Fabrizia Ramondino (31 agosto 1936 – 23 giugno 2008) non ha niente da invidiare ai grandi della letteratura della sua magnifica città, Napoli, da Anna Maria Ortese, a Raffaele Capria, a Domenico Rea, eppure non molti conoscono i suoi lavori. Scrittrice prolifica, ha spaziato tra i più disparati generi letterari, dall’autobiografia al resoconto di viaggio, dai racconti ai romanzi, dalla scrittura memorialistica alla sceneggiatura, poesia, inchiesta – L’approfondimento sulla sua vita (in cui ha molto viaggiato) e sulle sue opere, oggi riscoperte

Lo scorso 8 marzo 2022, nell’Aula Pessina dell’Università Federico II di Napoli, si è tenuto un convegno incentrato su alcune figure femminili della scena letteraria italiana che, purtroppo, sono finite nell’ombra, poco conosciute dal pubblico, nonostante il talento e la grandiosità delle loro opere. Tra le protagoniste del convegno, Fabrizia Ramondino.

Fabrizia Ramondino non ha niente da invidiare ai grandi della letteratura della sua magnifica città, da Anna Maria Ortese, a Raffaele Capria, a Domenico Rea, eppure, a oggi, non molti conoscono i suoi lavori. 

Scrittrice prolifica, ha spaziato tra i più disparati generi letterari, dall’autobiografia al resoconto di viaggio, dai racconti ai romanzi, dalla scrittura memorialistica alla sceneggiatura, poesia, inchiesta. Spesso nel suo lavoro gli stili e i confini tra generi si fanno permeabili, creando una miscellanea in linea con la sua volontà di fuggire la categorizzazione in generi e stili più definiti – “Perché si dovrebbe entrare in un solo cassetto? In quale cassetto chiuderesti ad esempio Pasolini?”, scriverà.

Scrittrice, sì, ma anche grande viaggiatrice, militante politica, reporter appassionata e impegnata nel sociale: in occasione della ripubblicazione di Guerra d’infanzia e di Spagna (Fazi), ripercorriamo la storia di questa grande scrittrice, a partire dalle sue opere.

L’infanzia e l’adolescenza di Fabrizia Ramondino: tra Napoli e Palma di Maiorca

Ramondino è nata a Napoli, il 31 agosto 1936, ma da Napoli viene presto allontanata. Suo padre, Ferruccio Ramondino, è un diplomatico, e con il suo lavoro è costretto a viaggiare di continuo. La famiglia, com’era naturale, lo segue senza esitazioni.

Così, quando da bambina Ramondino guarda il mare, non vede il versante inconfondibile del Vesuvio, ma le scogliere impervie che si alternano alle spiagge incontaminate di Palma di Maiorca. Il periodo nell’arcipelago delle Baleari, specie quello trascorso nella prima casa di Son Batle, viene evocato più volte da Ramondino come un paradiso perduto, soprattutto nel romanzo Guerra d’Infanzia e di Spagna.

A questo periodo si possono rimandare alcuni dei temi caldi di Ramondino: la differenza di classe, accentuata dal suo essere cresciuta insieme a una balia; la simpatia verso gli umili; il viaggio stesso, grazie ai continui spostamenti fatti nel periodo spagnolo; la riflessione linguistica derivante dal bilinguismo. 

Dopo l’armistizio del ’43, la famiglia lascia definitivamente Maiorca e Ramondino si sposta in continuazione. Madrid, Taranto, penisola sorrentina, Chambery, in Savoia, Roma, Milano, Germania. Ogni viaggio, però, la riporta sempre a Napoli. 

L’età adulta: prima di scrivere

Nel 1960 Ramondino si trasferisce a Napoli, dove sposa il pittore Francesco Alberto Caracciolo. Nel corso dei suoi viaggi ha imparato diversi mestieri, come quello di traduttrice e insegnante, e milita per un breve periodo nel PSI – almeno fino a quando i socialisti non salgono al governo.

