“Sputiamo su Hegel e altri scritti” (che nel 1970, insieme al collettivo femminista di Rivolta Femminile, rappresentò una vera e propria bomba nella società italiana reduce dalla contestazione culturale del Sessantotto, ma ancora profondamente patriarcale) inaugura la ripubblicazione dell’opera di Carla Lonzi. Alla luce delle tante questioni che ancora oggi restano aperte (a partire dalla violenza sulle donne, senza dimenticare le responsabilità che in questo momento la scuola si trova ad affrontare) su ilLibraio.it lo ha riletto la scrittrice Giusi Marchetta: “La sua opera oggi non riporta solo in vita uno sguardo importante sul nostro passato, ma aggiunge una lente con cui analizzare il presente, una voce che chiede alle femministe di ogni tempo di continuare ad abbatterlo e di uscire da qualunque oscurità”

“Nessuno a priori è così condizionato da non potersi liberare; nessuno a priori sarà così non condizionato da essere libero”.

Torna in libreria per La nave di Teseo Sputiamo su Hegel e altri scritti, di Carla Lonzi. Torna sul finire di un’estate di violenza sulle donne e di un dibattito pubblico in cui parole come “femminismo” e “patriarcato” hanno ricominciato a circolare insieme in modo diffuso costringendoci a fare i conti con l’impatto che hanno sulla nostra vita.

Torna con la straordinaria varietà di spunti di un Manifesto che riunisce e rappresenta molte voci ma anche con la compattezza di un pensiero brillante capace di dar loro un’impronta personale e una direzione.

Ridare alle stampe tutta l’opera “della pensatrice femminista più amata” come la definisce la curatrice del libro, Annarosa Buttarelli, non significa solo contribuire alla diffusione di una pagina fondamentale della storia del pensiero femminista; l’assenza intenzionale di un apparato critico per questi testi li sottrae alla mediazione della contestualizzazione, offre a chi li legge per la prima volta il lusso di immergersi nella lettura e di mettere in discussione, pagina dopo pagina, le certezze che sembrano costruire il suo mondo ancora oggi a più di cinquant’anni di distanza dalla prima pubblicazione del libro.

In questi scritti, quindi, in cui si condensa la radicalità di uno sguardo che si ribella all’ordine costituito e a tutto ciò che lo rappresenta, il primo bersaglio di Lonzi è la lotta politica, in particolare la lotta di classe che non prevede la liberazione della donna, “il grande oppresso della civiltà patriarcale”. L’altro pilastro di cui far tremare le fondamenta è un pensiero che giustifichi nella metafisica “tutto ciò che era ingiusto nella vita di una donna.” Hegel, dunque; ma anche Marx, Freud e molti altri.

Basterebbe solo questo (ed è bastato negli anni ’70) per generare un discreto terremoto. Di più, una Rivolta: un movimento organizzato di ribellione interamente femminile contro un mondo di oppressori interamente maschile. O quasi. Le rivolta in una società patriarcale, infatti, dovrebbe essere portata avanti contro i padri che esercitano l’oppressione sulle donne e sui giovani, due soggetti che quindi hanno necessità di intrecciare un’alleanza che cambi le loro sorti. Certo, sempre che nel tempo il giovane non si candidi al ruolo dell’oppressore, cui comunque pare destinato. Per Carla Lonzi, infatti, la conquista del potere, l’uguaglianza formale che garantirebbe alla donna di mettersi alla pari con l’uomo nel lavoro e alla guida del Paese, non solo non è abbastanza ma non costituisce un obiettivo a cui aspirare. “La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi ma un muoversi su un altro piano.”

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Nell’uguaglianza della lotta e ancora di più nell’uguaglianza utopicamente raggiunta dalla società marxista, Lonzi vede il pericolo maggiore: quello di un’assimilazione del genere femminile alle regole del mondo patriarcale: “il principio in base al quale l’egemone continua a condizionare il non-egemone” scrive.

Tra i concetti più ricorrenti tra le pagine di questi scritti c’è l’idea di una profonda e radicata consapevolezza della propria differenza, una concezione che avvicina la donna bianca alla nera e che ritiene di superare attraverso questa radicale differenza qualsiasi altro parametro intersezionale: la classe sociale, l’età, l’etnia, nulla può davvero allontanarci da un’altra donna, né colmare la distanza che ci separa da un uomo.

Per quanto questo discorso riesca sempre a far risuonare in me delle corde che non riesco a zittire, non posso non mettere in dialogo questo aspetto del pensiero di Carla Lonzi con le pagine delle femministe nere che hanno richiamato i movimenti del XIX e XX secolo a una maggiore attenzione su questo tema e a dare invece molta rilevanza all’oppressione della donna bianca sulla donna nera.

C’è comunque qualcosa di estremamente importante nell’esporre se stesse a un pensiero capace di andare così a fondo nelle crepe della nostra società ma altrettanto capace di crearne delle altre: è la possibilità di entrare in dialogo con un’intelligenza personale e collettiva che ha innescato un cambiamento in un momento della nostra storia in cui il corpo delle donne era ancora più esposto alla violenza patriarcale di quanto non lo sia oggi. Questa radicalità nei confronti del sistema e questa manifesta libertà di pensiero attraversa anche gli scritti del libro sulla sessualità e sull’aborto che affrontano il tema del piacere sessuale e dell’autonomia e indipendenza del corpo femminile nel prendere decisioni che riguardino il proprio benessere fisico e psicologico.

