Quando la normalità oltrepassa i confini ritenuti comuni, entra in un territorio nuovo che è tutto da inventare. “Il bambino” di Massimo Cecchini racconta dell’amore di due genitori per il figlio nato con idrocefalia, spinto non dal dolore ma da un linguaggio diverso e dalla volontà di affrontare la malattia con inventiva e coraggio. Una storia di tenacia raccontata con commozione e intensità, e con il sorriso

“L’arrivo di Angelo cambiò l’esistenza di tutti coloro che lo circondavano. Fin dai primi mesi, gli handicap, i disturbi, le disfunzioni, le malattie episodiche, le patologie permanenti e tutto ciò che definiva il quadro clinico del Bambino rasero al suolo quasi tutti i progetti della nuova famiglia”.

Il Bambino è Angelo Bonaventura, nato con idrocefalia e destinato a un’infanzia eterna del corpo, a una vita scandita da parole incomprensibili, risate misteriose, gridi gutturali. Quando la normalità oltrepassa i confini ritenuti comuni, entra in un territorio nuovo che è tutto da inventare. Alcuni lo fanno con sacrificio, con privazione, con sconcerto, anche con rabbia.

il bambino massimo cecchini

La malattia è un’ingiustizia, per molti una punizione: si raggiungono i limiti della comprensione del mondo, della commiserazione degli altri, si tocca con mano l’indifferenza, il disagio di uno sguardo che si distoglie troppo in fretta, di un gruppo di amici che piano piano si allontana, con l’ipocrisia di non voler intralciare un percorso già difficile.

Pietro e Anna sono due ragazzi normali quando nasce Angelo, avviati a una vita benestante e serena. Sarebbero cresciuti adulti come tanti, privilegiati: lavori da professionisti, il circolo del tennis, una bella casa, macchine, vacanze. Invece è arrivato Angelo, e con lui un nuovo presente da costruire.

Il Bambino di Massimo Cecchini (Neri Pozza Bloom) è un lessico famigliare di un’efficienza eccentrica edificata attorno alla malattia e contrassegnata da tante impronte di felicità, un universo domestico con una sua quotidianità e una inaspettata fiducia.

È un libro che si accoglie come una sfida, con la certezza di immergersi in una storia di sacrificio e dolore: lo si chiude con la sensazione di una leggerezza stramba, che definisce nuovi confini per la parola benessere.

“Nonostante la loro apparente modernità, erano ancora figli di un’epoca in cui la malattia sembrava l’esito di una colpa, magari sconosciuta, mentre invece Angelino ai loro occhi appariva senza macchia, uno degli eletti che avrebbero ereditato il regno dei cieli”.

È un mondo tutto loro, tutto nuovo quello che i Bonaventura costruiscono attorno ad Angelino, chiudendo fuori gli altri, escludendo da subito la soluzione dell’istituto: un mondo ribaltato negli orari, perché Angelo vive di notte, quando è buio, cercando un continuo movimento. Solo così trova pace, nell’oscurità, anche prima di perdere del tutto la vista: seduto in macchina, in una città che dorme, fino all’alba. Angelo si calma e i Bonaventura si scoprono viaggiatori erranti notturni.

Si inventano soluzioni misteriose, filastrocche bislacche per definire un nuovo linguaggio, per interagire: le canzoni di Mina, che fanno sorridere il Bambino del suo sorriso sghembo, si devono cantare di continuo, nello stesso ordine, perché in quello si trova una parvenza di tranquillità e un’idea di condivisione, di famiglia.

“Era come se vivessero infiniti frammenti di tempo minuscoli, ripetibili e perciò prevedibili. In ciascuno di questi scoprirono – per la sorpresa dei pochi che avevano accesso alla loro vita – che era possibile persino trovarne un lato buffo, a patto che la considerazione fosse limitata al particolare singolo e non a una visione d’insieme”.

Complice una certa serenità economica, casa Bonaventura diventa una bolla temporale, dove si vive in un fuso orario diverso dall’esterno, dove necessario e superfluo non fanno differenza, ma si mischiano senza domande, per il benessere di Angelo. Così arrivano due sorelle filippine, Nora e Roselyn, a vivere tra le mura di un eterno presente di ritualità e cantilene, per occuparsi del Bambino in una ripetizione ossessiva di gesti: ammesse in un microcosmo separato, indifferente a tutto, inconsapevole dell’assurdo di alcuni momenti, fatto di continui “ci penseremo domani” come mantra della sopravvivenza, ripetuto con leggerezza e ironia. Non soffermarsi, non perdersi in riflessioni, muoversi nell’azione e nell’improvvisazione di soluzioni creative, sono inconsapevoli strategie per difendersi da un destino incomprensibile.

Tutto viene fatto per Angelo, anche le cose più assurde: una normalità ottenuta attraverso percorsi stravaganti diventa la grande risorsa di Pietro e di Anna, instancabili creatori di un mondo immobile, imperfetto e sereno. Come accogliere nel meccanismo di cure e di assistenza Lorenzo, giovane studente, un autista notturno, un’altra anima dal fuso orario sballato: per un sorriso di Angelo, un sorriso senza freni, senza inibizioni, che diventa un’esplosione, un contagio.

“I problemi di Angelo, d’altronde, erano di semplice definizione e misteriosa risoluzione, perché galleggiavano intorno a scintille cerebrali in apparenza impossibili da controllare. Come lucciole che non indicavano nessuna strada”.

È una dinamica dell’amore che non è mossa dal dolore, ma da un linguaggio diverso, quella che Cecchini racconta: Pietro e Anna sono gli indaffarati custodi di un segreto che nessuno altro può comprendere e che li fortifica, un’opportunità di essere su una rotta solitaria, uniti da un mastice di bene e stravaganza. Sicuramente, scaraventati contro un muro durissimo di realtà, si sono trovati più forti di quanto pensavano, complici come due naufraghi su una stessa zattera, corazzati contro l’insensibilità altrui, e credenti di una fede tenace e laica.

E anche quando Anna si trova a deragliare, ammalandosi, resta Pietro condottiero di una pazza impresa, come se Angelo, invece di svuotarlo, gli avesse fornita una forza nuova, così grande da continuare a costruire uno stile di vita funzionale, per chiunque altro insostenibile.

Massimo Cecchini, giornalista al suo primo romanzo, celebra con questa storia vera il potere normalizzante dello sguardo: perché quello di Pietro e Anna verso Angelo è così diverso e profondo che fa vedere loro luminosa stramberia dove gli altri vedono mostruosità. E in questo sguardo, frutto della vocazione all’ottimismo e alla dedizione, c’è tutta la trasformazione di un mondo dove i mostri veri sono gli altri, feriti da ipocrisie e irrazionalità, incapaci di entrare in connessione con la stranezza, con le realtà che non capiscono, che fa male vedere. Guerrieri un po’ svitati agli occhi della gente, Pietro e Anna avrebbero potuto essere due rampolli viziati dalla bella vita, e hanno invece pagato un prezzo altissimo, diventando protagonisti di una storia di tenacia raccontata con commozione e intensità, sempre con il sorriso, e con un’attenzione maniacale ai piccoli particolari di una quotidianità faticosa, a tratti improvvisata, di una famiglia unita, orgogliosa e in qualche modo serena.

“Pareva che spettasse solo alla tenerezza arginare gli errori della natura, e a questo Pietro e Anna si sentirono chiamati. Vinse facilmente il dubbio, il sospetto, la paura”.

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