“L’editoria, più dell’accademia, più del giornalismo, è il cuore pulsante della vita intellettuale di un paese. Senza sdilinquimenti però, la stella polare resta il successo…”. Nel libro “Storia confidenziale dell’editoria italiana”, Gian Arturo Ferrari, a lungo numero uno di Mondadori Libri, racconta (dal suo osservatorio privilegiato) “una storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie”, e mostra i cambiamenti del settore (nelle sue gerarchie, nelle sue usanze, nei suoi protagonisti come pure nei suoi comprimari) nel corso dei decenni…

Storia confidenziale dell’editoria italiana. Con un titolo così, la curiosità per il nuovo libro (pubblicato da Marsilio) di Gian Arturo Ferrari è alta.

Ferrari, classe ’44, a lungo numero uno di Mondadori Libri, il primo gruppo librario italiano, si propone infatti di raccontare, dal suo osservatorio privilegiato, “una storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie“.

Il “prof” (lui stesso nel libro spiega il soprannome) nel corso della sua carriera è stato, tra le altre cose, editor della saggistica Mondadori nel 1984 e direttore dei Libri Rizzoli nel 1986. Rientrato a Segrate nel 1988, l’anno successivo ha scelto l’editoria libraria come unica strada, dimettendosi dall’università. Una decisione che si rivelerà vincente: direttore dei Libri Mondadori nei primi Novanta, dal 1997 al 2009 Ferrari è stato direttore generale della divisione Libri Mondadori.

Negli anni al vertice del gruppo non sono mancati i successi, come pure le polemiche. Che l’autore ricorda dal suo punto di vista, com’è naturale che sia.

libro editoria gian arturo ferrari

Il volume di Ferrari, che con Bollati Boringhieri ha pubblicato il saggio Libro e con Feltrinelli il memoir Ragazzo italiano (in finale al premio Strega 2020), è pieno di storie intrecciate e incontri, di protagonisti e comparse, e ha il merito di fotografare i cambiamenti nell’editoria nel corso del secondo ‘900 e dei primi anni del terzo millennio. Il tempo ha infatti rivoluzionato leggi non scritte e gerarchie.

Non c’è solo l’Italia: alcune pagine sono dedicate agli incontri con gli editori d’oltreoceano: “l’America non è solo New York”, sottolinea l’autore, “nonostante gli editoriali nuovaiorchesi si vergognino” dei loro colleghi degli altri Stati…

E così, con ritmo, si va avanti di capitolo in capitolo, imbattendosi in non pochi retroscena (riletti dal punto di vista dell’autore).

Un libro pieno di nomi ma anche di libri (e di curiosità sulla loro genesi): parlando, per citare un caso “mitizzato”, e su cui sono circolate svariate voci, della vicenda legata alla pubblicazione di Gomorra, bestseller d’esordio di Roberto Saviano, una volta per tutte Ferrari divide il merito della scoperta dell’autore campano fra tutte quelle figure (consulenti, editor e dirigenti di Segrate, compreso lui) che, negli anni, sono state indicate come le vere scopritrici del suo talento.

Numerose le opinioni espresse sul mestiere, come questa: “In che cosa consista precisamente il marketing applicato all’editoria libraria resta in larga misura un mistero…”.

O ancora: “Non vantando l’editoria libraria professionalità riconosciute, come ad esempio il dentista o il commercialista, chiunque si ritiene in diritto di intervenire e giudicare nel merito, a maggior ragione se si trova vicino al cuore pulsante, al che cosa e al come pubblicare. È in verità un problema più profondo, che tocca l’intima essenza dell’editoria stessa, il suo essere completamente esposta, il fatto cioè che i fruitori, il pubblico, si sentono sullo stesso piano dei produttori, gli editoriali“.

Qui un altro virgolettato dal volume: “Da quando bazzico nell’editoria ho sempre pensato che l’indirizzo generale – il terreno su cui muoversi, il tipo di rapporto con il lettore, l’obiettivo ultimo che si vuole raggiungere – spetti all’editore, visto che è lui a rischiare in prima persona. E ho sempre pensato che il funzionario editoriale, anche se di alto grado, sia un comprimario, un interprete di quell’indirizzo. Con tutte le libertà che l’interpretazione consente, ma non fino al punto di snaturare l’identità più profonda della casa editrice”.

