A differenza di quello che ci dice il titolo “Kidding”, la serie (su Sky Atlantic) che ha riunito dopo quattordici anni il regista Michel Gondry e l’attore Jim Carrey, non è affatto uno scherzo, anzi: è una serie oscura e fatalista, che nasconde qualcosa di inquietante. L’effetto, come messo in luce su “Polygon”, è simile a quello che generano “Bojack Horseman” e “The good place”:  iniziano con una premessa brillante e un’estetica luminosa, ma si sviluppano attorno a un nucleo essenzialmente tragico. Eppure non sarebbe corretto definire “Kidding” semplicemente una tragicommedia, perché appartiene a un nuovo genere che sta lentamente rivelando tutte le sue potenzialità… – L’approfondimento

“Hi, cruel world”, è il sottotitolo di Kidding, la serie che ha riunito dopo quattordici anni il regista francese Michel Gondry e l’attore canadese Jim Carrey, già insieme nel film Eternal Sunshine of the Spotless Mind, tradotto in Italia con il fuorviante titolo Se mi lasci ti cancello.

C’è un mondo crudele e un uomo che, invece, sembra essere tutto il contrario. È gentile, saggio e sorridente. Non dice parolacce e inventa tenere canzoni sulle nuvole che volano in cielo. Il suo nome è Jeff Piccirillo, ma tutti lo conoscono come Mr. Pickles, la star di un programma per bambini dove dispensa consigli e lezioni di vita, accompagnato da un branco di pupazzi colorati che intonano con lui armoniose melodie.

Se dovessimo prendere un riferimento italiano, potremmo paragonare il Mr. Pickles’ Puppet Time al nostro vecchio L’albero azzurro (con il parlante Dodò) o alla Melevisione, ma la figura a cui il creatore e sceneggiatore della serie Dave Holstein si è ispirato è Fred Rogers, conduttore del famoso show americano Mr. Rogers’ Neighborhood.

Comunque, come dicevamo, Mr. Pickles (sono veramente in pochi a chiamarlo con il suo vero nome) vive in un mondo crudele, ma non lo sa. Ha sempre vissuto circondato da pupazzi, margherite e cascate incantate, e così ha dimenticato cosa vuol dire vivere davvero nella realtà. Ma ecco che un evento è pronto a rinfrescargli la memoria.

A causa di un incidente stradale, Jeff perde uno dei suoi due figli adolescenti, Will, e tutto quello in cui l’uomo aveva sempre creduto crolla in un attimo. Si trova a fare i conti con una moglie che non vuole più a stare con lui, con un figlio con cui non riesce a comunicare, con un padre e una sorella che progettano di tagliarlo fuori dal suo programma. Ma, soprattutto, Jeff si trova a fare i conti con se stesso.

Chi è veramente? Il dolce personaggio che suona l’ukulele, o l’uomo con istinti omicidi che distrugge il suo studio in un disperato attacco d’ansia? È proprio attorno a questa domanda che ruota tutta la serie. Non è un caso che la sigla di apertura del Mr. Pickles’ Puppet Time, You can feel anything at all, sia un invito ad ascoltare il proprio cuore e i propri sentimenti per scoprire cosa si desidera nel profondo. E anche la prima regola che Mr. Pickles insegna ai suoi piccoli (e grandi) spettatori è “rimani sempre fedele a te stesso”. Ma quando non si conosce la propria natura, come si può rimanere fedeli a se stessi? Ma, soprattutto, come è possibile accettarsi?

E allora, certi che sia questo il tema che sorregge l’intera storia e il conflitto principale del protagonista, si può guardare la serie senza cercare di capire esattamente da che parte stia andando. Il tono infatti, assurdo e sopra le righe (del resto, non ci si poteva aspettare diversamente da Gondry, regista, tra gli altri, del visionario film L’arte del sogno), si lega a una trama inaspettata, che si sviluppa in modo ancora più imprevedibile e che si conclude con un finale spiazzante.

A differenza di quello che ci dice il titolo Kidding non è affatto uno scherzo, anzi, è una serie oscura e fatalista, che nasconde qualcosa di inquietante, proprio come le marionette che animano lo show di Mr. Pickles. E lo spettatore rimane ancora più colpito proprio perché non si aspetta che la storia assumerà una piega del genere, contrapponendosi a quello che si potrebbe pensare inizialmente, guardando la locandina con un Jim Carrey sorridente su uno sfondo color carta da zucchero.

L’effetto, come messo in luce su Polygon, è simile a quello che genera Bojack Horseman, una serie animata basata su presupposti abbastanza divertenti – un cavallo antropomorfo, star di una sitcom degli anni ’90, cerca tornare alla ribalta tra le celebrità di Hollywood – che si rivela essere in realtà una storia cinica, amara e disillusa.

Il critico Matt Zoller Seitz già nel 2016 si riferiva a questi spettacoli definendoli “commedie in teoria“, spiegando appunto la difficoltà di circoscrivere storie come queste all’interno di un genere esistente. Nel lungo elenco analizzato da Seitz compaiono Unbreakable Kimmy Schmidt, TransparentCrazy Ex-Girlfriend,You’re the Worst e Girls di Lena Dunham, solo per citarne alcuni. Sono serie buffe e dolorose contemporaneamente, che affrontano questioni complesse – prima tra tutte la depressione – in modo pungente, violento e la maggior parte delle volte “politicamente scorretto“. Anche The good place (disponibile su Netflix), creata da Michael Schur e interpretata da Kristen Bell, rientra a pieno nella categoria: inizia con una premessa brillante e un’estetica luminosa, ma si sviluppa attorno a un nucleo essenzialmente tragico.

Per questo non sarebbe corretto definire Kidding semplicemente una tragicommedia: parliamo di una serie quasi sperimentale, che per struttura, timbro e stile, si presenta come un prodotto unico e che forse, insieme ai titoli citati, ha inaugurato un nuovo genere che sta lentamente rivelando tutte le sue potenzialità.

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