Laura Boella, che ha insegnato Filosofia morale all’Università Statale di Milano, nel suo lavoro di ricerca e di docenza non ha lasciato da parte lo studio delle pensatrici del Novecento. Tre le prime a portare Hannah Arendt nei corsi universitari, intervistata da ilLibraio.it parla della riscoperta del pensiero femminile in ambito accademico (e non), e di quello che può comunicarci oggi: “Dalle pensatrici ci viene soprattutto l’esempio del modo in cui hanno assunto la posizione coraggiosa, che le ha portate a stare al centro di una crisi con gli occhi ben aperti, e a rispondere con gli strumenti che avevano, la scrittura e il pensiero. Da loro dovrebbe giungere lo stimolo per un’assunzione di responsabilità e un incoraggiamento a non cedere alla paura, che restringe gli orizzonti e produce impotenza”

Laura Boella ha insegnato Filosofia Morale all’Università Statale di Milano, e tra i campi di ricerca di cui si è occupata emerge l’interesse per il pensiero del Novecento. Nel suo lavoro non ha trascurato il pensiero delle donne che hanno dato un contributo fondamentale alla filosofia del “secolo breve”, di cui si è occupata sia tramite la ricerca sia con l’insegnamento.

Tra le sue numerose pubblicazioni troviamo Cuori pensanti (ora riedito da Chiarelettere), un compendio di cinque brevi lezioni di filosofia che vede protagoniste altrettante pensatrici del Novecento: Edith Stein, Maria Zambrano, Hannah Arendt, Simone Weil e Etty Hillesum.

illLibraio.it ha raggiunto l’autrice in videochiamata, per parlare della scelta di ripubblicare questo testo nato nel 1998 all’interno di un movimento di riscoperta del pensiero femminile, e di come sia cambiato l’atteggiamento verso le pensatrici in questi vent’anni.

copertina cuori pensanti

Professoressa Boella, da dove deriva la scelta di concentrarsi su cinque filosofe donne?
“Dalla scoperta del pensiero femminile, un movimento esploso tra gli anni ’80 e ’90 con la fioritura degli studi sulle grandi pensatrici del Novecento. Allora non erano quasi per niente ricordate nei manuali di storia della filosofia, mentre la tradizione del pensiero femminile oggi è ampiamente riconosciuta: Simone Weil, Hannah Arendt, Edith Stein e Maria Zambrano sono ormai filosofe famose. Alle pensatrici ho dedicato anche corsi universitari: quello su Arendt del 1987-1988 credo sia stato uno dei primi dedicati a una filosofa. Il lavoro di studio, in concomitanza all’insegnamento, mi ha portato a scrivere libri e saggi su queste figure”.

E nello specifico com’è nato Cuori pensanti?
“Soprattutto negli anni ’90 il rapporto tra l’università e l’esterno è stato estremamente vivo. C’era un movimento di donne molto interessate al pensiero femminile. Questo ha contribuito allo sviluppo dell’argomento: in quanto studiosa e insegnante, analizzavo il loro pensiero in maniera piuttosto sistematica e strutturata, però l’audience di donne che non avevano rapporti né con la filosofia né con l’università mi ha dato un grande entusiasmo. E poi c’erano molte occasioni per parlarne”.

Ad esempio?
“In quegli anni fiorivano inviti per fare cicli di incontri e conferenze sulle filosofe, e uno di questi è appunto quello da cui è nato il libro Cuori pensanti“.

E ora cos’è cambiato?
“L’università è cambiata in seguito alla riforma Gelmini, che ha fatto delle università un luogo più chiuso. C’era la necessità di diminuire la ‘mortalità universitaria’, cioè quelle carriere che si prolungavano nel tempo, e qualche volta non finivano…”.

Con quali conseguenze?
“Il sistema ha teso all’accelerazione dei percorsi. È così venuto meno il rapporto tra ‘dentro’ e ‘fuori’, che faceva transitare il pensiero filosofico anche in direzione di persone che avevano scelto percorsi differenti. Certo non si sarebbe potuto mantenere tutto immobile, gli studi universitari devono rapportarsi anche a una società e a un’economia che cambia. Quell’apertura però permetteva di dare all’università percorsi più ampi e spesso divergenti dalle scuole e dagli orientamenti più tradizionali e convenzionali. E insegnare il pensiero femminile non significava chiacchierare: insegnare Arendt e Weil significava, tra l’altro, inoltrarsi nei loro legami con Kant, Heidegger, Husserl…”.

