Vanessa Wye, protagonista del romanzo “Mia inquieta Vanessa” di Kate Elizabeth Russell, è una ragazza di quindici anni la cui vita viene cambiata dall’incontro con Jacob Strane, professore quarantenne che instaura una relazione con lei. La storia, anche se per certi versi può ricordare “Lolita”, si allontana dalla celebre opera dando la parola a Vanessa, che grazie al suo punto di vista ambiguo e incerto, riesce ad approfondire diverse sfumature di temi attuali come il consenso, il mancato intervento delle reti sociali e istituzionali, la scelta di rendere pubblica la propria storia e del modo in cui farlo – L’approfondimento

Vanessa ha quindici anni e frequenta il secondo anno di una scuola superiore privata nel Maine, dove gli inverni sono lunghi e freddi. Lì vive in un dormitorio lontano dalla casa dei suoi genitori ed è quasi sempre sola, dopo che un litigio ha imposto il silenzio tra lei e la sua migliore amica.

È in questo contesto che Jacob Strane, severo professore quarantenne del corso di letteratura avanzata, laureato ad Harvard, si accorge di lei. Numerosi complimenti sulle sue doti letterarie si trasformano in apprezzamenti sul suo modo di vestire e sul suo corpo.

Il suo interesse esonda con piccoli gesti, dalla mano su un ginocchio al prestito di libri della propria libreria, che Vanessa divora. Tra questi, una copia di Lolita colma di annotazioni personali.

copertina mia inquieta vanessa kate elizabeth russel

Kate Elizabeth Russell, autrice di Mia inquieta Vanessa (Mondadori, traduzione di Linda Martini), ammette nella prefazione che questo libro sia nato anche grazie alla lettura di Lolita, e dal rapporto complicato che lei stessa ha con questo libro.

La differenza principale con la storia di Dolores, che in parte libera l’opera di Russell dalla pesante eredità letteraria, è che in questo romanzo è la Lolita della storia, ovvero Vanessa, a raccontare in prima persona la sua versione dei fatti, straniando il lettore che ascolta un’adolescente raccontare eventi che sente non appartenerle.

Dopo diciassette anni dall’inizio del rapporto con Strane, Vanessa è ancora in contatto con lui, e prende le sue parti quando viene accusato di molestie da altre giovani studentesse venute dopo di lei, all’interno di un’ondata di scandali mediatici che ricorda il #metoo (seppure il movimento non sia nominato). La sua reazione è una resistenza a fare sua una versione dei fatti che chi si offre di aiutarla sembra imporre su di lei: “(…) in realtà sto difendendo me stessa tanto quanto Strane. Perché anche se a volte la uso anche io la parola ‘abusi‘ per descrivere alcune cose che mi sono state fatte, mi sembra che sulla bocca degli altri diventi orribile e assoluta”, e ancora, “in questo genere di storie le ragazze sono sempre vittime, io invece no (…). Non sono una vittima perché non voglio esserlo“.

Sia la Vanessa adolescente sia quella adulta, la cui storia viene portata avanti contemporaneamente tramite un’alternanza di capitoli, si rivelano narratrici inaffidabili, non tanto dei fatti, quando della loro interpretazione. Nel raccontare gli eventi la protagonista insiste confusamente sul suo ruolo attivo nella ricerca delle attenzioni del professore ma, allo stesso tempo, anche sulle sensazioni di disgusto che le provoca l’ottenerle. La sua prospettiva in alcuni punti si svuota di un significato concreto riempendosi di quello emotivo, tentennando tra incertezze sulla verità di ciò che le è accaduto e le mezze bugie che non è più sicura se sta raccontando agli altri o a se stessa, giungendo persino a scambiare una cosa a lei accaduta per un passo del romanzo di Nabokov.

Se il lettore in un primo momento può essere tentato di credere alla versione di Vanessa, che attribuisce a se stessa un potere assoluto nell’attrarre gli uomini e manipolarli, si rende poi conto, anche tramite alcuni colpi di scena, che è il professore, fin dall’inizio, a imporsi su di lei, creando un rapporto totalizzante che inghiotte la sua adolescenza, e fa in modo che lei non riesca a crescere, sbandando in continuazione tra i pochi vincoli di una vita sregolata e non riuscendo a separarsi da lui neanche da adulta, quando è l’uomo ad allontanarla: “Io sono ancora bloccata qui. Andare avanti, per me, è impossibile”.

Come in un thriller psicologico, lo spettatore assiste al divario tra la propria interpretazione dei fatti e quella della protagonista, attendendo che queste si sovrappongano. Ma è proprio l’ambiguità di Vanessa a creare un grande spazio di dialogo, in cui si confrontano posizioni opposte su temi come il consenso, l’atto del denunciare in contesti sia pubblici che privati, la spinta alla sorellanza tra vittime e la loro colpevolizzazione, lo sfruttamento mediatico, il tribunale dell’opinione pubblica, che non riesce ad accettare sfumature complesse schierandosi solo in posizioni estreme. Non stupisce l’affermazione di Russell che, al suo esordio con questo romanzo, afferma di averci lavorato per diciotto anni.

Si può davvero parlare di consenso, quando la vittima è convinta di aver cercato un rapporto, ma non si rende conto della disparità di potere su cui questo si basa e dello spazio manipolativo che crea un divario? E ancora, l’intera colpa degli abusi può essere imputata all’uomo che li porta avanti, quando quest’uomo è retto da una rete sociale e istituzionale che lo protegge? Queste sono alcune domande che sembrano innervare il romanzo. “Mi domando quanto la gente sarebbe disposta a considerare vittima una ragazza come me”, afferma Vanessa, conscia della polarizzazione mediatica che seguirebbe a una sua eventuale scelta di rendere pubblica la sua storia.

lolita Getty Images 27-08-2020

Lolita nell’interpretazione di Sue Lyon, nell’omonimo film del 1962 diretto da Kubrick

Russell dedica il romanzo a “le vere Dolores Haze e Vanessa Wye, le cui storie non sono ancora state ascoltate, credute o capite”, perché per quanto in alcuni momenti Vanessa fatichi ad ammetterlo, la sua storia non è l’unica. Nei suoi momenti di maggiore lucidità la protagonista percepisce con forza la sensazione di pericolo di fondo nel rapporto non solo con Strane, ma con quasi la totalità degli uomini con cui entra in contatto, affinando con gli anni l’istinto sul momento giusto per tirarsi indietro. “In qualche modo intuivo già cosa mi aspettava. Quale ragazza non lo intuisce in realtà? Incombe su di noi la minaccia della violenza. Ti inculcano un senso di pericolo finché non inizia a sembrarti inevitabile. Cresci chiedendoti quando alla fine ti accadrà per davvero“.

All’arrivo nel dormitorio, la scuola consegna a ogni ragazza un fischietto anti-aggressione, e Vanessa ingenuamente chiede perché questo non venga consegnato anche ai ragazzi. Nel mondo in cui vivono Vanessa e le sue coetanee è necessario tenersi all’erta; è un mondo che insegna alle donne a difendersi dal potere degli uomini ma che, con ipocrisia, le spinge anche a desiderarlo: “Forse è sempre stato questo il punto. Non volevo questi uomini, volevo essere loro”.

Fotografia header: Kate Elizabeth Russell nella foto di © Elena Siebert

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