Sulla figura di Giuda si sono sbizzarriti molti grandi scrittori, tra cui Goethe, Victor Hugo, Giuseppe Berto ed Amos Oz. Apostolo intimo di Gesù e, insieme, suo traditore per denaro. Così lo descrivono i Vangeli. Ma la sua figura, tragica e oscura, ci turba perché Giuda è uno di noi. E perché tutti troviamo dentro di noi qualcosa di lui…
Sono ore concitate a Gerusalemme. Complotti, intrighi, sospetti, delazioni, persino traffici illeciti di denaro. Da tempo, ormai, le autorità giudaiche hanno messo nel mirino il predicatore ambulante arrivato dalla Galilea. Marco descrive così gli eventi: “Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: ‘Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo‘”.
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Uno dei protagonisti di primo piano delle trame oscure di queste ore è Giuda figlio di Simone, detto Iscariota. Su questo soprannome, come ha spiegato il cardinale Ravasi, gli studiosi hanno offerto varie interpretazioni: c’è chi l’ha intesa come ish-Keriot, cioè “uomo del villaggio di Keriot”, una località della Giudea (sarebbe, perciò, l’unico apostolo non della Galilea). C’è, invece, chi l’ha riletta come una deformazione in salsa aramaica del latino sicarius, appellativo col quale si definivano gli estremisti nazionalisti ebrei ribelli a Roma (da sica, il pugnale da essi usato per i loro attentati ai soldati romani o ai collaborazionisti ebrei). Per altri esegeti, Iscariota deriverebbe dall’aramaico ish-qaria, ossia “uomo di menzogna, mentitore” e quindi “traditore” (sulla scia del Salmo 55 che contiene il lamento di un amico tradito): si tratterebbe, perciò, di un’attribuzione posteriore finalizzata a bollare il comportamento del discepolo di Gesù.
La prima scena si svolge a Betània, un sobborgo di Gerusalemme, “sei giorni prima della Pasqua”, come precisa Giovanni, in casa di Lazzaro, l’amico che Gesù aveva risuscitato. Durante la cena, Maria, sorella del padrone di casa, prende un vaso di “olio profumato di vero nardo assai prezioso”, cosparge i piedi di Gesù, poi li asciuga con i suoi capelli, facendo riempire tutta la casa “dell’aroma di quel profumo”.
Di fronte a questo gesto, Giuda non si trattiene: “Perché non si è venduto quest’olio profumato per trecento denari per darlo ai poveri?”. L’evangelista Giovanni commenta sferzante: “Questo egli disse non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”.
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Gli eventi stanno per precipitare. La scena, adesso, si sposta in una “grande sala coi tappeti, al piano superiore” di una casa di Gerusalemme (Marco 14, 15), il cosiddetto Cenacolo. La cronaca offerta dall’evangelista Matteo rende vivide le emozioni che serpeggiano durante quella che passerà alla storia come l’Ultima Cena e che Leonardo da Vinci, nello spazio del Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, ha rappresentato magistralmente cogliendo tutto il dramma del momento così come è stato narrato dagli evangelisti: “Venuta la sera, Gesù si mise a mensa con i Dodici”, riferisce l’evangelista, “mentre mangiava disse: ‘In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà’. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: ‘Sono forse io, Signore?’. Ed egli rispose: ‘Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!’”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto!” (26, 20-25). Una frase che fa calare definitivamente il sipario sull’appartenenza di Giuda alla comunità dei discepoli.
Molto più articolato, e drammatico, il racconto che dell’episodio offre Giovanni e che si conclude con un’annotazione lapidaria: “Ed era notte” che non è solo un’indicazione cronologica, ma descrive l’ingresso prepotente delle tenebre nel dramma che Cristo sta vivendo, un’oscurità che non è solo materiale ma anche, e soprattutto, morale e spirituale.
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Eccoci, ora, sotto le fronde degli ulivi del podere detto Getsemani, “frantoio per olive”, ai piedi del monte degli Ulivi. Gesù è in preghiera quando arriva una folla di scherani con spade, armi e bastoni per arrestarlo. Il racconto evangelico è folgorante nella sua sobrietà: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”, scrive Luca mentre Matteo sostituisce queste amareggiate parole di Gesù con un secco “ef’ ho párei”, in greco “per questo sei qui!”, ma accompagnato da un triste “etáire,” “amico, compagno”. Quel bacio rimarrà scolpito nei secoli come l’immagine del tradimento come dimostra, tra i tanti, l’affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (nella foto, ndr).