Com’è mutato lo studio delle pensatrici?
“La sapienza femminile non è nata di recente: percorre e attraversa, anche se invisibile, l’intera storia della civiltà umana. Basta pensare al tema della cura dei piccoli, dei deboli e degli anziani, che appartiene all’esperienza femminile. Il mondo in tempi di crisi si è rivolto proprio alle donne, e questo ha avuto sicuramente un impatto sulla visibilità delle figure femminili in molti campi. Quando non ci sono più ripari o porti sicuri le donne vengono caricate di un enorme fardello, in un mondo in cui i mali sono dovuti al potere, che continua a essere detenuto dagli uomini.”

Lei come si è rapportata al pensiero femminile?
“Le immagini che nel tempo ho costruito delle pensatrici sono stati sempre ritratti di figure femminili autonome e indipendenti, ma anche dissidenti nei confronti delle tendenze mainstream. Donne che spesso hanno nuotato a forti bracciate contro la corrente, sia del pensiero tradizionale sia del senso comune. Donne che anche quando hanno avuto successo, e in questo caso penso a Arendt, sono state criticate”.

Per esempio?
“In occasione del libro su Eichmann (La banalità del male del 1963) Arendt è stata tacciata di essere una donna senza cuore, fredda e troppo determinata. La mia convinzione è che la testimonianza di donne geniali debba essere ricordata non semplicemente per celebrare il genio femminile, ma per riportare all’attenzione il coraggio di andare controcorrente”.

Il pensiero di queste cinque filosofe e scrittrici è legato indissolubilmente con le loro vite, travolte in modi diversi dalle vicende del Novecento. Che insegnamento possono dare a chi vive le difficoltà di questo secolo?
“Da una parte le difficoltà vissute da queste pensatrici non sono del tutto scomparse: il totalitarismo e la discriminazione razziale hanno cambiato forma, ma esistono ancora. Il punto cruciale però è che leggendo i loro scritti possiamo dire che non sono state schiacciate dalle esperienze terribili e traumatiche che le hanno travolte, nessuna di loro si è posta come vittima. Chi ha vissuto i grandi drammi del Novecento può ancora darci le parole per la comprensione di avvenimenti contemporanei. Dalle pensatrici ci viene soprattutto l’esempio del modo in cui hanno assunto la posizione coraggiosa, che le ha portate a stare al centro di una crisi con gli occhi ben aperti, e a rispondere con gli strumenti che avevano, la scrittura e il pensiero. Da loro dovrebbe giungere lo stimolo per un’assunzione di responsabilità e un incoraggiamento a non cedere alla paura, che restringe gli orizzonti e produce impotenza. Lo dico soprattutto per i giovani, che devono essere chiamati a sperare nel futuro. Questo modo di guardare alle pensatrici è anche libertà: libertà di non guardare alle donne geniali come icone, ma di instaurare un rapporto vivo, quello che poi si dovrebbe avere con tutti i pensatori”.

Le cito un passo da Cuori pensanti: “È diffuso infatti il luogo comune per cui, mentre i pensatori trasformano in compiti filosofici le esperienze della storia e dell’esistenza, spesso si chiamano fuori, isolandosi nella terra di nessuno della speculazione, o magari soccombono sotto il peso della contraddizione di vita e pensiero, le pensatrici sarebbero più sensibili alle emozioni, più aperte e anche più vulnerabili al cospetto delle vicende umane, la vita, la morte, il dolore”. Da un punto di vista accademico trova che ci sia un atteggiamento diverso verso le filosofe?
“C’è stato un ramo del pensiero femminista, soprattutto anglosassone, che ha posto l’accento sul legame delle donne nei confronti delle emozioni. L’etica è stata giocata sull’antitesi tra ragione e sentimento: il pensiero maschile sarebbe un pensiero razionalista, calcolatore, mentre l’etica femminile sarebbe legata alla relazioni e alle emozioni. Le vicende della filosofia femminista sia francese sia italiana sono state diverse, però non è raro sentire introdurre Arendt come ‘l’allieva di Heidegger’. Resta il fatto che Hannah Arendt è Hannah Arendt, così come Simone Weil è Simone Weil. La bellezza e il rigore dei loro scritti lo dimostra. Ciò non toglie nulla all’importanza della denuncia dell’oppressione subita dalle donne nel mondo patriarcale.”

Lei invece cosa ne pensa?
“Non bisogna guardare alle donne solo come vittime. In Cuori pensanti mi sono concentrata soprattutto su brani da cui risulta evidente l’intreccio di esperienze biografiche, storiche e politiche, in molti casi la sofferenza e la difficoltà di andare avanti, e al tempo stesso lo sforzo di allargare l’orizzonte della propria esperienza. Ho scelto esempi di scrittura filosofica affascinante, nuova che parlano a tutti e invitano a vivere nuovi sentimenti”.

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