Come racconta su ilLibraio.it Ilenia Zodiaco, “Sotto il vulcano”, capolavoro modernista di Malcolm Lowry (che lo definì una “Divina Commedia ubriaca” e che torna in una nuova traduzione), “è un romanzo che forse abbandonerete più volte, ma ogni volta vi pentirete di averlo fatto, pieno com’è di una bellezza cupa e ipnotizzante, di una sottile disperazione da cui è difficile distogliere lo sguardo”

2 Novembre 1938. Come nell’Ulisse di Joyce, anche in Sotto il vulcano di Malcolm Lowry il racconto occupa una sola interminabile giornata. Ci troviamo a Quauhnahuac, una città immaginaria del Messico, sovrastata da due vulcani che incombono come un cattivo presagio (o un senso di colpa asfissiante).

Di questo tormento è protagonista il console Geoffey Firmin, “sempre accompagnato da una schiera protettrice di demoni che gli digrignavano i denti nelle orecchie”, incarnazione di un’angoscia esistenzialista che cerca di affogare nell’alcol ma anche perdutamente – è il caso di dirlo – innamorato dell’infedele moglie Yvonne, che cerca inutilmente di salvarlo, con l’aiuto – piuttosto zoppicante – del fratellastro del console, Hugh, un idealista che scrive per i giornali storie di rivoluzioni. Questo triangolo è l’impalcatura del capolavoro modernista di Lowry. Un romanzo che difficilmente conquisterà tutti i suoi lettori: la prosa iridescente non è di facile interpretazione e l’intreccio è a dir poco discontinuo, tanto che ha spinto molti editori a rifiutarne la pubblicazione; uno scrittore forse troppo ostico?

Sotto il vulcano

Certo, la vita editoriale del libro non è stata facile anche per via dei problemi di salute dell’autore inglese, ma fortunatamente il romanzo ha goduto di una fioritura tardiva e giunge di nuovo a noi nel 2018 con la nuova traduzione di Marco Rossari nella collana “I Narratori” (le edizioni precedenti, sempre per Feltrinelli, risalgono la prima al 1961 e la seconda al 1977).

In realtà lo spaesamento è solo iniziale, una volta che ci si lascia andare alla corrente, si è quasi confortati dal “caos cerebrale” di Sotto il vulcano: visioni ingannatrici, un interrotto mulinare di pensieri, un continuum di momenti fluttuanti. Tutto questo è lo specchio dell’ubriachezza del protagonista, la sua disperazione – che ha però sempre un sottinteso beffardo e ironico – è lo spirito del romanzo.

Sebbene lo stesso Lowry abbia definito il suo capolavoro una “Divina Commedia ubriaca”, si sentono anche l’eco della letteratura marinaresca di Conrad e Melville, quei famosi sogni di fuga per l’oceano sconfinato e poi gli inevitabili ritorni sulla terraferma tanto “che senso ha fuggire da noi stessi?”.

Il paesaggio naturale che circonda la cittadina di Quauhnahuac è tumultuoso, animato dalla prosa sontuosa di Lowry: le colline sono “purpuree”, la valle è “un mare galoppante”, le nuvole in continuo movimento e i colori della vegetazione sono infinitamente cangianti. Il paesaggio umano invece è popolato da spettri del passato o formato da rovine, come il palazzo di Massimiliano (il mirador dell’imperatore ormai abbandonato), le vestigia di un passato dorato e irrecuperabile che si può solo visitare con malinconia e rimpianto.

È un libro di maree: il passato ritorna sempre a infrangersi sulle vite dei protagonisti, a sottolinearlo, l’intricata tessitura di riferimenti colti al Mito classico ma anche quello azteco. Lowry dipinge lo “splendore in rovina” di una polverosa città messicana, un luogo fuori dal tempo e del tempo prigioniera, in cui l’animo umano vaga senza pace. Un romanzo che forse abbandonerete più volte, ma ogni volta vi pentirete di averlo fatto, pieno com’è di questa bellezza cupa e ipnotizzante, di questa sottile disperazione da cui è difficile distogliere lo sguardo.

L’AUTRICE – Qui tutti gli articoli e le recensioni di Ilenia Zodiaco per ilLibraio.it

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