“Leggendo la lunga preghiera che Gesù fa al Padre poco prima di venire arrestato e ucciso, non stupisce che sia stato ammazzato, ma sorprende come sia riuscito a vivere così tanto… Un individuo del genere è pericolosissimo. In questa orazione, chiede che i suoi discepoli arrivino a conoscere ‘l’unico vero Dio’…”: su ilLibraio.it la riflessione del biblista Alberto Maggi

Leggendo la lunga preghiera che Gesù fa al Padre poco prima di venire arrestato e ucciso (Gv 17), non stupisce che sia stato ammazzato, ma sorprende come sia riuscito a vivere così tanto… Un individuo del genere è pericolosissimo, va eliminato senza indugio. In questa orazione Gesù chiede che i suoi discepoli arrivino a conoscere “l’unico vero Dio”.

Per Gesù ogni divinità che stabilisca con l’uomo una relazione di sottomissione e obbedienza, come quella di un signore con il servo, è falsa. L’unico vero Dio è il Padre, autore della vita, Colui che ama incondizionatamente i suoi figli e desidera elevarli alla sua stessa condizione divina (Gv 1,1). Perché ciò si realizzi, Gesù richiede al Padre di conservare nel suo nome coloro che gli ha dato “perché siano Uno, come noi”. La richiesta di essere Uno, come lo sono il Padre e Gesù, non riguarda solo l’ovvia necessità dell’unità tra i discepoli e il loro Signore, bensì l’accesso alla condizione divina alla quale ogni credente è chiamato. “Uno”, infatti, è un termine che nell’ebraismo era sostitutivo del nome di Dio, l’unico, l’uno, il solo (Il Signore è uno“Uno il suo nome”, Dt 6,4; Zc 14,9). Per Gesù i credenti, chiamati ad avere la sua stessa condizione divina, diventano la manifestazione visibile di Dio, nuovo autentico santuario da dove si irradia il suo amore.

La richiesta che fa Gesù al Padre sorprende e sconcerta, al punto da sembrare blasfema (“Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio… Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”, Gv 5,18; 10,33).

Il progetto che Dio ha per l’umanità, che ogni uomo diventi suo figlio e abbia la sua stessa condizione divina (Gv 1,12), è già stato rigettato dalle autorità religiose come una bestemmia che merita la morte. Se l’uomo ha la condizione divina, per essi, che si sono inseriti quali unici mediatori tra Dio e gli uomini, non c’è più alcuno spazio. La realizzazione della volontà divina comporta la loro scomparsa: Dio e istituzione religiosa sono infatti incompatibili e l’uno esige il dissolvimento dell’altra.

Poi Gesù continua, chiedendo a Dio che non tolga i suoi discepoli “dal mondo, ma che li custodisca dal maligno”. Gesù non intende formare un’élite spirituale di devote persone che abbandonano il mondo, come a quel tempo erano le comunità monastiche degli esseni, ovvero quei pii ebrei che, disgustati dell’ingiustizia della società civile e dalla corruzione del mondo religioso, si ritiravano per vivere un ideale di vita santa con una netta e radicale separazione dal contesto umano. Per Gesù è importante continuare a vivere nel mondo senza però essere del mondo, senza cioè aderire al sistema di ingiustizie che lo governa, e senza lasciarsi affascinare dall’abbaglio della ricchezza, del potere e del prestigio che, una volta accettati, imprigionano l’uomo. Sarebbe una tragedia se i discepoli, affascinati dalle lusinghe del potere, spinti dall’ambizione e dalla vanità, cercassero di conciliare valori opposti, il dominio con il servizio, la ricchezza con la condivisione. Tanto più tragico sarebbe se, per fare questo, usassero il nome di Gesù. Nessun accomodamento con il potere è ammissibile al discepolo del Cristo. Farlo sarebbe tradire il Maestro che, pur di non scendere a compromessi, è andato incontro alla morte.

E Gesù continua la sua preghiera chiedendo al Padre di consacrare i suoi discepoli nella verità. La parola, quella tua, è verità”. Per Gesù la verità è la parola creatrice del Padre. Questa parola, che è sempre a favore del bene dell’uomo, non è qualcosa di statico, ma per divenire realtà esige l’attiva collaborazione di chi l’accoglie. Mentre nel mondo giudaico la consacrazione, fatta attraverso l’olio, conferiva un rango a chi la riceveva (re/sommo sacerdote) e lo innalzava sugli altri, la consacrazione “nella verità” inserisce chi l’accoglie in un dinamismo d’amore che rende capaci di una donazione di sé simile a quella di Gesù, che porta a scoprire in maniera progressiva e crescente la verità su Dio e sugli uomini. Gesù assicura inoltre che l’accoglienza della parola del Padre, che è verità, impedisce ai discepoli di essere vittime della menzogna. Quanti scelgono di mettersi sempre dalla parte del bene degli uomini sono nella verità e sono così capaci di non lasciarsi ingannare dal maligno, “padre della menzogna” (Gv 8,44).  Gesù non solo non desidera che i suoi si separino dal mondo, ma lui stesso li invia nel mondo, “come tu mi hai inviato nel mondo”. Gesù non assorbe le energie degli uomini, ma comunica loro le sue per renderli adatti alla missione, che ha lo stesso fondamento e lo stesso scopo: la manifestazione al mondo del volto di quel Padre che Gesù ha fatto conoscere lavando i piedi ai suoi discepoli. Il Signore non si conosce salendo verso il cielo, ma abbassandosi sulle necessità e miserie degli uomini, perché Dio è amore che si fa servizio, che purifica e accoglie.

