“Lavoriamo così tanto che il nostro lavoro è diventata la nostra identità e se a trentadue anni ti ritrovi a fare un lavoro che non ti piace allora ti ritrovi anche un’identità che non ti piace”. La riflessione (personale e generazionale) di Ludovica Della Bosca, all’esordio nel romanzo con “Basta un pezzo di mare”, già segnalato dalla giuria del Premio Calvino: “Questo siamo noi millennials… Ci manca un’identità generazionale forte e osserviamo con attenzione ma senza pazienza il resto del mondo; ci sentiamo a metà strada tra il passato e il futuro senza però considerarci presente”
Maggio è iniziato, il mio umore è imprevedibile come il tempo in pieno cambiamento climatico e, con la primavera che finalmente sboccia, non riesco a capire se questo peso che sento al centro del petto sia allergia oppure ansia.
La mattina non so scegliere tra una giacca di jeans o il parka invernale, la notte cerco sull’app di Idealista un bilocale mansardato da comprare con un comodo mutuo trentennale al tre per cento di interessi ma poi mi distraggo e penso che vorrei solo trasferirmi a Hong Kong.
Quale direzione dovrei prendere?
Nel dubbio, però, finisce che apro Instagram e mi addormento con il telefono ancora in mano mentre con il pollice continuo ad andare giù, sempre più giù, cullata dalle immagini di tutte quelle persone di cui mi interessa poco o niente, ma che mi fanno sentire in qualche modo protetta.
Mi addormento chiedendomi perché non faccio la travel influencer e la mattina mi sveglio convinta di poterlo fare; avrei una vita piena di viaggi e sorrisi, sarà poi così dura stare tutto il giorno dietro a un display? Però subito dopo mi scrive un amico e non ho voglia di rispondere, prendo tempo, mi spazientisco e alla fine mi dico che basta, vorrei vivere solo con un vecchio 3310.
Il mio vero nemico sono io quando ho un telefono in mano dicono i Coma Cose in S. Sebastiano. Io loro li adoro, hanno una sensibilità fuori dal comune e riescono a giocare con le parole per raccontare una generazione – la nostra – che vive il passato con speranza e il futuro con nostalgia. Anche Vasco Brondi mi piace tanto, lui più di tutti mi ha tenuto compagnia in questi ultimi dieci anni e ha sempre trovato le parole giuste per me.
Può interessarti anche
Mi chiedo se saprà capirmi anche adesso, in questa fase in cui tutti giocano a fare gli adulti e io non so quando lo siamo diventati. Ultimamente ho paura anche solo ad andare a cena dai miei amici perché ogni occasione è buona per invitarmi a qualche matrimonio o annunciare l’arrivo di un nuovo figlio.
In queste situazioni penso sempre alla protagonista di Fleabag, una delle serie più divertenti ma allo stesso tempo anche più strazianti che io abbia mai visto. Ecco, credo che la mia generazione stia tutta dentro a questo piccolo capolavoro di Phoebe Waller-Bridge. E ai romanzi di Sally Rooney.
Questo siamo noi millennials: ci guardiamo intorno e leggiamo tutto, siamo tanto voraci quanto distratti. Ci manca un’identità generazionale forte e osserviamo con attenzione ma senza pazienza il resto del mondo; ci sentiamo a metà strada tra il passato e il futuro senza però considerarci presente, non abbiamo soldi ma abbiamo smartphone bollenti e cuori troppo spesso tiepidi.
Facciamo yoga, scarichiamo app per respirare e beviamo tisane biologiche allo zenzero per compensare i gin tonic della sera e gli attacchi di panico in ufficio.
E io lo sento, vi giuro che lo sento, che ci sono dei giorni in cui il mio corpo mi dice di rallentare, che ha bisogno che io mi fermi e inizi ad ascoltarmi. Ma non so come fare a spiegargli, come posso dirgli che se mi fermo ad ascoltarlo poi lui si mette ad avanzare richieste troppo assurde. Come prendermi cura di me stessa più spesso, non permettere ai turni del lavoro di scandire il ritmo della mia vita o andare in montagna ogni tanto.
Può interessarti anche
Anche la natura mi manca, da morire, e io penso sia sbagliato vivere una vita con questi orari e pochissima natura. A volte la mattina, quando sono ferma nel traffico e sto mangiando un Tegolino con il succo alla pesca, guardo le montagne che si intravedono dalla tangenziale e mi emoziono.
La cosa peggiore, secondo me, è che lavoriamo così tanto che il nostro lavoro è diventata la nostra identità e se a trentadue anni ti ritrovi a fare un lavoro che non ti piace allora ti ritrovi anche un’identità che non ti piace.
Per me questo libro è stato prima di tutto una liberazione, mi ha aiutato a lasciare andare tanti pesi del mio passato, poi una soddisfazione, davvero molto grande, ma più di tutto ha rappresentato il riscatto della mia identità: senza di lui sarei stata solo un lavoro che non mi rappresentava e un sogno che non è mai riuscito a uscire dal suo cassetto mentre adesso sono anche una giovane donna che ha scritto un romanzo e questa definizione mi appaga molto.
Ora posso guardarmi anche io allo specchio e intravedere una persona che ammiro, i lineamenti di un’identità che finalmente mi piace.
L’AUTRICE E IL ROMANZO – Ludovica Della Bosca nasce a Monza nel gennaio del 1992. Nel 2011 si diploma presso il liceo ginnasio Bartolomeo Zucchi di Monza e inizia a studiare Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, mentre collabora con il Giornale di Monza. A novembre del 2017 frequenta un corso annuale presso la scuola di scrittura Belleville, dove capisce finalmente che quello di diventare scrittrice è il suo sogno più grande.
Basta un pezzo di mare (edito Corbaccio) è il suo primo romanzo, segnalato dalla giuria alla XXXV edizione del Premio Calvino.
Agata ha perso la madre da pochi anni; apparentemente ha superato il trauma, ma all’università si è bloccata e ha finito per fare la commessa. Sara, sua amica inseparabile, ha rivelato in famiglia la propria omosessualità che però non è stata accettata, e ha deciso di tagliare i ponti con tutti e di vivere viaggiando all’estero. Per caso si incontrano al rientro di Sara a Monza, dove entrambe abitano, proprio quando Agata ha appena deciso di liberare in mare un astice ancora vivo acquistato al supermercato.
Un progetto bislacco – Agata è la prima a esserne consapevole –, una situazione paradossale, che però rappresenta per entrambe la possibilità di dare una svolta alla loro vita e riprendere un’amicizia che si era bruscamente interrotta ma mai dimenticata…
Basta un pezzo di mare è un romanzo d’esordio intimo e commovente che affronta, con toni delicati e spiritosi, la difficoltà di diventare adulti e di trovare il proprio posto nel mondo, il rapporto viscerale tra madri e figlie, il distacco, l’accoglienza, l’amore incondizionato. È la storia di un’amicizia profonda, capace di ricucire le fratture e superare le distanze.
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