Con l’arresto di Gesù, Giuda sembra uscire di scena. Tra gli evangelisti, solo Matteo ne segue il percorso che finisce in tragedia. L’ex disceopolo poco dopo il bacio al Getsemani corre dai suoi mandanti a restituire il prezzo di un tradimento divenuto già insopportabile, prima di togliersi la vita: “Giuda, scagliate nel tempio le trenta monete d’argento, si allontanò e andò a impiccarsi” (27,5).
Sulla figura di Giuda si sono sbizzarriti molti grandi scrittori: da Goethe a Victor Hugo, da Paul Claudel a Mario Pomilio, da Nikos Kazantzakis (dal cui romanzo venne tratto il discusso film L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese) a Giuseppe Berto, da Amos Oz a Luca Doninelli.
Giuda è una figura enigmatica e contraddittoria. Anzitutto, non è un “nemico” di Gesù, è un fervente religioso, appartiene alla cerchia dei discepoli. È un insider, diremmo oggi.
L’obiezione di Giuda sul destinare ai poveri i trecento denari del profumo versato da Maria è ragionevole e di buonsenso. Chi di noi non si sarebbe indignato e non avrebbe fatto la stessa osservazione?
È questo, forse, l’episodio che segna la rottura definitiva del rapporto tra lui e Gesù. Giuda non comprende più quel predicatore ambulante che aveva seguito fino a quel momento e che di lì a poco sarebbe stato condannato al supplizio infamante degli schiavi, non si fida, non ha più fiducia. Pensa che il gesto di Maria, che gli cosparge i piedi di profumo in segno di amicizia e ospitalità, sia il segno che Gesù, ormai, è diventato un divo, una celebrità che ama essere esaltata e compiaciuta dai suoi fan.
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“C’è un po’ di Giuda dentro tutti noi”, ha detto la teologa Teresa Bartolomei in occasione di un incontro al Festival Soul di Milano, “non bisogna normalizzare il tradimento, ma riconoscere che il tradimento è un’esperienza che appartiene al nostro quotidiano. Tradire Dio può sembrare la più suprema delle blasfemie ma è qualcosa che attraversa tutte le nostre vite. Solo avendone coscienza è possibile recuperare un rapporto di fiducia con Dio. Avere fede in Dio non è una cosa eccezionale. È molto più difficile avere fiducia in Dio. Il Dio cristiano non è solo il creatore ma l’interlocutore. Non è un Dio che ci ha creati e poi si è allontanato ma si è messo in rapporto con noi, ha costruito una relazione di fiducia, ci ha dato la libertà e ci ha messo nella condizione di scegliere se stare dentro questo rapporto oppure no”.
In una relazione basata sulla fiducia, i dubbi sono normali, essenziali, profondamente umani. Se la fede fosse un puro sapere non ci sarebbero dubbi. La matematica, ad esempio, funziona, non ha bisogno di fiducia.
La tragica fine di Giuda è la fine di una vita forse segnata dall’illusione e dalla delusione, causate molto probabilmente da una falsa immagine di Gesù, sognato come un messia politico o scoperto come un maestro dall’orizzonte troppo alto e remoto.
“L’obiezione di Giuda sui poveri”, ha spiegato ancora Bartolomei, “è un’obiezione che facciamo anche noi continuamente a Dio perché non ci sta bene quello che fa, come lo fa, nei tempi che sceglie. Molto spesso vorremmo insegnare a Dio come fare Dio. Ci sembra assurdo, ad esempio, che lasci le novantanove pecore per andare a seguirne una che si è smarrita. Un vero leader non farebbe mai questo. Il leader si pone il problema delle masse, non del singolo. Quante volte diciamo a Dio di battere un colpo, di utilizzare il suo potere per impedire il male o punire i malvagi. Consegnando Gesù in mano al potere religioso, Giuda vuole rifare Dio, rimetterlo al suo posto, perché nel Dio predicato da Gesù non si riconosce più, lo scandalizza, ha perso ogni fiducia. E senza la fiducia non c’è relazione, cade l’amicizia, viene meno l’amore”.
La vicenda di Giuda non disegna solo un destino di colpa e di tragica maledizione, un collasso della speranza, ma è un’esperienza che accomuna tutti noi quando tradiamo, o abbiamo la tentazione di farlo, un amico perché non lo comprendiamo più e non ci fidiamo più.
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