“Cosa rispondo a chi dice che la propria vita è vuota? Che ha una grande opportunità. Il problema non è la vita vuota, ma il fatto di non sapere dove andare a farla riempire. È meglio, forse, una vita piena di consumismo, nefandezze, egoismo, solitudine? Teniamoci stretta la vita vuota e andiamo dal coppiere divino chiedendogli di riempirla con una bevanda inebriante. Per me questo è fare meditazione”. Ex falegname e liutaio, monaco cattolico, maestro di meditazione, esperto di cure palliative, tanatologo. Ma anche amico di Franco Battiato, di cui ha celebrato i funerali (“nell’ultimo anno di vita aveva sempre un sorriso dolcissimo. Quando la malattia peggiorava, gli chiesi come si sentiva e lui mi rispose: ‘Sono pronto, sono sereno, ho vissuto la mia vita’…”). L’intervista de ilLibraio.it a Padre Guidalberto Bormolini, in libreria con “L’arte della meditazione – Meditare per respirare con l’Infinito”: “Il mondo in cui viviamo oggi distrugge i sogni delle persone”. E sulla Chiesa: “La strada da fare è ancora lunga perché ridia alla meditazione l’importanza che merita… ma la meditazione non può essere solo mentale, deve essere aperta al trascendente e al mistero, quindi a Dio”

Ex falegname e liutaio, monaco cattolico, maestro di meditazione, esperto di cure palliative, tanatologo. All’ospedale Meyer di Firenze insegna Gentilezza nella cura. Amico di Franco Battiato, di cui ha celebrato i funerali, ribelle da giovane, ricostruttore adesso.

Padre Guidalberto Bormolini ha vissuto molte vite. Nato il 21 agosto 1967, a Desenzano del Garda, ora vive a Santa Maria in Acone, un pittoresco borgo medievale sui colli fiorentini, citato da Dante nella Divina Commedia. Dirige il Centro di spiritualità del monastero di San Leonardo di Prato visitato, tra gli altri, da Giovanni Paolo II e dal Dalai Lama. Intanto lavora per trasformare Mezzana, un borgo abbandonato incastonato nella Valbisenzio, vicino Prato, nel villaggio “Tutto è vita” per curare e accompagnare alla morte attraverso la spiritualità malati terminali.

Chi vuole accostarsi alla meditazione ma non sa bene come fare legga L’arte della meditazione – Meditare per respirare con l’Infinito (Ponte alle Grazie), il libro che padre Bormolini – che il 16 ottobre sarà ospite del Festival KUM! di Ancona per un dialogo con don Luigi Epicoco su Quale senso nella fine? – ha appena scritto e dove, con un linguaggio semplice e profondo, esplora le affinità tra le vie mistiche delle diverse religioni, dal cristianesimo all’ebraismo, dal buddismo all’islam, e racconta le esperienze personali che ha vissuto da quando, nel 1992, ha intrapreso la strada indicatagli da un gesuita eclettico, Gian Vittorio Cappelletto, il quale, nonostante l’iniziale contrarietà dei superiori, giudicò lo yoga compatibile con il cattolicesimo e in continuità con la spiritualità dei padri cristiani orientali.

guidalberto bormolini l'arte della meditazione

Padre Bormolini, lei come si definirebbe?
“Un sognatore spirituale, perché i sogni hanno sempre animato la mia vita. Da ragazzo desideravo un mondo migliore e più giusto. Poi ho trovato la strada della meditazione grazie a padre Cappelletto, che mi ha permesso di orientare i miei sogni dandomi una direzione. Ho capito cosa vale la pena nella vita: andare verso l’invisibile e il divino. Il mondo in cui viviamo oggi, invece, fa l’esatto contrario e distrugge i sogni delle persone”.

Chi sono i Ricostruttori nella preghiera?
“Un’esperienza di monachesimo interiorizzato come strada per andare incontro al divino. È nata dall’intuizione di padre Cappelletto che, negli anni Settanta, dopo aver incontrato a Venezia alcuni monaci orientali, l’ha saputa tradurre in un’esperienza cristiana”.

Cosa fate concretamente?
“La comunità cerca di interiorizzare e vivere l’ideale monastico attraverso la meditazione e il lavoro. Un grande precursore in Italia fu il leader e giurista della DC Giuseppe Dossetti, che si fece monaco. Anche Raimon Panikkar è stato un grande diffusore di quest’idea del monachesimo interiorizzato, vissuto non in forma esteriore”.

