Dopo “Il piccolo principe”, è il secondo romanzo francese più tradotto al mondo. Non solo: è stato omaggiato da Kerouac in “Sulla strada”, ha ispirato due film, oltre al mondo della musica e del teatro. Parliamo de “Il grande Meaulnes”, prima e unica opera di Alain-Fournier, giovane talento morto a soli ventisette anni sul fronte di Verdun, nel 1914. A 100 anni dalla pubblicazione del libro, vi proponiamo la rilettura di un romanzo in cui i personaggi sono animati da due spinte, spesso in opposizione tra loro: il richiamo dell’avventura e l’amore…

Ci sono libri la cui immortalità è sancita dall’influenza che hanno esercitato su altri, per aver creato nuovi generi o per aver suggerito un tema o uno nuovo modo di raccontarlo. È il caso, in parte, de Il grande Meaulnes di Alain-Fournier (nom de plume di Henri Alban Fournier).

Scrivo “solo in parte” perché sarebbe ingiusto attribuire il suo successo solo a questo: dopo Il piccolo principe, infatti, è il secondo romanzo francese più tradotto al mondo, e vanta il nono posto nella classifica dei 100 migliori libri del XX secolo stilata da Le Monde.

Ha poi ispirato due film, uno nel 1967, noto in Italia come I verdi anni della nostra vita (regia di Jean-Gabriel Albicocco) e uno nel 2006, firmato da Jean-Daniel Verhaeghe.

Anche il teatro e la musica hanno reso omaggio all’opera di Alain-Fournier: dagli anni ‘90 in avanti si contano almeno quattro spettacoli teatrali basati sul suo unico romanzo compiuto; diverse sono le opere musicali, tra cui Hymne du Grand Meaulnes di Rudolf Escher, che nella sua struttura ricalca quella del romanzo, mantenendo un delicato equilibrio tra atmosfere sognanti ed altre più cupe ed epiche. Ma i lettori più attenti si ricorderanno che in Sulla strada di Kerouac, Sal Paradise parte portandosi dietro un solo libro, per l’appunto una copia de Il grande Meaulnes rubata a una bancarella di Hollywood. E forse non tutti sanno che Il grande Gatsby di Scott Fitzgerald è ambientato a New York, certo, ma affonda le sue radici in Francia, nella regione di Sologne.

Edito nel 1913, prima tra le pagine de La Nouvelle Revue française e poi in volume per l’editore Émile-Paul Frère, Il grande Meaulnes e la prima e unica opera di Alain-Fournier, giovane talento morto a soli ventisette anni sul fronte di Verdun, nel 1914.

Le avventure del carismatico Augustin Meaulnes ci vengono riportate da François Seurel, più pacato un po’ per natura, un po’ perché afflitto da una coxalgia.

I due si incontrano già adolescenti, quando Meaulnes viene affidato ai genitori di Seurel, entrambi insegnanti, per proseguire gli studi. Fin dalla prima sera, François resta affascinato dalla curiosità e dallo spirito avventuroso di Augustin, e ben presto, questi tratti affascinano anche gli altri coetanei. Ma la tranquillità della vita di paese soffoca il grande Meaulnes, che, non appena possibile, coglie la possibilità di sfuggire alla monotonia quotidiana. Il professor Seurel chiede a degli studenti di andare a prendere i suoi suoceri alla stazione di La Gare, e nonostante non sia stato scelto per tale incarico Augustin prende in prestito un carro e parte.

Questa innocente bravata, però, evolve inaspettatamente in una vera e propria avventura, che lo porta prima una “vecchia colombaia” e poi in un castello, dove si sta celebrando una festa assai strana, in cui i bambini danno gli ordini e tutto sembra ammantato di un’aura poetica.

Nella confusione, Augustin vede una ragazza, Yvonne, e subito se ne innamora. Quando finalmente torna a casa, però, si rende conto di non saper ritrovare la strada per il castello, e di non aver altro modo per ritrovare la ragazza.

La ricerca di questo luogo incantato, innocente, per certi versi infantile diventa quindi l’ossessione di Meaulnes, che per anni cercherà di rintracciare la sua amata, affrontando e soccombendo brevemente al fascino di Parigi, simbolo dell’età adulta e della corruzione morale.

Attraverso i capitoli, assistiamo quindi alla crescita di Augustin Meaulnes, alle sue bravate e alle sue avventure quasi rocambolesche. Ma per capire il fascino di queste pagine – fascino che Scott Fitzgerald ricrea in chiave più contemporanea ne Il grande Gatsby – dobbiamo scavare più in profondità. Perché la potenza immaginifica de Il grande Meaulnes affonda le sue radici in temi, luoghi e personaggi tratti da diverse tradizioni e impastati tra di loro per creare una storia sospesa nel tempo indefinito è indefinibile della giovinezza.

Il mondo di Meaulnes e Seurel, infatti, è un placido misto di fantasia e realtà: un susseguirsi di piccoli paesini e casolari isolati, immersi in una natura amichevole; la tranquillità viene spezzata dai racconti notturni, che sembrano però viaggiare a metà strada tra la vita e il sogno. È curioso notare come queste parentesi, che si aprono con l’arrivo nella “vecchia colombaia”, abbiamo un sapore quasi teatrale, probabilmente dovuto alla conoscenza con Jacques Copeau (uno dei padri fondatori del teatro del Novecento, che negli anni venti ha abbandonato la corruzione della capitale per fare teatro nei paesini borgognoni; la pubblicazione del suo manifesto per il Teatro del Vieux Colombier è infatti comparsa su La Nouvelle Revue insieme a uno dei primi capitoli del romanzo di Alain-Fournier).

I personaggi sono animati da due spinte, spesso in opposizione tra loro: il richiamo dell’avventura e l’amore. Meaulnes, infatti, ci viene da subito presentato come un novello Robinson Crusoe, ma ben presto un altro paragone viene tracciato in modo implicito. Avventuroso, leale, impegnato in una quête che continuamente lo porta a perdersi nella ricerca di un sentiero dimenticato, in un continuo allontanarsi e avvicinarsi all’oggetto del suo amore. Per questo, Augustin Meaulnes non sfigurerebbe accanto ai cavalieri dei romanzi di Chrétien de Troyes, così come Yvonne sembra strappata dalle rime di un trovatore per arrivare nel mondo reale, continuando a mantenere la sua angelica purezza.

Il grande Meaulnes è un libro che non si lascia abbandonare facilmente, forse perché la perdita dell’innocenza e dell’infanzia risuona in tutti noi e raramente trova soluzione. Forse perché ci lascia quando ancora vorremmo sentir parlare delle avventure di Meaulnes. Qualunque sia la ragione, una cosa è certa: non si finisce mai un libro.

Certo, i libri di per sé hanno dei limiti fisici: i caratteri che li compongono, e che nel farlo creano un mondo, sono tutti contenuti in un numero finito di pagine. Una volta concluse quelle, la narrazione si ferma, inesorabile. E noi restiamo lì, sospesi nella desolazione di un mare piatto, costretti a fare i conti con quelle pagine, con quell’ultima pagina, con quell’ultima parola. Una parola che segna un confine solo apparentemente invalicabile. Ma riapriamo il libro, e di nuovo le onde ci travolgono. Riapriamo Il grande Meaulnes e da capo viviamo le sue vecchie (ma in fondo sempre nuove) avventure.

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