“La suggeritrice”, quarto romanzo di Emanuela Abbadessa (che è musicologa e quotata librettista d’opera) è una storia d’amore e di musica. Siamo di fronte a un romanzo che è anche storico – o neostorico – fra Palermo, Parigi, Londra, e in cui si narra di un triangolo caldamente amoroso, con un riferimento formale al Cyrano di Edmond Rostand. Ma non è tutto…

La suggeritrice, quarto romanzo di Emanuela Abbadessa (Neri Pozza) è una storia d’amore e di musica, anche se l’autrice sa bene, si direbbe dai tempi del suo fortunato esordio, Capo Scirocco, che in effetti “tutti i libri parlano d’amore, ma non è la cosa più importante”: come fa dire, e sembra una frase non proprio casuale, a uno dei due personaggi principali. E se pure viene pronunciata “senza troppa convinzione”, suona come un esplicito segnale al lettore, un invito a non farsi fuorviare, l’instillazione di un dubbio e una chiave di lettura accuratamente celata in una storia di forti sentimenti: dove peraltro si narra di un triangolo caldamente amoroso, con un riferimento formale al Cyrano di Edmond Rostand. Ma non è tutto.

emanuela e. abbadessa la suggeritrice

La vicenda comincia nel ’55 a Palermo, in concomitanza col primo Festival di Sanremo; il meccanismo è grosso modo lo stesso della celebre commedia, quella che tutti ricordano per la frasetta sul bacio-apostrofo rosa (inflazionata, e fuori contesto davvero insopportabile, che qui ovviamente non compare, nonostante una deliziosa parafrasi di un altro passo sullo stesso tema, quando la protagonista in una lettera che non firmerà chiede all’amato  “perché abbiamo paura di un bacio?”): Cyrano si sacrifica per devozione nei confronti dell’adorata Rossana, e aiuta l’amico Cristiano a conquistarla dopo che lei gli ha confessato d’esserne forse innamorata. Suggerisce così al compagno-rivale dichiarazioni forbite e gli detta lettere meravigliose fino a quando, essendo Cyrano sull’orlo della morte, Rossana finalmente capisce. Il meccanismo è lo stesso ma i personaggi e il contesto e tutto lo spirito del libro, diciamo, non sono riducibili a questo schema.

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Franca Savignano, il personaggio centrale della vicenda, è l’opposto dell’estroverso spadaccino: giovane pianista accompagnatrice in una scuola di danza, si ritiene ormai condannata a una vita grigia, lei che sognava di diventare una concertista ma non è stata incoraggiata, anzi al contrario è stata frustrata dagli insegnanti del conservatorio (scopriremo poi che è invece uno straordinario talento). È inoltre una grande lettrice, non si considera per nulla attraente, ha un grosso naso (come Cyrano) e un’amicizia profonda, venata di sensualità, per una ballerina della scuola, un vero “cigno”, dalle qualità eccezionali e dalla testa un po’ vuota: che naturalmente si chiama Cristiana.

Le insegna molte cose, vive con lei in un modesto appartamento di Palermo, la sostiene e ne accompagna il successo. Entrambe però, prima Franca e poi Cristiana, si innamorano della stessa persona, l’una all’insaputa dell’altra, e benché tra loro ci sia una confidenza totale, non si rivelano il segreto. Franca intrattiene con Carlo, docente di storia all’Università, persona colta e amante della musica, una corrispondenza che sfiora il discorso amoroso, e questa ovviamente col suo vero nome; ma successivamente, quando per caso Carlo incontra Cristiana e se ne innamora travolto da una passione tutta fisica, ne inaugura una nuova e ardente, in nome e per conto dell’amica: cui detta le lettere che avrebbe voluto mandare lei. Le affida ciò che non osava scrivere di se stessa, con gli ovvi risultati, quando si svelerà l’inganno sarà tardi, le due giovani donne troncheranno i rapporti. Passano intanto gli anni ma Franca che intanto è divenuta una pianista di respiro interazionale, una diva, continua a pensare a Cristiana e anche a Carlo: sino a un imprevedibile finale, quarant’anni dopo, che scioglie e nello stesso ridipana la vicenda non senza una sorpresa.

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Ci siamo dilungati con la trama, ma c’è un motivo, perché intanto siamo di fronte a un romanzo che è anche storico – o neostorico – fra Palermo, Parigi, Londra, con una cornice temporale che permette l’espediente delle lettere, quando ancora si usava poco il telefono e la gente comunicava per via epistolare. E soprattutto perché in questo gioco di specchi c’è molto altro: la musica, intanto, e la letteratura. Abbadessa, che è musicologa e quotata librettista d’opera, ci racconta la sua Franca attraverso il rapporto con le partiture più importanti per lei, e Cristiana attraverso quello con la danza; entrambe a passioni incrociate mentre vivono una stagione difficile ma anche di incanto e bellezza. È forse per questo che l’amore c’è, non potrebbe essere diversamente; ma non resta “forse” – e paradossalmente – la cosa più importante.

La suggeritrice è una storia di sfide ai vincoli della vita (e ai propri legacci interiori), al successo e allo scacco, l’uno come inchiavardato nell’altro. Ci racconta la musica, con una scrittura all’apparenza tradizionale che realizza però una sorta di mimesi armonica, fra temi, sviluppi, improvvise distensioni, passaggi grammaticali ora inavvertiti ora magari ardui, persino qualche volta arcigni.

È un romanzo, dalla solida trama, ma soprattutto di scrittura. Se c’è dell’autobiografia (e in ogni romanzo riuscito non può mancare, anche se celata) è in questo rapporto con musica e danza di Franca e dell’autrice. La pianista che diventa sempre meno accompagnatrice per quanto riguarda lo strumento, ma non per ciò che attiene ai suoi sentimenti, è un personaggio raro nella nostra letteratura.

Verrebbe da opporla alla Clarisse di Musil, volitiva, esaltata e un poco folle, che insieme al marito suona il piano come se fosse invasata, quel piano infatti che Ulrich, l’uomo senza qualità, “non aveva mai potuto soffrire… sempre aperto che digrignava i denti”, “idolo dal muso schiacciato”.

Franca può essere sì travolta dal vento, anche da un vortice, ma un po’ lo teme e un po’ vuole governarlo e anzi nutrirsene, senza perdersi in esso. Sa che il suo pianoforte può sostenere il corpo di Cristiana, che può creare un dialogo senza parole. Sa ricorrere “alla razionalità cristallina della musica per trovare un senso a quello che avvertiva”.

Non si abbandona all’esaltazione, anche se a volte sembra pentirsene. Il successo non riscatta la malinconia. Forse può farlo l’arte. E, naturalmente, l’amore, ma a patto di “amare bene”, il che è di una spaventosa difficoltà. Resta il forse: è la domanda che La suggeritrice pone al lettore, e l’autrice a Rostand: cui Cyrano, tutto considerato, non aveva risposto.

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