In questo senso, l’obbiettivo che accomuna gli affondi di Lonzi sulla pagina appare davvero quello di far “saltare tutti gli strumenti di tortura della donna”, torture che ancora oggi non si contano. Non è un caso che le parole del Manifesto non siano rimaste tra le pagine di un libro ma siano invece diventate una dichiarazione di intenti attorno a cui si erano riunite tre donne: l’artista Carla Accardi, la giornalista Elvira Banotti e la stessa Lonzi. Dal Manifesto e dai manifesti affissi lungo le strade di Roma fino alla fondazione del gruppo Rivolta Femminile, il seminato di queste intellettuali ha fatto germogliare gruppi di femministe in tutta Italia che potevano organizzarsi attorno alla stessa rabbia, farla “cantare”.

Carla Lonzi libro

Rileggo questa storia, riguardo il video in cui Elvira Banotti contesta Indro Montanelli per il tristemente famoso madamato, ripenso a L’evento in cui Annie Ernaux racconta il suo aborto clandestino in una Francia che non glielo permette e  penso che questa storia non sia finita e non abbia smesso di pretendere il suo tributo di sangue. L’ha reso evidente il Mee too nel 2017, lo rende evidente il numero impressionante di violenze emerse in questi anni e ancora di più il sommerso di quelle taciute.

Questo non ci impedisce oggi di far rientrare nella battaglia contro il patriarcato altre soggettività o di mettere in discussione il concetto di donna come definizione biologica e perfino quello di binarismo di genere.

Significa però non dimenticare le bambine afghane che in questi giorni, a differenza dei coetanei maschi, non torneranno a scuola. Significa pretendere che le leggi riconoscano la complessità di una violenza come quella sessuale e quella domestica e non solo tutelino le donne che denunciano ma tutte affinché tutte possano sentirsi libere di denunciare. Significa infine riprenderci una storia che sia nostra e che ricordi e celebri tutti i corpi e le persone su cui quella violenza si è abbattuta in passato solo perché socializzate come donne.

A questo proposito proprio in Sputiamo su Hegel Carla Lonzi affronta il tema del punto di vista patriarcale nella nostra cultura: qualsiasi movimento di liberazione e di emancipazione dal patriarcato deve prima passare da un atto di autocritica, di destrutturazione e, inevitabilmente, di distruzione: “La deculturizzazione per la quale optiamo è la nostra azione(…) Smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti attraverso il potere”.

Un passaggio fondamentale di una riflessione che mi riporta con la mente alla scuola e a tutte le responsabilità che in questo momento il percorso scolastico ed educativo si trova ad affrontare: le sfide di un’educazione civica che non sia solo una casella sul registro, la strutturazione di percorsi di orientamento centrati su gli /le studenti, ma soprattutto la possibilità di erogare un’educazione alla sessualità e all’affettività che garantisca davvero i diritti di tutti e di tutte. Certo, pare difficile, se nelle chat d’ufficio, in quelle del calcetto, nelle conversazioni tra amici, a un evento sportivo davanti a migliaia di persone la donna continua ad essere considerata un oggetto o come scrive Carla Lonzi “uno strumento, nella migliore delle ipotesi”.

Eppure “Se la causa delle donne si pone è una causa vinta” scrive ancora, in un chiaro invito a non arrendersi. La soluzione è forse data dalla fase successiva alla presa di consapevolezza sul nostro rapporto col patriarcato e con la possibilità, a partire dal nostro stato di esseri condizionati dal sistema, di rompere la gabbia e proiettarci fuori. O indietro nella storia per rifarla da capi.

“Il destino imprevisto del mondo sta nel ricominciare il cammino per percorrerlo con la donna come soggetto. Riconosciamo a noi stesse la capacità di fare di questo attimo una modificazione totale della nostra vita.”

Io non so esattamente quanto tempo ci voglia per intraprendere questo cammino, so che molte persone, e tra queste moltissime donne stanno cercando di muoversi con delle pesanti catene alle caviglie. So che il gap salariale, le violenze sessuali, la discriminazione di genere, la violenza ostetrica, la pressione estetica e tutte le altre torture inflitte alle donne continuano ad esistere e ci rendono difficile immaginare un futuro in cui quella lotta abbia realmente cambiato le cose. Eppure, se Marx ci invitava a immaginarlo e a muoverci in quella direzione, Carla Lonzi nel 1970 parlava di presente.

Non esiste la meta, esiste il presente. Noi siamo il passato oscuro del mondo, noi realizziamo il presente”, scrive; e forse, ripubblicare e rileggere la sua opera oggi non riporta solo in vita uno sguardo importante sul nostro passato, ma aggiunge una lente con cui analizzare il presente, una voce che chiede alle femministe di ogni tempo di continuare ad abbatterlo e di uscire da qualunque oscurità.

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