Nove frammenti del teatro di oggi/domani. Davvero notevole la selezione di Theatrical Mass (bando/iniziativa riuscitissimi e meritori di Campo Teatrale) di “assaggi” da 20 minuti ciascuno (più dibattito) di un teatro giovane, fatto da evidenti e stupefacenti talenti di attori e autori – Il reportage e un bilancio che, a discapito dei foschi temi trattati, pieno di luci e rigogliosi germogli…

Nove frammenti del teatro di oggi/domani. Davvero notevole è la selezione fatta da Theatrical Mass (bando/iniziativa riuscitissimi e meritori di Campo Teatrale) di “assaggi” da 20 minuti ciascuno (più dibattito) di un teatro giovane, fatto da evidenti e stupefacenti talenti di attori e autori, messi a confronto e “vivisezionati” (ascoltati, accolti e nutriti di sguardo e di attenzione bisognerebbe dire) nelle loro motivazioni e urgenze, da un gruppo di dediti teatricoltori, spettatori primi chiamati ad ascoltare ed esprimere emozioni, pareri e valutazioni (nella giornata/maratona di sabato 8 giugno al Campo Teatrale), per un concreto aiuto produttivo (sia in termini di feedback contingente, sia in quelli di contributo economico e residenziale offerto ai migliori): nulla di amatoriale (senza offesa per chi si diletta, s’intenda), tutto molto vivo, e ciascuno con una sua identità distinta e direzioni accennate o già ben tracciate, spesso molto promettenti, anche se praticamente tutti ossessionati (tenendenze tanatologiche odierne o vecchia compagnie oscure dell’arte) dal tema della morte (suicidio, elaborazione del lutto, violenza sui corpi della Storia e del Tempo, rievocazione di fantasmi dello spirito, sfide palingenetiche).

9 prove in scena, 9 (a)saggi drammaturgici, 9 plays in progress, magari non tutte totalmente a fuoco, ma tutte meritorie di trovare uno sviluppo e un palco, molte che non vedo l’ora di vedere per intero in sala, magari promosse in un sistema-teatro, quello italiano, che spesso ospita spettacoli molto più stanchi, pigri e vuoti di questo concentrato in erba di “roba buona” assai.

Faccio una piccola carrellata personale, in forma di pillole, di fotografie/impressioni sui 9 progetti presentati, perché vale tenere sott’occhio molte di queste realtà, di cui almeno sette, sarei disposto a scommettere, promettono esiti speciali, e mi pare che neanche le proposte meno convincenti in questa fase, se nutrite di passione e lavoro, possano dischiudere esiti interessanti.

Vado in ordine di scaletta, e tralascerò la sintesi semaforica e sempre approssimativa del voto (che lasciamo al segreto dell’urna, funeraria?), influenzato, com’è, troppo da gusto, idiosincrasie e contingente. Anche se non mi esimo dall’esprimere un parere. Nel complesso: entusiasmo. Davvero una bella sorpresa.

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1. Fartagnan Teatro – Morte di un’intelligenza artificiale

Dispotico/ironico sul tema del momento, in cui chiaramente il futuro è maschera del nostro presente, racconta un “smart ever” worker in pieno burnout alle prese con i domestici sintetici e le sue (nostre) paranoie. Grande e felice levità e citazionismo intelligente, per raccontare le prigioni tecnologiche e ideologiche che abitiamo. Scrittura originale. I robot non sogneranno pecore, forse, ma (come insegna anche Joël Pommerat con il recente Contes e légendes) certamente possono trovare espressione non banale sulle tavole del palco. Terza distopia di un gruppo che (si) diverte a immaginare con artifici intelligenti. ChatGPT usato con giudizio in fase di scrittura. Webcam da tenere puntata su di loro.

2. Dimore Creative – Tecniche di lavoro di gruppo

Anche il giovane professore di teatro che affronta i ragazzini delle medie sembra sentire le voci (quelle dei prompt degli esercizi di base di un laboratorio teatrale che provano a eterodirigerlo) e il suo entusiasmo rivoluzionario, la sua urgenza teatrale si scontrano con la realtà della sguardo sfidante e specchio dei tempi e dei genitori, quello dei piccoli alievi. Che senso ha, dunque, il teatro? Può salvare ancora la vita e la società? Quale la responsabilità dello spettatore? Come è possibile attivarlo, farlo alzare? In un monologo denso e ultimativo come una pistola puntata alla tempia (Checov teorico, Beckett di Giorni felici, Taxi driver e Milo Rau di Repetition che cita Wajdi Mouawad vengono alla mente) questo pezzo assume la forza di una wake-up call che ci richiama dal teatro al mondo. Pietro Cerchiello – segnatevelo, fateci un cerchio attorno: 25 anni, tante cose da dire (troppe?).

3. Francesca Gemma, Elena Scale, Alice Redini – Le appese

Il rumore delle cose che cadono s’intitolava un bel romanzo dello scrittore colombiano Juan Gabriel Vàsquez, e qui la caduta è il moto osservato e raccontato con grazia, gioco e profondità delle protagoniste che, rievocando la galleria grottesca e rivelatrice di alcuni suicidi femminili, sondano con ironia e originalità questi ed altri precipizi. Un modo di parlare di morte che mi ha un po’ ricordato lo sguardo diagonale e giocoso di Luigi Squarzina (Siamo momentaneamente assenti). Scrittura, tempi e recitazione donano al soggetto, obiettivamente cupo sulla carta, una lucentezza non giudicante e, in maniera inattesa, molto più intima e meno distaccata di quella che il tono “vecchio stile” (un po’ Miss Maisel, Mad Men, Colazione da Tiffany, Casalinghe disperate) potrebbe inizialmente suggerire. Lavoro già a uno stadio molto buono, non vedo l’ora di vederlo. Fra quelli che mi ha colpito di più.