Lei come veste? Ha un abito?
“Quello della povertà. I vestiti che indossiamo sono quelli scartati dagli altri. Come le scarpe. Non compriamo nulla”.

Quanti siete?
“In Italia 80 consacrati che, come me, hanno fatto voto di povertà, castità e obbedienza. Poi ci sono centinaia di laici che praticano questo ideale nella loro vita quotidiana”.

Sono tutti credenti?
“Noi proponiamo la meditazione anche ai laici attraverso dei corsi. Si tratta di una serie di incontri che all’inizio sono interconfessionali, perché non vogliamo partire da appartenenze né mettere dogane: accogliamo chiunque voglia fare una ricerca spirituale. La meditazione che proponiamo è semplice: ha tutti gli stessi elementi che si trovano nelle più antiche tradizioni, come lo yoga”.

Qual è la sua giornata tipo.
“Passo quattro ore al giorno in preghiera, meditazione e contemplazione, e dopo mi piace stare insieme alla gente e aiutarla. Non guardo la tv da quarant’anni e non utilizzo nessun social”.

Come ha incontrato padre Cappelletto?
“Avevo 20 anni. Alcuni amici m’invitarono a un ritiro dove c’era lui e da allora è diventato la mia guida”.

Prima cosa faceva?
“Sono cresciuto in parrocchia a Desenzano del Garda, ma già a 14 anni ero profondamente anticlericale ed ero molto impegnato nel sociale e nei movimenti pacifisti. I miei riferimenti erano don Milani, padre Turoldo, monsignor Luigi Bettazzi, Carlo Carretto. Poi ho avuto tanti maestri umanamente decisivi, come il falegname che mi ha insegnato a fare il liutaio, il mio maestro di chitarra, un fornaio ateo che prima di morire ha avuto un’esperienza mistica”.

Da anticlericale è diventato prete.
“Dopo essere entrato nei Ricostruttori a 26 anni, ho trascorso il noviziato a fare il muratore, ristrutturando una cascina in Piemonte, poi sono andato a Roma a studiare Teologia all’Università Gregoriana. Nel 2000 sono stato ordinato sacerdote ad Arezzo”.

Qual è lo specifico della meditazione cristiana?
“Gesù Cristo. Questa disciplina ha una parte comune a tutte le religioni e richiede necessariamente apertura all’invisibile, al mistero e al trascendente. Il cristianesimo, in più, ha la mediazione di Cristo che aiuta ogni persona a raggiungere il Maestro divino che ci conduce nel suo regno”.

Chi bussa alla sua porta?
“Chi è stato colpito da una malattia, chi ha avuto un lutto, chi ha perso il senso della vita e si trascina stancamente. Ogni giorno timbra il suo cartellino e la sera si siede sulla poltrona a guardare la Tv”.

Una forma di depressione, che è il male oscuro di oggi.
“Molto peggio. Il depresso riceve una diagnosi e segue una terapia. Il torpore di cui parlo è una malattia profonda dell’anima e, da quello che vedo, la piaga più devastante e diffusa”.

Come si combatte?
“Con due armi: la meditazione come apertura al mistero e al divino e facendo vita di comunione e di comunità, stando insieme agli altri. La solitudine non desiderata è terribile e distrugge l’essere umano. Io sono disposto a dialogare con chiunque, ma trovo molto difficoltoso farlo con chi è schiavo di questo torpore che provoca indifferenza, anestetizza il cuore e non fa percepire il dolore degli altri. Questo è il prodotto perfetto della società individualista in cui viviamo”.

Come la rimozione della morte, che è diventata il vero tabù del nostro tempo.
“Non credo che ci sia un cospiratore che abbia fatto di tutto per toglierla dal nostro orizzonte. È una conseguenza del consumismo, che per stare in piedi deve poter contare su individui allucinati che fanno finta di non dover morire mai”.

In che senso?
“Se m’illudo di essere immortale la vita la consumo, non la vivo. Invece, se so che la vita ha un termine, la vivo e me la gusto fino in fondo, magari dedicandola agli altri. Si può vivere consumisticamente o profondamente. Se uno sa di dover morire, ad esempio, come fa a passare ore e ore davanti allo smartphone o sui social?”.

