“La gente di San Telesforo riteneva di possedere caratteristiche originali non paragonabili con nessun altro luogo limitrofo o anche distante. È però anche vero che questo territorio aveva ospitato nel corso dei decenni una quantità di storie che, come si suole dire da queste parti, se uno è bravo a raccontarle, diventano vere” – In occasione dell’uscita de “La sabbia brucia”, nuovo noir con il commissario Gori Misticò, l’autore Fausto Vitaliano racconta su ilLibraio.it alcune delle storie più singolari ambientate nell’immaginario paesino calabrese in cui è ambientato il suo romanzo

A guardarlo dall’alto – poniamo da un drone in volo stazionario, fermo sulla verticale della piazza centrale a una quota di cinque, sei, settecento metri – San Telesforo Jonico sembrava il più piccolo stato autonomo della storia dell’umanità. Era visibile il limite chiaro, netto, perfettamente definito del centro abitato, oltre il quale si apriva il resto del mondo. Tutti i paesi, specie quelli piccoli, soffrono o godono di una sindrome simile: l’illusione di essere un mondo a sé, con leggi e regole appositamente studiate per funzionare solo lì, l’idea di una specificità difficilmente spiegabile a parole e che, tuttavia, poggia su basi storiche solidissime e veritiere. Ancorché non verificabili.

Anche la gente di San Telesforo riteneva di possedere caratteristiche originali non paragonabili con nessun altro luogo limitrofo o anche distante. È però anche vero che questo territorio aveva ospitato nel corso dei decenni una quantità di storie che, come si suole dire da queste parti, se uno è bravo a raccontarle, diventano vere.

Di San Telesforo si diceva fosse nativo il leggendario Francazio Zimbò, l’uomo in grado di attirare i fulmini. Zimbò veniva ingaggiato, offrendosi al migliore offerente, dai contadini della zona per evitare che le saette incendiassero case e granai. Egli usciva miracolosamente indenne da ogni raffica elettrica che gli attraversava il corpo e poi si scaricava a terra. Svolse il compito di parafulmine umano per molti anni, finché di lui improvvisamente, da un giorno all’altro, si persero le tracce. C’era chi diceva che l’ultima saetta gli fosse stata fatale e che il povero Zimbò era rimasto carbonizzato – se non, addirittura, polverizzato. Altri invece sostenevano che Francazio avesse vinto alla lotteria e, diventato ricchissimo, si fosse trasferito su un’isola che si era comprato in contanti e dove non pioveva praticamente mai.

Sempre di San Telesforo era don Pilo Bifòne, sacerdote e astronomo dilettante che, sul finire del diciannovesimo secolo, costruì un potentissimo telescopio utilizzando solo materiale di scarto trovato per strada e colla fatta in casa. Egli era uomo di scienza ma anche di fede, pertanto pio e devoto, sicché mise a disposizione il suo cannocchiale a tutti i parrocchiani affinché potessero ammirare le meraviglie del Creato: dai giganti gassosi quali Saturno e Giove, allo splendore di Sirio e Vega, fino alle costellazioni più remote della galassia. Per molti anni arrivarono a San Telesforo viandanti provenienti da ogni parte della provincia per mettersi in fila e appoggiare l’occhio sull’obiettivo dello strumento lasciandosi ammaliare dal mistero del cielo notturno.

Tutto questo fino al giorno in cui don Pilo scoprì qualcosa che non avrebbe mai voluto scoprire: un gigantesco asteroide in rotta di collisione verso la Terra. I calcoli che lui stesso aveva effettuato davano al pianeta non più di due settimane di vita, che egli decise di trascorrere nella più sfrenata lussuria, dandosi al bere, al mangiare e concedendosi tutti i piaceri che la sua missione gli aveva finora negato, essendo giunto alla conclusione che tutto ciò in cui aveva creduto si era dimostrato, in ultima analisi, una fesseria. Don Pilo Bifòne morì di un colpo al cuore tra le braccia e soprattutto le gambe dell’ultima mignotta che si era portato in sacrestia, contravvenendo ai minimi doveri che un sacerdote dovrebbe tenere nei confronti del proprio ministero. L’asteroide, com’è noto, non si schiantò e il telescopio venne smontato e rivenduto a un ferrivecchi siciliano di passaggio da quelle parti.

A detta di alcuni, San Telesforo Jonico è stato anche il primo paese della zona a vantare la prima libreria itinerante. Fu per iniziativa di Redento Bracalemme il quale, nell’immediato ultimo dopoguerra, per la precisione nel gennaio del 1946, acquistò un vecchio Lancia 3Ro militare e prese a girare i paesi e vendere libri. Sul telo aveva scritto Libreria Itinerante dello Jonio.

