Se una storia d’amore ha necessariamente un inizio più o meno simile (la gioia di essersi trovati), non tutti i finali si somigliano. Almeno nei romanzi…

Quante voci e quante facce ha la fine di una storia? Anticipo la risposta: troppe, anzi tutte. Se una storia d’amore ha necessariamente un inizio più o meno simile (la gioia di essersi trovati), non tutte le fini si assomigliano. Almeno sulla carta (letteraria).

Chi racconta il fallimento di un amore racconta la paura, l’attesa, il destino nemico. Scrivendo, aumenta le possibilità di visione e di vita in chi legge. Questo effetto anti-terapeutico funziona solo a una condizione: che l’amore fallisca.

A cosa serve leggere storie in cui i protagonisti si conoscono, fanno un po’ di fatica a stare insieme e poi vivono felici e contenti? Queste sono le favole. Non è letteratura. La letteratura pungola il male, esplicita il malessere e sdogana il lieto fine. Alle volte, lasciare qualcuno è una liberazione e non un dramma.

I libri che più mi attraggono raccontano le ferite, le cicatrici, i silenzi, le occasioni perse. Mettono in luce i fallimenti. Si oppongono al bene a tutti i costi, narrano situazioni estreme  che mettono i lettori con le spalle al muro.

Mi è capitato, più di una volta, di sentire frasi come “io non leggo romanzi d’amore”, chiuse con un’intonazione spicciola sulla parola amore: pronunciata in mezzo ai denti, soffocata dalla lingua, quasi una vergogna. Bene, a questi lettori molto speciali invidio il fatto di essere così netti nelle proprie scelte. Poi però penso, che peccato!, non leggere romanzi d’amore significa anche non leggere Nabokov, Buzzati, Pavese, Marquez, Dostoevskij, Tolstoj. Quello che in realtà, spero, questi lettori così determinati vogliono dire è che non leggono romanzi d’amore banali, scontati. Rifuggono i sentimentalismi. Ma certo non i sentimenti. Anche l’odio è una forma d’amore. Non esiste una storia priva di sentimenti, priva di amore. E se esiste, ecco questa storia è frutto di una scrittura disonesta.

Eureka Street

“Tutte le storie sono storie d’amore”, recita la prima frase, spudorata dichiarazione, di Eureka Street (Fazi), tumultuoso romanzo di Robert McLiam Wilson in cui il protagonista viene mollato dalla sua fidanzata. Mettere in scena subito la fine di una storia è uno dei movimenti narrativi che più mi eccita. Penso (anche) a un capolavoro come Le notti bianche (Mondadori Tascabili) in cui il fallimento amoroso coincide con “la regola” del sognatore.

“E non faccio che sognare, ogni giorno, che alla fine, chissà quando, incontrerò qualcuno. Ah, se sapeste quante volte sono stato innamorato in questo modo!”
“Ma come dunque, di chi?”
“Ma di nessuno, di un ideale, di colei che mi appare in sogno. Io in sogno creo interi romanzi”.

Sembrava una felicità

Altre volte invece, il sentimento amoroso tentenna già nel titolo, come nell’imperdibile Sembrava una felicità di Jenny Offill (NN edizioni). Sembrava una felicità. Sembrava. Ma poi si è rivelata una vitale tragedia. Un’ecchimosi che fa comunque meno male delle cicatrici, quelle a cui non si dà più importanza e che, invece, leggendo questo romanzo, riemergono come punture di meduse di mare.  È il suo ex a chiamarla, dice che le vuole parlare. Si trovano su una panchina del parco. Lei è rimasta sveglia tutta la notte, a pensare, a immaginare le conversazioni possibili. “Sei in gran forma” la accoglie lui. “Smagliante, davvero”. Glielo dicono tutti ultimamente. Che sembra radiosa, luminosa. Lei non vuole parlare dello yoga. Non è quello. È il sipario, che è crollato. Va bene, forse anche lo yoga ha la sua parte. È difficile spiegare la storia del sipario quando si parla del più e del meno.

sylvia
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Negli anni Sessanta, Leonard Michaels, nel cuore del Village e della beat generation, incontra Sylvia e se ne innamora. Le si incolla prima sulla pelle e poi nelle viscere. Diventa la sua ossessione, la scrittura inespressa dei suoi racconti. Sylvia è il suo qui e ora, la maledizione e la benedizione, la pace e la guerra. Il racconto del loro amore è così intenso che non c’è spazio per le parole. Solo gesti, mitragliatrici che puntano dritto al cuore fino a farlo smettere. Perché se esiste un grande amore, questo si nutre della sua mancanza. Il ricordo chirurgico di questa storia è diventato un romanzo autobiografico. Si intitola Sylvia (Adelphi).

La naturalezza del nostro essere insieme in quel momento mi fece riflettere: È questo l’amore? E, se ci si innamora di qualcuno, il sentimento per quella persona può mia finire? (…) Dovevo parlare del divorzio. L’argomento sembrava incongruo. L’atmosfera era tutta sbagliata. Non provavo rabbia né rancore, solo una vaga ansia rispetto al futuro. Non c’era in me alcun sentimento che mi aiutasse a tradurre l’argomento in parole.

overlove

L’AUTRICE – Alessandra Minervini è nata e vive a Bari, ma per molti anni ha abitato a Torino. Lavora in editoria da oltre dieci anni come consulente ed editor. Ha frequentato la Scuola Holden di Alessandro Baricco per poi proseguire come ideatrice di contenuti culturali (in Italia e all’estero) e come insegnante di scrittura creativa presso la stessa scuola. I suoi racconti sono pubblicati in riviste e antologie, mentre adesso è in libreria con Overlove.

IL LIBRO – Overlove racconta l’amore partendo dalla sua fine: “Quello che rimane da ciò che manca”. Anna sta con Carmine da tre anni, un cantautore indipendente che passa le giornate rinchiuso nel suo studio di registrazione, alternando la fase creativa all’ossessione del controllo del peso. Carmine è sposato e ha una figlia, ma non con Anna. I due si prendono e si lasciano diverse volte in un tira e molla di passione e senso di colpa. Rancoroso e frustrato, Carmine non ha il coraggio di cambiare vita. Fino a quando il cambiamento non glielo serve Anna su un piatto d’argento. Un pegno d’amore: Anna lascia Carmine. In una Puglia dai colori vivi e velata di un’ironica malinconia, ben presto la mancanza diventa un sentimento ambiguo: non è dolore per qualcosa che non c’è più ma per qualcosa che è avanzato e non è abbastanza. E intorno ai due protagonisti gravita la sgangherata umanità contemporanea: anaffettivi cronici, artisti egocentrici, goffi ipocondriaci, i nuovi ricchi dell’Est europeo e gli ex benestanti italiani minacciati dalla povertà borghese…

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