4. Compagnia Paraguas – Le passeggiate

Santiago de Compostela: due donne libere e sfrontate passeggiano libere e variopinte nel (contro il) Franchismo bigotto, grigio e violento, e il camminare, nel luogo del trionfo devozionale del pellegrino, mostra il suo lato eversivo, paradossale e resistente. La storia di questa due Marie è di quelle che incuriosiscono ed esaltano. E il tentativo di dare corpo alla forza scandalosa di queste donne con la potenza espressiva del teatro in ogni sua deformazione (dalle ombre cinesi alle marionette, dalle fosforescenze alla satira TV, dal teatro danza al trasformismo) è interessante. Peccato per un progetto che rimane ancora troppo sfocato e confuso, e un po’ opaco e affastellato per uno spettatore italiano che, per quanto visto, avrebbe bisogno di qualche didascalia in più per entrare nella vicenda. Da sistemare.

5. La Petite Mort Teatro – Le aragoste muoiono per incidenti di percorso

Morte nel titolo e nel nome della compagnia (ma anche vita, ché l’orgasmo dei francesi e le aragoste che vivono all’infinito indicano un percorso ri-generativo), che interpella il pubblico con una storia dall’architettura narrativa complessa su identità, scelte, sulla misura del tempo, della memoria e dell’immaginazione, fra infanzia e vecchiaia. Dagli incastri/incroci messi in scena e dalla descrizione del progetto potrebbe venirne una cosa dalle parti dei Sotteraneo, per citare un gruppo che ci piace molto. Ancora una prossemica e una posa troppo statica e verticale che solo in parte rende la dinamicità del testo e degli incroci di piani. Manca un’infezione di vita, ma la strada (ferrata?) è solida e si vuole vedere dove porterà.

6. Nicola Lo Russo e Pietro Cerchiello – Estate di una notte di mezzo sogno

“Caro (d)io”… Preghiera atea in forma di stand-up confessione surreale, questo open mic in punta di morte gioca con le parole per andare in profondità. Ci muoviamo dalle parti di Bergonzoni, con accenti di Antonio Rezza e Gioele Dix, in cui l’assurdo vuole e prende la sua parte, senza però trasformarsi in esercizio di stile. 20 minuti di one man show funzionano molto bene. Non semplice immaginare una forma-formula molto più lunga, ma la presenza scenica e vocale di Lo Russo e la versatilità e gioia creativa drammaturgica di Cerchiello (vedi già al punto 2) fanno benissimo sperare.

7. Gruppo RMN – Costellazione Vicinelli

Un modo di fare teatro che mi ricorda da vicino quello, da me ammiratissimo e amatissimo, di Deflorian/Tagliarini, senza costituirne l’esito epigone o la brutta copia, anzi trovando una propria voce, qui si esercita sulla figura di Patrizia Vicinelli, poeta e performer bolognese controversa e scomparsa presto, ricostruita attraverso lacerti (diapositive sonore) che vanno a costruire un graduale paradigma indiziario di questa identità artistica che si addensa nella nostra immaginazione. In forma di commissione chiamata a valutare l’attribuzione del vitalizio per condizioni di necessità previste dalla legge Bacchelli (1985) per artisti di chiara fama ma in cattive acque, lo spettacolo è un processo scarno sulla scena che, con scrittura attentissima al ritmo e al tessuto sonoro, avvicina per lampi, illuminazioni, e diagonali inattese un personaggio ignoto a molti, che a ogni passo hai più voglia di conoscere ed esperire. Fra documentazione e immaginazione, l’equilibrio di detto e non detto sembra davvero felice. Per ora ho immediatamente acquistato La notte e il giorno (Argo) per estrema curiosità innescata dalla scena, e non vedo l’ora di vedere la forma finita di questo gioiello di scavo/evocazione di una voce. La cosa più forte vista, in una giornata ricca di scoperte.

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8. Mathieu Pastore – Ipno. Breve trattato di tanatoprassi

Un ospite equivoco e invisibile. È la morte? È un morto? Sembra sapere molte cose su come ci si prende cura delle salme. E, attraverso i misteri di una professione, attraverso luoghi difficili da attraversare ed elaborare, incontriamo i nostri fantasmi, diamo loro corpo e vestizione. Con levità di danza e un’ironia bauschiana Pastore racconta un lutto allo specchio, aprendoci le porte a una danza macabra e rivelatrice, forse quella della consapevolezza. Un registro e un tono interessanti per parlare di quello di cui non ci andrebbe di parlare.

9. Domesticalchimia – Ars Moriendi. L’arte di vivere

Il tema, manco a dirlo, è ancora quello del lutto, stavolta attraverso l’inchiesta presso alcuni specialisti della morte. Ma il verbatim lascia spazio all’invenzione, e si passa dal tono difensivo e un po’ straniante della conferenza un po’ stand-up in maniera, per quello visto, un po’ troppo rapida a un pathos confessione che suona non totalmente convincente. Da vedere nella sua interezza, e montato, a questo stadio mi sembra mancare di una voce sufficientemente precisa e sensisibile che la delicatezza del tema esige. Non ancora.

Insomma, bilancio, a discapito dei foschi temi, pieno di luci e rigogliosi germogli, ché – si sa – seppellire vuol dire anche concimare.

Dunque in bocca al lupo a queste giovani priduzioni. E viva il teatro che è vivo. Occhi aperti nel buio della sala.

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