Bracalemme aveva fatto la guerra ed era stato pure prigioniero, aveva vissuto la fame, la paura, gli stenti che il conflitto mondiale aveva portato con sé. E pure tutta la povera gente di Calabria aveva avuto la loro parte di pena. Riteneva, pertanto, che ci fosse e ci fosse stato già abbastanza dolore nel mondo e non era il caso di aggiungerne altro. Fu così che gli venne l’idea di offrire alla clientela un finale alternativo – positivo, rassicurante, consolatorio – per i romanzi più tristi che vendeva. Insieme al libro, in una busta a parte (senza alcun costo aggiuntivo) Redento infilava due paginette o tre scritte di suo pugno in cui la vicenda narrata dal romanzo subiva un inaspettato ma al tempo stesso credibilissimo cambio di direzione, tale per cui l’eroe non moriva, i due innamorati convolavano a nozze, il lavoratore licenziato veniva reintegrato, e così via.

Il libraio non obbligava nessuno a prendere la busta con il finale alternativo, il suo era un semplice consiglio competente. “Compare mio, commàre mia,” diceva alle persone che si avvicinavano al camion-libreria, “il romanzo che avete appena acquistato è uno dei grandi capolavori della letteratura, e ve lo dico da esperto. Tuttavia, la vicenda accòra. Accòra assai. Pertanto mi permetto di aggiungervi questa ’mbùsta nella quale potrete trovare un esito un poco più confortevole della vicenda che leggerete”.

Il lettore che non aveva problemi – facciamo per dire – che Gatsby veniva sparato, o che Beth moriva di scarlattina, o che Agnese veniva ammazzata dai tedeschi, poteva anche evitare di aprire la ’mbùsta e leggersi il libro tale e quale a come era stato scritto. Quelli che ci rimanevano più male, però, potevano contare sul fatto che Agnese si era solo immaginata che gli inglesi non arrivavano in tempo. In realtà arrivavano eccome. E lei era salva.

La Libreria Itinerante dello Jonio chiuse dopo la morte di Redento Bracalemme, il camion chissà dove venne messo e pure di tutti i suoi lieti fini non si seppe più niente.

Copertina del libro La sabbia brucia di Fausto Vitaliano

L’AUTORE E IL LIBRO – Fausto Vitaliano è nato in Calabria ma vive pressoché da sempre a Milano. Sceneggia fumetti e cartoni animati per Disney e Rainbow. Ha pubblicato storie a fumetti anche per Sergio Bonelli, Edizioni BD e BD Music. Ha lavorato per radio, tv e giornali, tradotto libri e curato, per Feltrinelli, i volumi antologici di Beppe Grillo e di Michele Serra. Insieme a quest’ultimo ha scritto il monologo teatrale Tutti i santi giorni. Ha pubblicato per Laurana i romanzi Era solo una promessa, Lorenzo Segreto e La grammatica della corsa e per Bompiani La mezzaluna di sabbia, primo volume della serie delle ultime indagini di Gori Misticò.

Ora torna in libreria con La sabbia brucia (Bompiani), il secondo romanzo dedicato proprio al maresciallo Gori Misticò, in cui la narrazione va indietro nel tempo e ce lo fa incontrare al culmine della carriera. Misticò è infatti un carabiniere in prima linea: lavora a Milano ed è impegnato in una delicata operazione antiterrorismo. Ma improvvisamente qualcosa va storto, ed eccolo seduto nello scompartimento di un treno diretto in Calabria, con un biglietto di sola andata. Julia non è nemmeno venuta a salutarlo. Forse il commissario spera che tornare a San Telesforo Jonico, dove è cresciuto, significhi trascorrere le giornate leggendo Topolino in un ufficio deserto e pranzando in riva al mare.

Ma dovrà imparare che, per quanto tu fugga, i ricordi ti inseguono. Che più ti ostini a ignorarli, più i sintomi si fanno fastidiosi. E che la sabbia finissima della spiaggia del Pàparo, sotto il sole della Calabria, brucia più dell’alcol su una ferita. In queste pagine piene di humour e di umanità il carabiniere torna quindi a lottare contro la malattia e la malinconia. Dovrà indagare su un’“ape regina” in cerca del fuco da amare e divorare, ma soprattutto su sé stesso. Al commissariato di San Telesforo, insomma, l’estate si annuncia rovente…

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