“L’invenzione dell’Italia moderna” è una raccolta di studi di Giulio Bollati da poco riproposta – in occasione dei cento anni dalla nascita del suo autore – da Bollati Boringhieri, casa editrice che porta anche il suo nome. Qui, come sottolinea Michele Luzzatto nella sua riflessione, l’autore ed editore tratteggia le due figure archetipiche dell’intellettuale italiano, tra le quali si pone Bollati, capace di travalicare i campi e unire indipendenza di pensiero e tenuta economica
In un articolo pubblicato su MicroMega nel 1996 – probabilmente l’ultimo scritto che ci ha lasciato –, Giulio Bollati (Parma, 1924 – Torino, 1996) tocca un tema che non potrebbe suonare più attuale, nonostante il pezzo sia stato scritto quasi trent’anni fa.
Con piglio ironico, com’era usuale per lui, Bollati parte volando altissimo: “Anima e corpo, spirito e materia: superata infinite volte in sede speculativa, questa contrapposizione si è impressa tanto lungamente nelle strutture profonde della cultura italiana da diventare senso comune”.
Gli italiani, dice Bollati, si agitano in una schizofrenia autoimposta (e falsa) e si gettano a capofitto in una battaglia di cartapesta, combattuta con tenace convinzione, schierandosi in due campi avversi l’un contro l’altro armato.
C’è chi usa la mente e chi usa il corpo, e le due fazioni non si incontrano mai. Naturalmente i contendenti non si ascoltano, e così la società si trova spaccata, con gli “intellettuali” da un lato, intimamente convinti che “l’anima è nobile, il corpo è vile”, e la società civile dall’altro, tutta presa a sviluppare l’economia e felicemente ignara dell’esistenza dei primi. Insomma, chi fa non legge e chi legge non fa, e questa sarebbe la chiave per capire la decadenza morale italiana.
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L’articolo tratteggia due figure archetipiche dell’intellettuale italiano, due esponenti del primo dei due campi in lotta. C’è anzitutto il “letterato di antica ascendenza umanistica” che vive nel “culto del passato e della forma”. Costui è l’erede diretto dell’ancien régime e guarda con nostalgia ai tempi in cui chi faceva cultura si permetteva lunghi pomeriggi d’ozio filosofante tra gli ameni campi, sostanzialmente grazie al fatto che qualche servo della gleba arava i suoi campi per lui e qualche inserviente gli faceva trovare la tavola imbandita al suo ritorno da una passeggiata tanto intensa. Per l’umanista “l’industrialismo, col suo corteggio di utilitarismo, democrazia, cultura di massa, rappresenta una minaccia mortale per sé e insieme per la società intera”.
Poi c’è l’intellettuale radicale, che “si erge in atto di sfida contro il potere“, “rivendica i diritti della propria classe usurpati dal sovrano”, ma di fatto lo fa unicamente a favore di sé stesso, magnificando «il compito misterioso della propria autoriproduzione» (che frase sublime). Nessuno dei due si cura di come evolva il mondo.
Insomma, gli intellettuali italiani sono molto presi a parlare del primato dello Spirito o della rivolta contro il principe, ma sono distantissimi da chi si sporca quotidianamente le mani con le macchine cariche d’olio, coi calcoli matematici, con la produzione tecnica, con il progresso e, in definitiva, con la realtà delle cose terrene. Il marxismo – concede Bollati – aveva rappresentato una novità in questo senso: nella dialettica tra spirito e materia aveva tentato di “rendere la cultura immanente ai processi reali”, ma poi la sinistra italiana si è fatta risucchiare nella solita battaglia di cartapesta e tutto è finito in nulla.
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Non è un caso che un articolo di questo tenore, sferzante nei confronti dell’intellighenzia nostrana, sia stato scritto da un editore. L’editoria è quel settore produttivo che più degli altri si trova a cavallo tra i due campi, in bilico sul filo spinato del confine, ed è normale che da questa scomoda posizione si veda con particolare chiarezza l’insensatezza della battaglia tra anima e corpo. L’editore parla con gli intellettuali perché in definitiva sono loro a scrivere libri, ma poi fa i suoi bravi conti e cerca di rendere economicamente sostenibile la produzione industriale di quelle parole, anche perché la tenuta economica è presupposto necessario all’indipendenza di pensiero, e proprio questo dovrebbe essere un valore molto apprezzato dagli autori dei libri.
Ma in Italia le cose vanno diversamente, e il tutto rischia di risolversi in un circolo vizioso nel quale le parole scritte dagli apologeti dello Spirito vengono molto prosaicamente stampate in rumorose tipografie, assemblate in volumi, distribuite e infine vendute ad altri apologeti dello Spirito, i quali restano intensamente colpiti da quelle stesse parole, bellamente ignari del processo materiale grazie al quale hanno potuto leggerle. Processo che in fondo in fondo disprezzano.
È la contraddizione della società italiana, che non ha mai introiettato appieno la modernità. Mentre in Gran Bretagna, in Francia o in Germania la borghesia manufatturiera riesce a instaurare in epoca illuminista un’alleanza con gli ambienti della cultura, che a loro volta inglobano il pensiero scientifico, tecnologico ed economico nel processo della modernizzazione, da noi questa impostazione resta di fatto minoritaria, confinata a settori culturali limitati e alla lunga perdenti.
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Proprio questi sono, non a caso, gli ambienti che Giulio Bollati, da intellettuale a sua volta, studia di più. È per questo che uno dei suoi autori d’elezione è Carlo Cattaneo, il filosofo liberale, federalista, laico e illuminista che nel 1839 fonda la rivista Il Politecnico (poi ripubblicata dall’editore Bollati in edizione pregiata), nella quale la cultura materiale tecnico-scientifica ha un ruolo centrale e formativo: “Con Cattaneo, e solo con lui – scrive Bollati, – si può dire che si manifesti una promessa di borghesia compiuta, obbediente ai principi di una moralità nuova, intesa al successo come al compimento di impegni al tempo stesso scientifici ed economici, di interesse collettivo”.
Sono parole tratte da L’invenzione dell’Italia moderna, una raccolta di studi di Giulio Bollati da poco riproposta – in occasione dei cento anni dalla nascita del suo autore – da Bollati Boringhieri, casa editrice che porta anche il suo nome.
L’AUTORE – Michele Luzzatto è il direttore editoriale di Bollati Boringhieri.
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