Mens sana in corpore sano. Basta questo antico detto per legittimare la grande passione contemporanea per la medicina divulgativa? Su ilLibraio.it l’analisi di una delle ultime tendenze in libreria: dal bestseller “L’intestino felice” a “Primo non nuocere”, autobiografia medica di Henry Marsh, ecco i casi più interessanti…

Mens sana in corpore sano. Basta questo antico detto per legittimare la grande passione contemporanea per la medicina divulgativa? Perlomeno, la curiosità dei lettori per questo fortunato filone editoriale fa pensare che nella conoscenza ci sia la speranza di capirsi meglio, e di riuscire a far fronte alle prime avvisaglie di qualche malattia.

Si spiegherebbero così i tanti testi che in quest’ultimo anno si sono avvicendati sugli scaffali delle librerie, raggiungendo anche la vetta delle classifiche di vendita, come il fortunatissimo L’intestino felice di Giulia Enders (Sonzogno) che, tra disegni divulgativi, capitoli dai titoli ammiccanti ed efficaci similitudini con la vita di tutti i giorni, porta l’attenzione sull’organo forse più negletto e maltrattato di tutti. Ma non si pensi che un titolo così giocoso sia sintomo di contenuti esili: semplicemente, accattiva anche i lettori più restii a impegnarsi e garantisce una trattazione amichevole, mai criptica, a tratti illuminante.

D’altra parte, anche in Italia abbiamo avuto una recente riprova di come i titoli aiutino a “masticare” e “digerire” i contenuti: Enzo Soresi, già autore di Il cervello anarchico, ha pubblicato per UTET insieme a Pierangelo Garzia Mitocondrio mon amour, che è tutt’altro che un libro superficiale. Infatti, in questo contributo è fondamentale tenere ben viva l’attenzione, meglio ancora se accompagnata da qualche conoscenza pregressa. Cos’è il mitocondrio? Non solo Soresi risponde a questa domanda, ma accompagna la sua trattazione a un po’ della sua autobiografia di medico e di paziente a sua volta. Allora le “strategie per vivere meglio e più a lungo” riportate nel sottotitolo si dipanano davanti agli occhi del lettore come qualcosa di davvero realizzabile, a patto di qualche sacrificio nella dieta e un più corretto stile di vita, per la più nobile delle cause: la nostra salute. “Fitness moderato e una alimentazione povera di zuccheri, questo il segreto della mia longevità”, sostiene Soresi (ib., p. 35), ma non solo, e il lettore lo scoprirà lungo un cammino di capitoli, parentesi personali e ricerche recenti sul forte legame tra biologia e medicina. E proprio qui emerge il nucleo forte del libro: mai considerare la medicina come un sapere compiuto, da mettere in pratica; la disciplina è estremamente porosa, pronta a farsi contagiare dalle scienze, in quanto sempre perfettibile.

Questi limiti, che si cerca perennemente di superare, non appartengono solo alla ricerca, ma anche al medico. Accettare la sfida quotidiana contro la malattia e la morte è complesso, e lo è ancor di più ammettere che le proprie mani possono tremare e fallire. In quest’ottica Primo non nuocere, splendida autobiografia medica di Henry Marsh (Ponte alle Grazie), porta sulla carta il quotidiano di uno dei neurochirurghi più noti al mondo. Al contrario di quanto avviene per Soresi, Marsh non scrive un saggio che sfiora l’autoaiuto, ma riorganizza la sua vita in capitoli che riportano i casi da lui vissuti in prima persona: il lettore, stupendosi e commuovendosi, scoprirà un testo di rara bellezza e sincerità, e gli sarà impossibile non innamorarsi un po’ di più della chirurgia. Inoltre, le scelte complesse di Marsh, la sua biografia e l’avvicendarsi di successi e fallimenti sono facilmente trasponibili in ciò che definiremmo “un’autobiografia umana”, e non solo medica: ogni caso può farsi simbolo di un ostacolo da abbattere; e allora è facile capire come Primo non nuocere “rischi” di raccontare, oltre la vita di Marsh, anche un po’ la nostra.