Interessante leggere questo passaggio in parallelo alle pagine dedicate a Silvio Berlusconi, suo editore negli anni a Segrate: “Solo una volta si arrabbia veramente con me, ma non per i numerosi libri di autori avversi a lui che continuiamo a pubblicare…” (lasciamo al lettore la scoperta della motivazione…). Divertente, sempre a proposito dell’ex premier, il capitolo sugli aspiranti autori che si presentano a Segrate “raccomandati” dal Cavaliere

Inevitabilmente, sono proprio i brani dedicati al primo gruppo librario nazionale quelli più densi, tra riunioni tese, scontri interni, amicizie, sfide al premio Strega e battaglie, anche legali: del resto erano gli anni della “guerra di Segrate” e del “lodo Mondadori” prima, e degli attacchi per i conflitti d’interesse di Berlusconi premier dopo.

Non stupisce che in Storia confidenziale dell’editoria italiana non compaiono parole come “rimpianto“, “nostalgia” e “autocritica“. In compenso, l’autore appare schietto nel rivendicare l’atteggiamento che, da capo, ha assunto nei confronti dei sottoposti: “(…) Opto per un doppio binario. Con i miei collaboratori diretti, gente che ho scelto io, non rinnego certo la fiducia che ho in loro, del resto siamo, o siamo diventati, amici. Non ci sono quasi mai motivi di contrasto e se ci sono si appianano presto perché siamo d’accordo sulla meta che vogliamo raggiungere. Con tutti gli altri e soprattutto con le giovani leve faccio invece la parte del cattivo, del Dart Fener. All’esterno lo sono già per definizione, essendo il rappresentante della berlusconiana Mondadori. All’interno penso che ai puledri vadano messe briglie e sella. Penso anche che le energie migliori siano oppositive, che diano i migliori frutti se si contrappongono a qualcosa, cioè in effetti a qualcuno. L’ho imparato da Franco Tatò, che anche con me non ha mai mostrato alcuna condiscendenza. Le cose bisogna dirsele come stanno, senza tante storie. Meglio provocare che mostrarsi acquiescenti…”. Chissà cosa ne pensano oggi i diretti interessati… forse sarebbe un altro libro.

L’editoria, si evince dalle pagine del volume, è figlia dell’intellettualità e del commercio, ma in fondo senza appartenere a nessuno dei due. A questo proposito, negli anni e nei viaggi Gian Arturo Ferrari ha compreso che “l’editoria è nella sua essenza un fatto commerciale, comprare e vendere, ma di una specie superiore di commercio. Quel che si compra e si vende è una merce molto particolare, il frutto dell’ingegno e della creatività umana calato nella forma del libro. Per questo l’editoria, più dell’accademia, più del giornalismo, è il cuore pulsante della vita intellettuale di un paese. Senza sdilinquimenti però, la stella polare resta il successo. Concreto, misurabile. Vige l’assioma che se un libro è buono, avrà successo. Se non ce l’ha vuol dire che non era tanto buono. (O che l’editore non ha saputo fare il suo mestiere.)“.

E per chiudere, un’ultima citazione da Storia confidenziale dell’editoria italiana, che dice molto dell’autore, a sua volta un personaggio centrale di questa che, in fondo, è anche un’autobiografia. Riferendosi all’editoria degli anni ’70, Ferrari (dal 2010 al 2014 presidente del Centro per il libro e la lettura) ritrae così la sua categoria: “Tra di loro gli editoriali si intendono. Della loro comune vocazione non parlano mai, è data per sottintesa, sembra di cattivo gusto tornarci su. Marcatamente individualisti, non sono affatto una comunità né vogliono esserlo (ci sono invidie, dispetti, sgambetti), anche se condividono opinioni e atteggiamenti di superficie. Una certa esibizione di sprezzatura professionale per i libri, da sagrestani con gli arredi sacri, libri di cui è bene parlare con oggettività e freddezza, trattati come se fossero cose, manufatti o attrezzi, badando bene di evitare gli sdilinquimenti. O ancora le posizioni politiche, tutti di sinistra ovviamente, non si sono mai visti democristiani in editoria… (…). Il legame sotterraneo che unisce gli editoriali si fonda su un riconoscimento tra pari, quello di essersi ribellati al comune destino che li avrebbe voluti a insegnare lettere in qualche remota scuola media e di essersi invece tuffati nel calderone dove ribolle la cultura nel suo farsi. E c’è anche, a unirli, l’ambigua solidarietà dei camerieri, del personale di servizio o dei servi di scena, quelli che stanno dietro le quinte, che sanno che cosa c’è dietro. Quelli che vedono i Napoleoni della letteratura e, si fa per dire, del pensiero in mutande. Quelli che conoscono e praticano il dark side, le umilianti trattative, gli inganni, le menzogne, le sopraffazioni. E nonostante questo, o forse proprio grazie a questo, continuano a sentire intatta, anzi esaltata, la fascinazione per la genesi impura di quanto di meglio gli uomini sono stati capaci di fare su questa terra“.

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