Non è umano avere paura della morte?
“La meditazione è lo strumento migliore per elaborare il pensiero della fine e vivere intensamente la vita. Questo non vuol dire che bisogna meditare tutto il giorno. Per stare in piedi, mangiamo tre volte al giorno. Funziona lo stesso con la meditazione”.

Nel cattolicesimo di oggi questa pratica è trascurata?
“Sì, nonostante papa Francesco abbia fatto una bellissima catechesi sul valore della meditazione dividendola in due parti: una sul valore universale, evidenziando le basi antropologiche, e un’altra sullo specifico della meditazione cristiana. Però la strada da fare è ancora lunga perché la Chiesa ridia alla meditazione l’importanza che merita”.

Come ha conosciuto Franco Battiato?
“Mi ha cercato dopo aver letto quello che avevo scritto sulla morte, perché doveva fare un docufilm su questo tema. Poi sono andato a casa sua in Sicilia e da lì siamo diventati amici. Ci sentivamo spesso, negli ultimi tempi gli sono stato vicino”.

Lo ha accompagnato a morire?
“Sì, nell’ultimo anno di vita aveva sempre un sorriso dolcissimo. Quando la malattia peggiorava, gli chiesi come si sentiva e lui mi rispose: ‘Sono pronto, sono sereno, ho vissuto la mia vita'”.

Che spiritualità aveva?
“Da artista e l’ha vissuta con grande creatività. Pur senza sentirsi parte della chiesa era profondamente affascinato dal cristianesimo anche se è sempre stato un libero ricercatore. Non gli metterei un’etichetta, non sarebbe rispettoso di Franco”.

Cos’è il villaggio “Tutto è vita”?
“Un borgo abbandonato a nord di Prato che io e i miei collaboratori stiamo ristrutturando perché diventi un villaggio di cura, dove accudire integralmente le persone, sia quelle colpite da una malattia grave che vedono avvicinarsi la morte, sia quelle che hanno mali dell’anima”.

Da esperto di cure palliative, come giudica il dibattito sul fine vita.
“Bisogna prendersi cura di chi è alla fine della propria vita terrena, perché se non lo si fa subentra la disperazione. È importante che le persone non si sentano degli scarti perché non producono più profitto. Una persona è preziosa finché può amare e ricevere amore, non finché produce. Il filosofo Lévinas diceva che la sofferenza del mondo impone il dovere della cura e rende migliori anche noi. Se scartiamo dolore e sofferenza, ci disumanizziamo anche noi”.

Nel libro mette in guardia dai “surrogati di spiritualità”. Cosa sono?
“Le pratiche pseudo meditative in cui lo spirituale non esiste. La meditazione non può essere solo mentale, ma deve essere aperta al trascendente e al mistero, quindi a Dio”.

La prima cosa da fare per iniziare un percorso di meditazione?
“Cercare una buona scuola vicino casa. Nella tradizione ebraica si dice che il Signore ha piantato l’erba per curare la nostra malattia nel nostro giardino. Chi cerca trova”.

E come pratica?
“Il primo passo è partire dal corpo, farlo rilassare e respirare in modo dolce e armonico. Poi bisogna innamorarsi. Solo l’innamoramento dà la spinta per superare le difficoltà della vita. Lo sforzo della volontà fa compiere molta strada ma solo gli innamorati sono così folli da andare fino in fondo. Uno che è innamorato moltiplica le energie, è disposto a stravolgere la sua vita, cambiare abitudini”.

A chi le dice che la propria vita è vuota cosa risponde?
“Che ha una grande opportunità. Il problema non è la vita vuota, ma il fatto di non sapere dove andare a farla riempire. È meglio, forse, una vita piena di consumismo, nefandezze, egoismo, solitudine? Teniamoci stretta la vita vuota e andiamo dal coppiere divino chiedendogli di riempirla con una bevanda inebriante. Per me questo è fare meditazione”.

Dov’è Dio oggi?
“Dove è sempre stato: nascosto. Solo che prima la gente lo cercava, adesso non lo cerca più. Dio è nascosto perché rispetta la nostra libertà, e non vuole imporsi ma oggi questo nascondimento non è compreso e non mette in moto nessuna ricerca”.

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