Ma la corsia non è fatta solo di chirurghi acclamati: è vissuta (e raccontata) anche da chi ci mette piede per le prime volte. Proprio poche settimane fa, Vallardi ha pubblicato la celebre blogger francese Jaddo, che in Vita di corsia narra le avventure (ora giocose, ora amarissime) di una specializzanda. Anche questa volta si tratta di non-fiction, e come precisa Jaddo sul blog che continua a scrivere: solo i nomi sono giustamente protetti dallo pseudonimo. Il resto (e viene da sospirare) è pura verità: così le frasi riportate in epigrafe dei capitoletti sono state davvero pronunciate da pazienti, da colleghi e superiori pluri-laureati in cinismo.

Il 2016 non si limita a salutare Jaddo in libreria; anche un’altra blogger, Gretchen Rubin, già famosa in America, si cimenta con strategie per migliorare la propria vita; ma questa volta non si tratta di medicina tout court, ma di una delle malattia di cui siamo anche gli… agenti patogeni: le abitudini. Siamo tutti malati di routine, e in Cambiare è facile (Sonzogno) la Rubin abbandona qualsiasi pretesa medica per spostare la sua attenzione sulla vita di tutti i giorni.

Ma, per tornare al filone di cui sopra, accanto ai medici e agli specializzandi che raccontano di sé e delle proprie ricerche, è uscito quest’anno un altro libro di grande impatto, che entra in corsia ma la esplora da tutt’altro punto di vista. Infatti, Pierdante Piccioni frequenta abitualmente gli ospedali in qualità di primario, ma in Meno dodici (Mondadori) sfila il camice per infilare un pigiama da paziente. La sua è infatti un’autobiografia piena di quesiti: cosa accadrebbe alla nostra identità e al nostro presente, se perdessimo la memoria del passato? A causa di un grave incidente, infatti, Piccioni ha perso ben dodici anni di ricordi, per cui il suo risveglio nel 2013 pare qualcosa di futuristico agli occhi del dottore, che non riconosce i figli ormai cresciuti e stenta a spiegarsi le rughe sui visi di amici e parenti. Se il letto d’ospedale è in realtà solo il luogo da cui muove tutto il libro, resta il punto di eterno ritorno per confrontarsi su un presente a cui non resta che «rassegnarsi», come ripetuto più volte da Piccioni, ma neanche questo mette a tacere le tante domande senza risposta.

Sempre domande e qualche tentativo di risposta affollano il recentissimo Essere mortale. Come scegliere la propria vita fino in fondo (Einaudi), del famoso Atul Gawande. Questa volta, il medico, già noto per la cronaca (faceva parte del “gruppo Salute Pubblica” di Bill Clinton) e per precedenti pubblicazioni, si cimenta con una delle domande più rilevanti e spaventose: è più importante la salute o il benessere? A partire dalla gravissima malattia del padre, Gawande si misura con il dolore dell’incurabilità esaminandolo da punti di vista diversi: pazienti, parenti ma anche colleghi. Accanto alla sofferenza, emerge sempre l’ansia dei pazienti di perdere l’autonomia: e allora Gawande rassicura, perché questa forse è l’epoca più preparata ad accogliere e trattare la malattia, garantendo sempre più un’alta «quality of death».

Informazione, curiosità, aneddoti e anche molto di sé: cosa ci riserverà il resto dell’anno? Le pubblicazioni in ambito medico non si fermeranno qui. Sonzogno lascia intendere, ad esempio, che la casa editrice straniera che aveva scoperto la Enders sta per proporre un altro incredibile caso…

“La medicina è la mia legittima sposa, mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l’altra”, sosteneva Cechov. Le tendenze editoriali di questi ultimi anni paiono mettere d’accordo entrambe, senza suscitare la gelosia dell’una o dell’altra.

Libri consigliati