“La spinta verso il parlato conversazionale e l’aumento dell’espressività hanno portato nella radio una netta affermazione dei tratti dell’uso medio…”. ilLibraio.it ha intervistato sull’evoluzione dell’italiano radiofonico nell’era di internet Erica Atzori, che da tempo si occupa di studiare la lingua della radio e che ha pubblicato un saggio sull’argomento

Internet e i social network non hanno influenzato solo il nostro modo di comunicare per iscritto, ma anche di ascoltare i programmi radiofonici, che hanno cambiato tempi, linguaggi, modalità di relazionarsi con il pubblico e molto altro ancora.
Per discutere di tutti questi rapidi e sostanziali mutamenti, ilLibraio.it ha intervistato Erica Atzori, che da tempo si occupa di studiare la lingua della radio e che ha pubblicato La lingua della radio in onda e in rete (Franco Cesati Editore, 2017).
La lingua della radio in onda e in rete

Il mondo della radio è molto cambiato negli ultimi anni: a suo parere e dalle analisi che ha condotto, sta seguendo la stessa evoluzione dell’italiano dell’uso medio?
“L’italiano dell’uso medio è una varietà linguistica caratterizzata dalla semplificazione di alcuni paradigmi (pronomi personali, modi e tempi verbali) e dalla tendenza a una maggiore espressività, ottenuta tramite artifici di messa in rilievo di elementi nella frase. La spinta verso il parlato conversazionale e l’aumento dell’espressività hanno portato nella radio una netta affermazione dei tratti dell’uso medio, in particolare nei programmi di intrattenimento. Ad esempio, le uniche forme pronominali soggetto presenti sono le oblique lui/lei/loro, compare il che polivalente, mentre il congiuntivo ha una scarsa tenuta. I fenomeni di messa in rilievo più frequenti sono le dislocazioni a sinistra (Corazzon l’hanno avvistato) e le frasi scisse (che bravi che siete stati)”.

Come è cambiata l’interazione tra ascoltatore e presentatore?
“L’ascoltatore non è più il terminale di una comunicazione orale unidirezionale. A partire dall’introduzione delle telefonate in diretta alla fine degli anni Sessanta. e poi in modo sempre più massiccio con l’avvento delle radio private, l’ascoltatore può intervenire nella trasmissione, fare richieste e dediche, interagire con i personaggi della radio. Con il fax, l’email, gli sms i contributi diventano anche scritti, per poi arrivare negli ultimi anni alla prevalenza della messaggistica istantanea (Whatsapp), scritta e vocale. Molti programmi si basano sulla partecipazione degli ascoltatori, in risposta a sondaggi in cui si sollecita il contributo del pubblico sui temi proposti.
Il presentatore è un conduttore, spesso in coppia o in un gruppo più ampio, che ‘dirige il traffico’ dei contributi, smista gli interventi telefonici e i messaggi, inserisce i commenti provenienti dai social network. I social network e la radiovisione hanno azzerato la distanza tra il pubblico e le personalità della radio, che si rendono visibili e raggiungibili in tempo reale”.

Il giornalismo radiofonico è cambiato in linea con i giornali o ha notato un percorso diverso?
“I notiziari lunghi, articolati e ricchi di notizie, si ascoltano solo su Rai Radio1 e Radio3 e sulle radio d’informazione. Radio24, che pure si avvale di apporti dai giornalisti del quotidiano economico, ha formati più brevi. Nelle radio musicali dominano i notiziari spot di pochi minuti, rapidi, aggiornati ogni ora.
Il radiogiornalismo continua a essere debitore verso la scrittura giornalistica, con più evidenza a livello sintattico-stilistico: accoglie largamente lo stile nominale, il discorso diretto, le strutture ‘è + soggetto’ (è guerriglia in aula). Nella sintassi frasale è mantenuta una certa complessità, ad esempio le frasi monoproposizionali non superano il 20-25% e la subordinazione prevale sulla coordinazione. Si nota in questo aspetto, così come nel continuo aggiornamento dei blocchi informativi, un’analogia con i quotidiani online.
Non sono frequenti i tratti dell’uso medio, ma piuttosto il registro brillante che caratterizza anche la carta stampata, ottenuto tramite traslati (es. fulmine a ciel sereno, far saltare il tavolo)”.

I turni di conversazione risultano ormai influenzati dalla velocità della rete e dalla scarsa capacità di mantenere la concentrazione a lungo?
“I formati radiofonici sono in genere brevi e i tempi degli interventi rapidi: bisogna essere veloci e accattivanti per catturare e trattenere l’attenzione di un pubblico distratto da molte offerte. Da sempre, però, per la radio si sono consigliate frasi brevi e lineari in quanto il solo ascolto è più difficile e richiede una maggiore concentrazione. I dialoghi, tra conduttori oppure tra conduttore e ospite o ascoltatore, sono soprattutto influenzati dalle modalità informali del parlato faccia a faccia e quindi presentano turni di conversazione brevi, spesso interrotti o sovrapposti: i conduttori ‘si parlano sopra’ uno all’altro, interrompendosi o completandosi a vicenda, con un effetto di realtà, ma a scapito della chiarezza”.

