiungere più persone possibile e parlare loro della fede facendogli capire che non sono, non siamo soli”.

Sfornano reels e storie su Instagram a ritmo “da giornalisti”, dicono divertiti. Pochi, i tatuaggi. Ma significativi. Come una ragazza, Giorgia, che sull’avambraccio si è tatuato due persone che si abbracciano e la scritta: Mc 5,34, vale a dire un passo del Vangelo di Marco, questo: «”Ma Gesù le disse: ‘Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace e sii guarita dal tuo male'”.

Altre istantanee: l’entusiasmo di Kevin che insieme a una trentina di compagni è arrivato da Chiclayo, Perù, la diocesi dove è stato vescovo Papa Prevost. I volontari insieme a un gruppo di frati domenicani che si abbracciano felici e si scatenano sulle note del Gen Rosso. Ma va forte anche Jesus Christ you are my life, colonna sonora del 2000 e best (e long) song dei raduni giovanili.

Tempo di guerra. Tempo di speranza svanita. Leone XIV è un Papa che si fa ascoltare: sobrio, asciutto, diretto. “Il mondo ha bisogno di messaggi di speranza; voi siete questo messaggio, e dovete continuare a dare speranza a tutti», dice additando l’esempio di Sant’Agostino, la sua gioventù burrascosa, proprio come quella di molti ragazzi che oggi sono a Tor Vergata e hanno riempito Roma in questi giorni. La ricerca di Agostino, è convinto il Papa agostiniano, è la cartina di tornasole anche di quella di questi ragazzi di oggi. Perché finché c’è inquietudine, c’è speranza. Di rovesciare gli schemi, migliorare, se non cambiare, il mondo, renderlo «più umano», come raccomanda Leone. Siamo fatti «non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore”, ricorda ancora il Papa, “e così aspiriamo continuamente a un di più che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere. Di fronte ad essa, non inganniamo il nostro cuore cercando di spegnerla con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto!”.

Hanno pregato, macinato chilometri, ballato, questi ragazzi che scandiscono, in metrica da corteo: “Questa-è-la-gioventù-del-Papa. / Questa-è-la-gioventù-del-Papa”. Si sono confessati al Circo Massimo dove, venerdì mattina, quando è arrivato il sindaco di Roma Gualtieri è stato accolto come una star tra richieste di selfie e foto ricordo.

Si sono messi in fila a Santa Maria Maggiore per pregare sulla tomba di papa Francesco, il Pontefice che ha saputo parlare con loro, trascinarli, motivarli e a Lisbona, tre anni fa, gli aveva dato appuntamento qui a Roma. Si sono messi in fila a Santa Maria Sopra Minerva, a due passi dal Pantheon, per pregare sulle spoglie del beato Pier Giorgio Frassati, primogenito di Alfredo, il laicissimo direttore della Stampa di Torino, che sarà canonizzato il 7 settembre insieme a Carlo Acutis, il santo patrono di Internet che aveva intuito quanto la Rete fosse strategica per parlare di Dio e conquistare cuori.

Già, il cuore. “Non mettete a tacere il suo grido”, ha raccomandato papa Leone. “Certo, il cuore, a chi gli dà retta, ha sempre qualcosa da dire su quello che sarà”, scriveva Manzoni nei Promessi Sposi, “ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto”. E quello che è accaduto in questi giorni non è poco. Nessuno leader politico e nessuna istituzione – in questi tempi di disincanto e disillusione – riescono più a radunare oltre un milione di ragazzi. I numeri non sono tutto, ma dicono molto.

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