“La poesia e la musica si sono sempre date la mano come due muse, due sorelle che scendono nel mondo per avvolgerlo di bellezza, per cantarlo e consolarlo”: su ilLibraio.it la riflessione del musicista e poeta Massimo Bubola, in libreria con “Sognai talmente forte”. Che parte da Omero per arrivare a Bob Dylan (e alle polemiche seguite all’assegnazione del Nobel per la Letteratura…)

La poesia e la musica si sono sempre date la mano come due muse, due sorelle che scendono nel mondo per avvolgerlo di bellezza, per cantarlo e consolarlo. Sono sorelle con due sorrisi speculari e due lacrime parallele che portano sottobraccio una la lira e una il flauto.

Agli esordi della letteratura occidentale, tutto parla di questo connubio costante e fecondo tra poesia e musica: Omero peregrinava, cieco, di isola in isola per le corti elleniche a cantare i propri poemi che raccontavano storie molto antiche, che legavano e racchiudevano il popolo greco in un’unica patria, attraverso la narrazione, compiuta dalla poesia e dalla musica, del mito e dei suoi umani eroi, dei suoi dei e delle grandi gesta.

E la maggior parte delle forme di poesia derivano i loro nomi dalla musica con cui si sposano: l’ode, che in greco vuol dire “canto”; la citarodia che è l’accompagnamento del canto in versi con la cetra; la lirica che ha la sua etimologia anch’essa legata all’antico strumento; il nomo, l’inno e poi nel nostro medioevo il sonetto, la canzone, la ballata.

Nella nostra contemporaneità letteraria c’è invece molta diffidenza verso la musica e la musica cantata, tranne che nelle letterature giovani come in quella brasiliana e latino americana in generale, in quella statunitense e in quella russa, dove il rapporto tra poesia e poesia cantata è rimasto molto forte e senza discriminazioni, e a questi paesi aggiungerei la Francia che ha avuto tra i grandi aedi e poeti George Brassens, Jaques Brel e Léo Ferré. Tanti poeti brasiliani che hanno scritto principalmente canzoni come Chico Buarque de Holanda, Gilberto Gil, Caetano Veloso e Maria Bethania, sono considerati nel loro paese, e non solo, poeti a tutto tondo; il russo Vladimir Vysockij – cantautore e poeta – è stato uno dei più significativi del secondo novecento, così come Leonard Cohen e Bob Dylan nel Nord America. Oh! chosen love, Oh! frozen love/ Oh tangle of matter and ghost /Oh darling of angels, demons and saints /And the whole broken-hearted host / Gentle this soul (da The window di L. Cohen).

Per noi che eravamo la “Broken Hearted Host”, la Schiera dei Cuori Infranti, ragazzi affamati di poesia dovunque si annidasse, dalle chitarre elettriche ai juke-box, dalle antologie ai circoli letterari, dalle università alle librerie fumose; per noi apprendisti scrittori di poesie e di canzoni, l’opera di Leonard Cohen, nei suoi romanzi, nelle sue raccolte di poesie e specialmente nelle sue canzoni, è stata una parte rilevante e decisiva della nostra educazione sentimentale e letteraria; per quello che ci ha cantato e per quello che c’era nelle sue canzoni e non era cantato. Cohen ci ha insegnato a mostrarci scoperti e a essere coraggiosi, a non nasconderci nella verbosità ampollosa, leziosa e rimirantesi nella morta pelle di tanta letteratura stitica. Cohen ha scavato e dissotterrato la nostra vita segreta: And I’d die for the truth/In my secret life e ce l’ha mostrata in prima persona, spoglia, senza enfasi e retorica.

“Le sue canzoni e le sue liriche hanno avuto influenza in tutto il mondo, elevando la musica a forma poetica contemporanea”: questa è la motivazione dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan nel 2016. Leonard Cohen dichiarò che dare il premio a Dylan fosse come riconoscere che l’Everest è la più grande montagna del mondo. Molti scrittori e poeti in Italia invece si incaponirono a vedere in Bob Dylan solo un musicista, una rock star famosa, disconoscendo la grande letteratura che hanno creato le sue canzoni.

È come se definissimo Omero un buon musicista solo perché accompagnava la lettura dei suoi testi giovandosi di una piccola chitarra ricavata dal guscio di una tartaruga. Come se le canzoni non contenessero una parte letteraria rilevante assieme alla musica.

Forse che Les Feuilles mortes di Prevert, che era all’inizio solo una bellissima poesia scritta, quando fu musicata dopo vent’anni dal compositore Joseph Kosma, ha cessato improvvisamente di essere poesia? E questo vale anche per tante poesie di Rimbaud, di Apollinaire, di Queneau, di Valery, musicate nel tempo da altri e cantate per le vie e nei bistrot di Parigi.

L’opera di Bob Dylan è una realtà letteraria imponente e si inserisce nella grande letteratura americana del secondo novecento. Un immenso affresco che va dagli inizi degli anni sessanta ai nostri giorni. Circa quattrocento tra canzoni e ballate, oltre ai suoi libri. È un tracciato di poesia unico e straordinario, di rara bellezza e potenza che ha spaziato dalle poesie di impegno civile a quelle lirico amorose; dal ritratto epico, all’onirismo surrealista; dalla rilettura del mito americano alla cronaca dell’attualità con instant songs, all’inno Knockin’ on Heaven’s door, alle visionarie A Hard Rain’s a gonna fall, No time to think, Changing of the Guards o la recente False prophet.

Qualcuno, nelle assurde polemiche seguite all’assegnazione del Nobel a Dylan, ha parlato di “scarsa complessità poetica”. Forse non aveva mai letto, o ascoltato, Sed eyes lady of the lowlands.

Bob Dylan False Prophet lyrics

copertina libro massimo bubola

L’AUTOREMassimo Bubola è un nome di spicco nel panorama della musica d’autore. Poeta, oltre che musicista e scrittore, ha al suo attivo venti album. Bubola influenza la scena italiana con le sue opere, a cominciare da Fabrizio De André, con cui scrive e compone due storici album.

Nel 2006 ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Neve sugli aranci, e nel 2009 il suo primo romanzo, Rapsodia delle terre basse (Gallucci). Si è poi dedicato alla riscoperta del patrimonio artistico, musicale e storico della Prima guerra mondiale. Da questo lavoro sono nati due album: nel 2005 Quel lungo treno e nel 2014 Il Testamento del Capitano. Nel 2017 il suo romanzo, Ballata senza nome (Frassinelli), è stato vincitore del Premio Croce.

Il suo nuovo libro, Sognai talmente forte (Mondadori), racconta del vecchio Callimaco, giunto alla fine di una vita vissuta nel canto e nella musica, che trascorre i suoi ultimi momenti circondato dalle tante persone che lo hanno amato. Con loro ripercorre i momenti più importanti della sua vita, tra ricordi, sogni e visioni. Callimaco ritorna allora a quando, ancora bambino, era il piccolo “servo pastore”, amato e temuto dalla comunità, per il suo indomito spirito di eretica libertà. Dialoga poi in sogno con la figlia Teresa dagli occhi secchi, che per amore dal mare di Rimini finisce a morire nell’Argentina della dittatura; si diverte a ripercorrere Volta la carta e la sua filastrocca, per poi commuoversi nel ricordo dei nativi americani del Fiume Sand Creek. E infine ecco Il cielo d’Irlanda, l’Hotel Supramonte e i tanti luoghi che, grazie alle canzoni, sono ormai parte dell’immaginario collettivo italiano.

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Fotografia header: Massimo Bubola, foto di Claudio Sforza

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