Dopo la laurea in Lingue, Ramondino è inarrestabile. Lavora all’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica), dove insegna alle donne a usare il diaframma in anni in cui svolgere propaganda anticoncezionale era proibito dalle legge; è volontaria presso l’ARN, l’Associazione Risveglio Napoli, dove organizza un asilo nido per la comunità più povera e una scuola serale per i lavoratori analfabeti. Altri viaggi, un matrimonio fallito, una figlia avuta da un amante, tanti taccuini pieni di spunti, frasi, riflessioni: dovrà aspettare la fine degli anni ’70 per scoprire la sua “vera” vocazione.

Napoli, i disoccupati organizzati (1977)

“Io ritengo che per esempio ti potrei parlare a livello di una femminista. La donna, per esempio, per le persone antiche come sono rimaste qua deve fare la mamma, la figlia, la moglie e basta; politica non ne deve fare, per esempio in mezzo a queste cose non ci deve stare, quell’altro non lo deve fare, insomma a un certo punto io mi dovrei rendere schiava, io questo non lo voglio, non voglio assolutamente essere schiava di una persona, cioè he lui mi deve utilizzare a me come gli pare e piace. No!”

La prima prova artistica pubblicata da Ramondino è Napoli, i disoccupati organizzati (Feltrinelli), un saggio, in prima persona, in cui i temi cari alla scrittrice cominciano a emergere: l’impegno sociale e civile, il racconto inteso come rappresentazione della condizione dei proletari napoletani degli anni ’60, il Movimento dei Disoccupati Organizzati e le difficili condizioni in cui versavano le giovani donne lavoratrici. 

Il testo è anche occasione di riflettere sulla lingua: come tanti autori prima di lei, Ramondino ha dovuto decidere se scrivere in italiano o in dialetto, ben conscia delle peculiarità e delle problematiche di entrambe le scelte. Qui, e non soltanto, decide di optare per l’italianizzazione del dialetto.

Althénopis (1981)

althenopis fabrizia ramondino

“E a cosa servivano certe sontuose tavole apparecchiate con argenterie e cristalli e due forchette ciascuno, due coltelli, due cucchiai, tre piatti e due bicchieri? A volte infatti qualcuno di noi veniva trattenuto per la cena; giocavano intanto a bridge nel salotto o sotto il pergolato le signore. Ma perché quelle tavole così apparecchiate, se poi solo veniva servita una pastina al burro, una fettina di mozzarella e una mela? Rimpiangevo allora la larga conca di terraglia colorata in cui nelle famiglie del villaggio si mangiava la zuppa di fagioli con grossi tozzi di pane galleggianti, oppure l’insalata di patate, cipolle, pomodori, zucchine, cosparsa di origano, dalla quale ciascuno attingeva col cucchiaio o con la forchetta con gesti che sarebbero stati avidi, per timore che finisse, se non ci fossero state le minacciose occhiate del capofamiglia.”

Come scrive Fabrizia Ramondino, “Althénopis è il nome della mia città natale. In origine il suo nome significava occhio di vergine. Ma pare che i tedeschi, durante l’occupazione, trovandola così imbruttita rispetto alle descrizioni di Mozart (riferite anche in una novella di Mörike) e di Goethe, le mutarono il nome in Althénopis, che starebbe appunto a significare occhio di vecchia. Alcuni letterati apologeti della nostra città accampano l’interpretazione occhio di saggio; contro questa interpretazione però si oppone da un lato la constatazione che i barlumi di saggezza sono ancora troppo tenui nella nostra città, come altrove, per essere considerati duraturi; dall’altro il dizionario tedesco stesso, dove saggio suona weise e non alt”.

