Prima della Passione, il gesto di tenerezza nei confronti di Gesù viene duramente criticato dai farisei e dai suoi stessi discepoli in nome della carità verso i poveri. Ma in quella donna ci sono tante donne di oggi, capaci di amare senza calcolo e senza misura e di farsi beffe dei giudizi di scherno degli altri

La calma è solo apparente. Il clima, in realtà, è avvelenato. Da tempo, ormai, le autorità giudaiche hanno messo nel mirino il predicatore ambulante arrivato dalla Galilea.

Marco descrive così gli eventi: “Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: ‘Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo‘”.

A Gerusalemme, infatti, stavano affluendo in massa i pellegrini per celebrare Pèsach e consumare il pasto rituale a base di agnello arrostito al fuoco e accompagnato da cibi di fortuna: erbe amare (cicoria, lattuga selvatica, radici…), raccolte nella steppa, che davano gusto ai pani senza lievito, azzimi, cotti su lastre di pietra. Un’usanza, quest’ultima, retaggio degli agricoltori cananei, per i quali, in primavera, la festa degli Azzimi segnava l’inizio della stagione dell’orzo. Il pane vecchio fermentato, la cui pasta faceva ordinariamente da lievito al nuovo pane, avrebbe contaminato il nuovo raccolto, profanandone la santità, e perciò si faceva sparire.

Una ricorrenza per celebrare simbolicamente la purezza alla quale fanno da contraltare trame occulte, sotterfugi, traffici illeciti di denaro e dove persino l’assistenza ai poveri è strumentalizzata per biechi interessi economici. In questo contesto, Marco inserisce una donna sconosciuta, senza nome. Siamo a Betània, un sobborgo di Gerusalemme, nella casa di un certo “Simone il lebbroso”.

Mentre Gesù si trova a cena, irrompe questa donna per compiere probabilmente un gesto d’accoglienza per l’ospite, com’era usanza per gli ebrei. Con sé porta un “vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo puro di gran valore”. Il comportamento di questa donna è eccentrico, smodato, quasi incomprensibile: “Ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul capo di Gesù”. E, infatti, suscita immediatamente le ire degli stessi discepoli e degli altri commensali, tra i quali ci sono anche dei farisei: “Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: ‘Perché tutto questo spreco di olio profumato?” Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!’. Ed erano infuriati contro di lei“.

Se consideriamo che la paga di un operaio era di un denaro al giorno, solo l’unguento costava l’equivalente di trecento giornate lavorative, più di un anno di lavoro. Con quella cifra, inoltre, si poteva comprare uno schiavo generico. Per non parlare del vasetto di alabastro, di grande valore commerciale. Questa donna anonima non si limita ad aprirlo ma addirittura lo rompe. Compie un gesto irrecuperabile che aggiunge spreco a spreco.

Tra gli astanti che la rimproverano, Giovanni inserisce Giuda Iscariota, gran protagonista delle trame occulte di queste ore, che si fa portavoce del malumore di tutti affermando che con il ricavato della vendita del profumo si potevano aiutare i poveri. Il giudizio dell’evangelista è sferzante: “Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro”.

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L’atmosfera è tesa, il contrasto evidente: di qua, i commensali di Gesù, tutti uomini, che parlano e s’infuriano alla vista di un atto di generosità così eccessivo. Di là, la donna che resta in silenzio e non replica alle accuse. Deve intervenire Gesù, e in maniera piuttosto brusca, per sedare le polemiche: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre“. Poi aggiunge che quello che per quei commensali è solo uno spreco a danno dei poveri per Gesù avrà una fama che varcherà i secoli: “In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto”.

La donna di Betània non solo dimostra di non aver in nessun conto il valore di quel vasetto di unguento profumato ma compie quel gesto – un gesto tipicamente e profondamente femminile, un gesto di tenerezza che è immedesimazione con l’amato – davanti a tutti, quando non era certo usuale mostrarsi compassionevole, fino a quel punto poi, nei confronti di un uomo che di lì a poco sarebbe stato condannato al supplizio infamante degli schiavi e del quale tutti, a cominciare dai suoi stessi discepoli, diranno di non conoscere e di non averlo mai frequentato.

