“Prestami le ali” è il primo libro per bambini di Igiaba Scego. L’autrice, italiana di origine somala, ne parla con ilLibraio.it: “Racconto una storia sulla libertà, sulla ricerca di qualcosa che ci rende liberi”. Quanto al debutto nell’editoria per ragazzi: “È un mondo aperto a ogni forma di sperimentazione, dove la fantasia non è imbrigliata, ma corre letteralmente verso il futuro” – L’intervista e le illustrazioni di Fabio Visintin
Prestami le ali (Rrose Sélavy Editore, illustrazioni di Fabio Visintin, introduzione di Antonella Agnoli) è il primo (bel) libro per bambini di Igiaba Scego (nella foto di ®Simona Filippini), che si confronta con una storia vera (già ritratta da artisti, e descritta da altri scrittori e poeti in passato), quella di Clara, una rinoceronte indiana, diventata un fenomeno da baraccone dopo che il suo padrone, un capitano olandese, nel ‘700 l’ha fatta “esibire” in mezza Europa.
Nel libro trovano spazio anche altre storie, ambientate a Venezia durante il carnevale del 1751, compresa quella di una bambina ebrea del ghetto veneziano e di uno schiavo di origine africana, che aiuteranno Clara a salvarsi. ilLibraio.it ne ha parlato con l’autrice, italiana di origine somala (saltuariamente collaboratrice del nostro sito, ndr).
Com’è nata la scelta di scrivere il suo primo libro per bambini?
“Sono tre anni che ho una rubrica sulla rivista Internazionale dove recensisco libri per bambini e ragazzi. Ogni settimana mi passano davanti libri di una incommensurabile bellezza. Contenuti magici e illustrazioni spaziali. Un’editoria, quella per bambini e ragazzi, aperta a ogni forma di sperimentazione, dove la fantasia non è imbrigliata, ma corre letteralmente verso il futuro. Dopo averne letti tantissimi, mi sono detta: ‘prova anche tu Igi'”.
E com’è arrivata a concretizzare il progetto?
“In questo percorso ho avuto dei complici (oltre l’editore Rrose Sélavy che ha creduto tanto in me). Il primo è stato Shaul Bassi, professore all’Università Ca’ Foscari, che grazie a due progetti universitari (Remapping the ghetto e le residenze letterarie Waterlines) mi ha fatto conoscere un’altra Venezia, inedita per me”.
Per questo ha ambientato la storia nella città lagunare?
“Sì. Ho conosciuto così la Venezia della cultura ebraica e della cultura della mescolanza. Una Venezia viva che non ha nessuna intenzione di morire soffocata dal turismo di massa. Una Venezia che è cultura e attraversamenti. Shaul è un vero Virgilio in questo, mi ha guidato in una città che esige solo più rispetto da parte del mondo. L’altro complice è stata una maestra elementare, Vania Borsetti, con i suoi alunni della VA e VB della scuola Pisacane di Tor Pignattara, a Roma. Ai bambini avevo presentato la storia della Rinoceronte come racconto didattico e sono stati loro a dirmi ‘Scrivi la storia’. Senza Shaul, Vania e i bambini non so se mi sarei lanciata in questa impresa”.
Durante l’infanzia e l’adolescenza, quali letture l’hanno segnata?
“Ho letto voracemente di tutto, da Jane Austen a Cervantes, dai gialli (soprattutto Agatha Christie) ai fumetti. A cambiarmi la vita è stata l’autobiografia di Malcolm X, dove ho imparato che black is beautiful e che non serve arrabbiarsi e basta, ma servono le parole. Poi, in generale, mi sono sempre piaciute le avventure a sfondo storico e le storie della seconda guerra mondiale. Sentivo che dovevo capire il male per potermi difendere da esso. Quando gli altri adolescenti erano mediamente felici io personalmente vivevo la tragedia di una guerra civile somala (scoppiata nel 1991) vissuta a distanza. Una guerra che per due anni mi ha fatto perdere completamente le tracce di mia madre, era di fatto desaparecida. Se non ci fossero stati i libri non so come avrei superato quel periodo senza impazzire. Per fortuna mia madre è tornata sana e salva. Ma i libri non li ho mai abbandonati, ho un grande debito di gratitudine verso di loro”.
Torniamo al nuovo libro. Cosa l’ha spinta a raccontare proprio questa storia?
“Il quadro di Pietro Longhi che si trova a Ca’ Rezzonico, a Venezia. Mi sono chiesta (e come me tanti visitatori del museo immagino) che cosa ci facesse un rinoceronte a Venezia nel ‘700 insieme a tanti veneziani mascherati. Il quadro era davvero bizzarro, oltre che bellissimo. Poi, dopo, mi sono messa a fare delle ricerche, e ho scoperto la storia di Clara. Perché si chiamava davvero Clara la rinocerontessa, non gli ho dato io il nome, ma gli uomini e le donne del ‘700. Allora ho capito che la storia di Clara era una triste storia di sfruttamento (anche coloniale, si applicava agli animali quello che poi sarebbe stato fatto agli uomini) e odio verso l’altro”.
Così ha cominciato a scrivere?
“Ho scritto prima una versione per adulti (che sarà pubblicata in un’antologia) e poi, grazie ai bambini della Pisacane, questa favola. Volevo dare a Clara una speranza di felicità che nella vita reale non ha avuto. E dando speranza alla Clara della mia storia, la stavo dando anche a me stessa e a tutti noi. Ho cercato di mettere della poesia in una storia che di poetico purtroppo non aveva nulla”.
Rispetto a quando scrive testi destinati agli adulti, com’è cambiato il suo approccio alla scrittura, dovendosi rivolgere a lettori più piccoli?
“Ho lavorato molto sulle parole e sulle immagini mentali che la storia mi suscitava. Devo dire che ho faticato il triplo per trovare la voce giusta e i personaggi. Ma ecco, poi i bambini della storia, Suleiman ed Ester, mi hanno preso per mano e hanno fatto tutto loro. È stata un’emozione grandissima vedere che poi il mio testo ha dialogato così bene con le illustrazioni magistrali di Fabio Visintin. Lui è bravissimo e questo lo sapevo già. Ma il suo tratto ha creato la Clara che mi portavo dentro il cuore da mesi. Le ha dato un volto. Le sue illustrazioni mi hanno commosso. Mi sento fortunata ogni volta che apro il libro e le vedo. Poi l’introduzione di Antonella Agnoli, una delle persone che stimo di più in Italia, ha impreziosito il progetto”.
Viviamo in un momento storico complesso, e purtroppo si torna a parlare di razzismo: quali messaggi ha cercato di far passare, raccontando questa storia?
“È un libro sulla libertà, sulla ricerca di qualcosa che ci rende liberi. Naturalmente c’è un sottotesto storico. Qui ho introdotto dei personaggi ponte verso tematiche anche complicate, quali la schiavitù, il colonialismo, la segregazione. Inoltre, volevo introdurre (ed è venuto tutto naturalmente, non era un’intenzione nata a tavolino) un po’ di diversità culturale. Quindi avere una bambina ebrea, i dolci della gastronomia ebraica insieme alla storia della schiavitù in Italia (Suleiman è uno schiavetto nero a Venezia) mi sembrava qualcosa di nuovo da fare. Almeno nuovo nella mia produzione letteraria”.
Il suo prossimo libro sarà un romanzo per adulti o un altro testo per bambini?
“Sarà un romanzo per adulti, con una struttura un po’ particolare. Non dico di più perché sono scaramantica. Ma, ecco, va detto che ora Clara ha aperto dentro di me una strada nuova, che non abbandonerò”.