In un passo da lei citato di Gadda, si legge “Ogni ascoltatore è solo: nella più soave delle ipotesi è in compagnia di ‘pochi intimi’”. La semplicità delle interazioni con i conduttori radiofonici e l’attenzione al commento dell’ascoltatore mettono in crisi il pensiero gaddiano?
“Il passo citato risale alle Norme per la redazione di un testo radiofonico del 1953, prima dell’avvento del telefono nelle trasmissioni, che fa della radio il primo social network sonoro, in cui l’ascoltatore non è più solo, ma interagisce con i conduttori e con gli altri ascoltatori. Facebook e Twitter negli ultimi dieci anni hanno reso il pubblico compiutamente connesso in reti: gli ascoltatori connessi usano i social network, condividono le esperienze d’ascolto rispetto a radio e programmi, esprimono opinioni che rimangono persistenti e pubbliche, sono visibili, conoscibili e tracciabili. Quindi la definizione di Gadda appartiene davvero a un altro tempo che appare lontano anni luce”.

Molte stazioni radio sono ormai arrivate sui social e nel suo libro si è occupata di analizzare le diverse presenze su Facebook. La pagina Facebook è solitamente uno specchio della radio oppure talvolta riserva sorprese?
“Facebook è il social network più utilizzato dalle emittenti: attualmente è il pilastro della social radio, il medium ibrido che include la radio e le sue protesi digitali. Le radio di flusso hanno scelto di convogliare tutte le attività social su un’unica pagina dell’emittente (es. RTL 102.5, Radio Italia solomusicaitaliana), le radio di programmi hanno anche pagine dedicate alle singole trasmissioni. Nel libro ho analizzato appunto le pagine dei programmi per verificarne il rapporto con la trasmissione in onda. In genere la pagina serve a estendere il programma radiofonico sul web e a interagire con i fan, quindi rispecchia il programma, accompagnando o anticipando temi, svolgimento, modalità di espressione. Ad esempio, pagine di informazione come Prima pagina e 24mattino diffondono soprattutto le notizie andate in onda; pagine di intrattenimento come Il ruggito del coniglio e Lo Zoo di 105 coinvolgono il pubblico con memi (immagini con didascalia spesso scherzosa) e video che riflettono il diverso stile di comicità delle trasmissioni”.

I post su Facebook risultano più sorvegliati rispetto al parlato nei programmi dell’emittente?
“I post sono scritti e denotano un maggiore controllo. Utilizzano in genere, per essere più incisivi, frasi molto brevi e semplicemente giustapposte, dalla sintassi elementare, mentre il parlato dei programmi può essere anche articolato. Accolgono meno le influenze dialettali che in onda sono percepibili, mentre sono caratterizzati soprattutto dai colloquialismi e dai giovanilismi che accomunano tutte le pagine, con una finalità di alleggerimento e divertimento. Adottano gli stessi tormentoni dei programmi per identificare la comunità del pubblico. La pagina del talk show La Zanzara è particolarmente goliardica, ma non accoglie nello scritto il turpiloquio che si sente in onda; la pagina dello Zoo di 105 invece lo rispecchia frequentemente e senza censure”.

Uno dei fenomeni senza dubbio in crescita è la fortuna dei podcast: il fatto di essere registrati e poi riascoltati, anche a distanza di tempo da parte degli utenti, intacca la spontaneità delle trasmissioni? Le fa diventare sempre più a-temporali e svincolate dal presente? E che cosa accade alla lingua?
“Il podcast libera i programmi radiofonici dal vincolo dell’orario della messa in onda e permette la loro persistenza. Il conduttore sa che le sue parole non sono volatili, ma rimarranno archiviate in rete e recuperabili da un pubblico anche molto più ampio e lontano rispetto agli ascoltatori del programma in onda. Ciò lo responsabilizza, ma non mi pare intacchi la spontaneità dell’emissione, che rimane sempre un obiettivo primario in radio. L’ascolto non casuale, ma elettivo e personalizzato dei podcast valorizza i programmi di contenuto e di qualità che rimangono validi e attuali anche a distanza di tempo: programmi di approfondimento e culturali, inchieste e documentari, fiction. L’uso della lingua diventa più consapevole e controllato, ma senza grandi differenze rispetto ai programmi dello stesso genere solo in onda”.

Un libro come il suo è un vero e proprio specchio dei nostri tempi. Negli ultimi mesi, le radio sono diventate sempre più presenti anche su Instagram. Ha mai pensato di estendere le sue ricerche anche a questo social?
“Le radio stanno incrementando la propria presenza anche su Instagram, ma i numeri sono di gran lunga minori. L’emittente che ha più follower su Instagram (370.000) è Radio Deejay, che su Facebook raccoglie quasi 2.150.000 fan. Il programma più seguito è anche qui Lo Zoo di 105, con 126.000 follower, contro gli oltre 2.800.000 fan su Facebook, ma ancora pochi programmi radiofonici hanno scelto Instagram. Al mezzo radio sono congeniali i social media testuali più di quelli che mostrano esclusivamente foto e video con apporti verbali quasi nulli. Facebook, e meno Twitter, permette un’estensione dei contenuti del programma radiofonico fatto di parole; le immagini servono a catturare l’attenzione ma rimandano in genere con un link a contenuti testuali. Un’analisi linguistica necessita di un campione di testi significativo che Instagram per ora non offre”.

 

 

 

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