Quello della donna di Betània non poteva essere solo un gesto tradizionale d’accoglienza verso l’ospite perché, se così fosse, avrebbe potuto compierlo senza uno spreco simile.

Non solo accoglie e ama senza calcolo e senza misura, ma dimostra spirito libero perché non ha paura di essere giudicata e davanti alle accuse resta in silenzio.

Non è forse uno spreco la vita di tante donne, religiose e laiche, missionarie e volontarie, che vivono faccia a faccia, senza rispettabili garanzie e talvolta senza nessuna consolazione, con l’abisso di assurdità, incanto, ingiustizia, azzardo, dolore dell’esistenza?

Non è forse uno spreco, agli occhi del mondo, la vita di suor Rita Giaretta, già infermiera e sindacalista, da anni impegnata a Caserta a ridare un futuro e una dignità a tante ragazze immigrate, schiave del commercio legato alla prostituzione. Suor Rita offre loro un tetto, un ascolto, una parola, un lavoro, un percorso di integrazione. Per amore, senza imporre nulla.

Non è stata forse uno spreco la vita di Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa, che ha dedicato la sua esistenza alla difesa dei diritti delle donne e agli orfani di femminicidio fino a far approvare una legge, unica in Europa, che li tutela?

Non è uno spreco la vita di suor Carla Osella, che non veste il saio ma i jeans, ed è andata a condividere la vita dei rom e dei sinti alla periferia di Torino denunciandone la condizione indegna in cui vivono?

Non è uno spreco, per chi come quei farisei predica la carità tutta glamour e discorsi edificanti, la vita di suor Eugenia Bonetti che si batte tenacemente e con coraggio contro la tratta delle “schiave” destinate al mercato del sesso e il traffico dei minori? Una volta mise in imbarazzo Bush che aveva voluto conoscerla e le aveva chiesto: «Sister, secondo lei, noi governanti, facciamo abbastanza contro il traffico umano?». «No, signor Presidente, non fate abbastanza», gli rispose impavida.

Non è stata uno spreco la vita di quelle suore, tutte infermiere professionali, che nel 1995, quando scoppiò l’epidemia di Ebola, nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), non scapparono ma restarono accanto ai malati perdendo la vita? Il loro sacrificio contribuì anche all’individuazione del virus.

Non è uno spreco la testardaggine di tante volontarie che vanno in carcere e s’interessano ai carnefici mentre la società invoca punizioni esemplari e più dure e persino la pena di morte?

Queste donne, proprio come l’anonima donna di Betània, non hanno paura del giudizio degli altri. Vanno in posti da dove tutti scappano, scendono in strada, si mescolano alla vita più cruda e spietata, fosse un lebbrosario africano o le periferie delle nostre città dove sopravvivono i disperati d’ogni tipo e disavventura, come quella prostituta presa a morsi dai suoi magnaccia perché non aveva guadagnato abbastanza.

La vita di ognuna di queste donne è un’incredibile, reale romanzo d’avventura.

Come la donna di Betània, per la quale Gesù era così importante da non esitare a spargergli sopra tutto l’unguento, queste donne, capaci di difendere, aiutare e comprendere senza voler insegnare, ordinare e nemmeno convertire, sanno che dalla pietra rifiutata dai costruttori, dell’ultimo miserabile perseguitato e sfruttato, come dice la Scrittura, il Signore farà la pietra angolare, il muro portante della sua casa. Ma sanno pure che quest’annuncio viene continuamente smentito dalle leggi selvagge e crudeli del mondo, che consente ai carnefici di prosperare sulle sofferenze e le umiliazioni delle loro vittime. Non per questo, però, si arrendono. Sanno che nelle loro esistenze c’è uno spreco inevitabile e amabile, quasi un esalarsi nel nulla. Eppure, si “sprecano” e continuano a farlo consacrandosi a Dio, forse, sicuramente all’uomo e a curare le ferite inferte all’uomo. Nota Giovanni che dopo il gesto di quella donna “tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo”.

Ecco, cosa sarebbe il mondo se la borsa di Giuda fosse piena per i poveri e la casa di Betània vuota di profumo?

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