Milano, negli anni ’80, non era Londra, e neppure Manchester. Eppure, grazie all’ostinata passione per la musica, e al talento, un gruppo di ragazzi diede vita a una scena indipendente in grado di aprire un varco. Senza smartphone, nacquero amicizie decennali e canzoni che, a 35 anni di distanza, conservano una vitale energia: a raccontare quegli anni formidabili, il documentario “Jesus loves the Fools” (sottotitolo “Un carnevale dei pazzi, dei sedotti e degli abbandonati – The Carnival of Fools Story”)
Era un’altra Milano, era un’altra musica. Erano gli anni ’80, e i social (e le dinamiche che hanno portato) non erano neppure ipotizzabili, nel mondo della musica, e in generale.
A dirla tutta, era proprio un altro mondo, oggi quasi impossibile anche solo da immaginare, ma non per questo da mitizzare: ad esempio, era una città, quella Milano, in cui per le giovani band suonare non era per niente facile: gli spazi erano pochissimi, quasi come oggi, come chiarisce Manuel Agnelli alla fine di Jesus loves the Fools (sottotitolo Un carnevale dei pazzi, dei sedotti e degli abbandonati – The Carnival of Fools Story), un documentario di un’ora e mezza che ben racconta l’ostinazione e la passione di un gruppo di ragazzi, che iniziò a suonare agli albori del decennio, e che, in pochi anni, seppe dar vita a una scena rigorosamente indipendente, sì piccola, ma in grado di porre le basi per molti cambiamenti successivi non solo legati alla discografia, aprendo un varco.
L’intento di quei musicisti era porsi come alternativa al nazionalpopolare sanremese, e in parte agli stessi cantautori, con la consapevolezza del vuoto lasciato dalle band cult degli anni ‘70.
Farsi spazio, in quell’Italia, non fu facile: Milano non era Londra o Manchester. Ma, al netto di tutto, i nostri erano musicisti veri, avevano talento, e questa è stata la loro forza.
No, Milano non era Londra ma, come ricorda Cristina Donà, non mancarono i momenti speciali, come l’indimenticabile concerto di fine anno a Brera. Era il 1990, l’anno del movimento della Pantera, del ritorno delle occupazioni universitarie: nell’Accademia meneghina, in una notte speciale, condivisero il palco tre band simbolo del rock alternativo milanese (e italiano): i Ritmo Tribale, gli Afterhours, e i protagonisti del documentario, i Carnival of Fools di Mauro Ermanno Giovanardi (Joe), figura centrale in questa storia.
Per il nome del gruppo Giovanardi si fece ispirare da un verso del ’73 di Patti Smith, e fu proprio un live bolognese della poetessa punk-rock a cambiargli la vita quando aveva 18 anni.

Witt, la raccolta di poesie di Patti Smith del 1973 che ispirò a Giovanardi il nome del gruppo
Jesus loves the Fools – firmato da Filippo D’Angelo, Dimitris Statiris e dallo stesso Joe (voce narrante) è un documentario musicale ma è anche il racconto di come, grazie alla comune passione per la musica, in quel tempo potevano nascere, e crescere, amicizie decennali.
Senza smartphone in mano, si trascorreva molto più tempo con gli altri, nelle sale prova, nei bar, nei locali, di giorno e di notte.
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Sono bastati tre dischi (a partire da Blues get off my shoulder, uscito per la neonata etichetta discografica indipendente Vox Pop, destinata a sua volta a fare storia) a creare il culto dei Carnival of Fools.
L’elemento di continuità del gruppo (che per ogni album cambiò formazione) fu proprio Giovanardi, il cantante e il leader, in grado di circondarsi di musicisti molto diversi tra loro, capaci di far incontrare in modi sorprendenti blues, post-punk e new wave.
Dopo l’EP d’esordio, che conteneva una cover acida e dark di Summertime (e altri sei altri brani), arrivarono album come Religious folk (1992) e Towards the lighted town (1993), che a oggi rimangono tra le produzioni di punta della musica rock internazionale alternativa di quegli anni.
Non a caso (e al cantante, che poi darà vita ai La Crus con Cesare Malfatti, forse ancora vengono i brividi a pensarci), i Carnival, grazie a Mick Harvey, furono scelti da Nick Cave (il cui volto, in bianco e nero, è ancora oggi stampato su un poster attaccato alle spalle del letto di Giovanardi) per aprire un concerto del mitico rocker australiano al Palalido. Furono un live e una notte indimenticabili, trascorsa tra l’Atomic Bar e il Plastic.
Per i Carnival fu un crescendo di intensità, e il merito fu tanto di Giovanardi (che già a inizio ’80 fondò gli Unknown Scream, per poi cantare nei 2+2=5 e diventare il leader dei Superlovers and Sir Chimes & The Lovers, da cui nacque la prima formazione dei Carnival), quanto dei musicisti che fecero parte del gruppo, e del produttore e tecnico del suono Paolo Mauri: senza i suoi consigli le cose sarebbero andate diversamente, come riconoscono sia Agnelli sia Giovanardi (a proposito, tra After e Carnival non è mai mancata una sana rivalità, ma non c’è mai stata invidia).
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Jesus loves the Fools narra un’avventura affascinante, e lo fa attraverso interviste, filmati live, foto e locandine dei concerti. Oltre a Donà e Agnelli (che ha conservato un legame di autentica amicizia con Giovanardi, e che per i Carnival ha suonato il piano), nel docufilm trovano spazio, tra gli altri, Violante Placido e Hugo Race.
La vera forza del documentario, provare per credere, sta nell’energia che, a circa 35 anni di distanza, hanno conservato i brani dei Carnival: per chi ha voglia di (ri)scoprire uno dei gruppi più talentuosi del rock italiano, è appena uscito (per l’etichetta toscana Area Pirata) un doppio cd, dal titolo The Carnival of Fools – Complete Discography, che raccoglie il meglio di quanto la band, nelle sue diverse declinazioni, ha prodotto tra il 1989 e il 1993.
Scrive il giornalista specializzato Roberto Calabrò: “Sarebbero potuti essere una band internazionale, restano invece uno dei segreti meglio custoditi del nostro underground. A voi, ora, il piacere di riscoprirli”.
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