A questo punto della preghiera Gesù presenta una svolta che è clamorosa, infatti dice: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me”. Quella che Gesù aveva inizialmente presentato come la sua parola (“Se uno mi ama, osserverà la mia parola”, Gv 14,23) e poi del Padre, ora diventa il messaggio dei discepoli. Non si tratta, per i suoi seguaci, di imparare e poi ripetere una dottrina appresa, ma di comunicare un’esperienza propria. “Loro parola” significa pertanto che questo messaggio non è una dottrina immutabile, che viene custodita e poi trasmessa inalterata nel tempo, rendendo i credenti meri ripetitori. Essendo la parola legata alla vita stessa dell’individuo, essa è per sua natura dinamica e mai statica, e a mano a mano che il dono di sé diventa più vero e completo si sviluppano nel credente nuove, sconosciute e inedite capacità d’amare, che consentono alla parola di sempre di fiorire in forme nuove e originali. È la vita che è “la luce degli uomini” (Gv 1,4),  non il contrario, perché porsi a fianco della verità è ciò che fa comprendere la voce di Gesù (Gv 18,37). È la crescita progressiva nell’amore quel che fa sì che la comprensione del messaggio di Gesù aumenti in intensità ed estensione, perché “la Scrittura cresce con chi la legge” (Gregorio Magno).

L’unica Parola creatrice, così, attraverso l’accoglienza degli uomini non invecchia mai, ma si moltiplica e rinnova all’infinito, nei secoli, recando ovunque vita. Pertanto, per Gesù non c’è più una dottrina da custodire e trasmettere inalterata, ma un’esperienza di vita da comunicare. Quel che dice Gesù è però estremamente pericoloso per l’istituzione religiosa, per la quale tutto deve essere controllato e autorizzato. Se questo può essere fatto con una dottrina unica, immutabile ed eterna, è impossibile farlo con la vita, che per sua natura si presenta sempre in forme nuove, originali, molteplici. Questo rende particolarmente pericolosi i seguaci di Gesù, perché sono imprevedibili, incontrollabili, e non possono essere inseriti in categorie, ma, “come il vento”, non possono essere ingabbiati e non si sa mai né da dove vengono né dove vanno (Gv 3,8). È la disperazione per il potere. Quel che anima i credenti è lo Spirito di verità, che, come Gesù ha assicurato, rimane sempre con i discepoli (Gv 14,16) e li “guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e annunzierà cose future” (Gv 16,13), rendendo così la comunità cristiana capace di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni degli uomini.

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E Gesù continua, tornando con insistenza a chiedere, nella sua preghiera, che “tutti siano Uno, come tu, Padre, in me e io in te, affinché  anch’essi siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Per Gesù l’unità della comunità è condizione per l’unione con lui e con il Padre, ma questa unità è possibile solo dove esiste una pratica dell’amore vicendevole. Il motivo di questa pressante richiesta è che il mondo giunga a credere in Gesù e ad accogliere così una proposta di vita. L’esistenza di una comunità dove si possa toccare con mano la libertà, l’amore, l’allegria, frutto della dedizione generosa e del servizio disinteressato agli altri, convincerà l’umanità della verità di Gesù (1 Gv 1,1-4). Se l’unione nella comunità è la condizione indispensabile affinché il mondo creda, la divisione è d’impedimento e ostacola la fede in Gesù. Il mondo giungerà a credere non per la proposta di una nuova dottrina, ma per la forza di una nuova potenza d’amore mai sperimentata prima, quella che permette a ogni uomo di avere la condizione divina. La perfezione nell’essere Uno, ripetuta per ben tre volte (vv. 21.22.23), è l’unico argomento capace di convincere l’umanità.

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Infine, nell’ultima domanda, Gesù non chiede, ma esige. Quando si tratta del destino dei suoi discepoli, Gesù lo pretende come un diritto: “Voglio che siano con me dove sono io”. La distanza tra Dio e l’uomo viene eliminata e dove c’è l’uomo lì è Dio. “Perché vedano la gloria”. Vedere la gloria di Dio non era possibile nell’antica alleanza (“Mostrami la tua gloria!… Nessun uomo può vedermi e restare vivo”, Es 33,18.20). Ora con Gesù vedere la sua gloria, cioè sperimentare l’amore divino, è la condizione indispensabile per essere poi capaci di amare. In tal modo, quel progetto che Dio aveva sull’umanità prima ancora della creazione del mondo (Ef 1,4) e che si è realizzato nell’uomo Gesù, si potrà compiere in ogni uomo.

L’AUTORE – Alberto Maggi (nella foto grande di Basso Cannarsa, ndr), frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme.

Biblista e assiduo collaboratore de ilLibraio.it, è una delle voci della Chiesa più ascoltate da credenti e non credenti. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (MC), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Con Garzanti ha pubblicato Chi non muore si rivede, Nostra signora degli ereticiL’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi, Due in condotta, La verità ci rende liberi (una conversazione con il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari) e Botte e risposte – Come reagire quando la vita ci interroga. Il suo ultimo libro, sempre edito da Garzanti, è dedicato alla figura di Bernadette.

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