La città dall’occhio di vecchia è, ovviamente, Napoli. Una Napoli appena distrutta dal terremoto dell’Irpinia, che però resta sullo sfondo, mettendo in primo piano le vicende di una famiglia che approda in un paesino inesistente sulla costiera, Santa Maria del Mare. Una famiglia le cui protagoniste sono, generalmente, donne: dall’io narrante, bambina, alle due figure fondamentali nella sua crescita, la madre e la donna, occhi privilegiati in grado di mostrare all’io narrante un punti di vista diversi, ma complementari.

Guerra di infanzia e di Spagna (2001 – Fazi, 2022)

guerra di infanzia e di spagna fabrizia ramondino

“Erano ospiti della nostra casa viaggiatori provenienti da vari paesi, che narravano di mondi strani e favolosi, e avevano inflessioni della voce, dell’accento, fogge d’abiti, maniere che non mi erano familiari. Anche nel nostro giardino c’erano i “fiori viaggiatori”, come quei signori venuti in visita. I crisantemi venivano dal Giappone, le rose da Babilonia, i lillà dall’Asia, la pianta del caffè, l’albero del pepe, i banani, le palme, numerosi nel giardino, dall’Africa; e molti altri ancora erano i fiori arrivati da lontano: le zinnie, le dalie, i tageti, i tulipani, che avevano la forma della cuffia della donna raffigurata sulle scatole di cacao Droste con in mano una tazza fumante. I “fiori viaggiatori” assomigliavano alle cartoline che ci inviava la signora di Son Batle ora dall’Asia ora dalle Americhe ora dall’Africa.”

Da sempre, i luoghi in letteratura non sono mai soltanto luoghi: capacità dell’autore è proprio il saper rendere l’ambientazione contesto e cuore della narrazione.

In Guerra di infanzia e di Spagna, il capolavoro di Ramondino, la protagonista è l’isola di Maiorca, tanto cara all’autrice, descritta attraverso lo sguardo attento della piccola Titita, figlia del console italiano sull’isola. Sono solo le prime di tante similitudini con l’autobiografia dell’autrice.

L’intero romanzo è una lunga lotta tra mondo fantastico e reale, nella quale la vita di Titita si mescola con la storia di una famiglia nella seconda metà degli anni ’30. La lotta, quindi, è anche inserita all’esterno, con la Seconda Guerra Mondiale alle porte.

Ma siamo a Maiorca, e c’è un’altra guerra da combattere: la guerra civile spagnola. E chi può raccontare tutto questo accavallarsi di storia, eventi e drammi, meglio di una bambina dagli occhi neri e svegli, che usa ciò che succede all’esterno per imparare a capirsi un po’ di più?

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fabrizia Ramondino: la morte e l’ultimo romanzo

Il 23 giugno 2008 Ramondino è a Itri, nella spiaggia di Sant’Agostino, a fare una nuotata. Il mare è calmo, la temperatura è mite. Mentre torna sulla spiaggia, però, ha un malore. La morte è fulminea.

Il giorno dopo, il 24 giugno, in tutte le librerie esce La via (Einaudi).

La via (2008)

fabrizia ramondino la via

“…mentre invece sarai come un re in incognito, anche io lo sono, perché i veri re, intendo i re di se stessi, per quanto è possibile essere re di se stessi, sono come i re veri, che si nascondono e hanno un dignitario che gli riferisce i fatti”

Un uomo di mare si arena, ad Acraia, un paesino dove la vita scorre nella sua lentezza, fra ricordi e pettegolezzi. La permanenza in quel paese diviso a metà da una strada detta “la via” è per lo straniero picaresca e avventurosa, sia per le figure epiche che vi abitano, sia perché la velocità del cambiamento storico e generazionale di quel paesino di provincia si rivela drammatica e sorprendente, emblematica di una mutazione più generale. A Donna Rosita e i tre Generali si accostano tanti altri personaggi, spesso in contrasto l’uno con gli altri, che aspettano l’occasione di farsi raccontare da un occhio che non li conosce. Un uomo di mare, per l’appunto.

Libri consigliati