“Tenera è la notte”, pubblicato per la prima volta nel 1934, è l’ultimo romanzo dello scrittore americano Francis Scott Fitzgerald. La vicenda racconta il fallimento di Dick Diver, un giovane e talentuoso psichiatra, e di sua moglie Nicole, una delle sue pazienti. La storia aderisce a tratti alla vita dell’autore e di sua moglie Zelda, ed è pervasa da un dolore autentico, che ancora oggi lo rendono un libro vivo…

Perché (ri)leggere Tenera è la notte

La via del successo è tutta dritta. Lavora tanto, rimani concentrato. Cogli le opportunità. Più darai, più sarai ripagato. Resisti, sii resiliente, incassa e stringi i denti. Tutto passa.

È la fede che raccontiamo a noi stessi, il mantra che ci fa svegliare presto al mattino, quando vorremmo solo continuare ad affondare con la testa nel cuscino. La via del successo è la promessa di un crinale, l’unione di tutti i punti più alti, lo spartiacque tra paesaggi di infelicità crescente.

Dick Diver, il protagonista di Tenera è la notte, sa bene cosa serve per rimanere sulla vetta. È bello, ha talento, si muove con eleganza su un terreno che ha edificato lui stesso. La società di cui ha sempre voluto far parte gli ruota intorno come un carosello, le luci tutte puntate su di lui. Persino il sole sembra seguirlo. Si potrebbe dire che Dick Diver è arrivato. Non sa bene dove, ma sa bene come.

Sua moglie Nicole è la corsia di sorpasso che gli ha permesso di avere tutto, l’opportunità che ha colto. Una donna lucente, perfetta, all’apparenza impeccabilmente dorata. Insieme sono l’invidia e il vanto di quell’amabile angolo di costa della Riviera francese che nel 1925 è il loro palcoscenico. Siamo sul crinale, ancora inebriati dai Roaring Twenties, i ruggenti anni Venti, ma a un passo dalla grande depressione dei Trenta.

Le luci di Gatsby nella penna di Francis Scott Fitzgerald iniziano a sfarfallare e Dick Diver, il suo ultimo protagonista, è pronto a prendere il posto su quel palcoscenico già decadente.

Tenera è la notte si apre nel momento più alto, in medias res, quando l’idillio dei Diver è all’apice. Il piccolo mondo di americani espatriati sempre in vacanza, alla scoperta del vecchio continente, è ai loro piedi. Tutti li amano così tanto da non poterli neanche invidiare.

Ma Fitzgerald non vuole raccontare le grandi luci, le feste e i successi, è pronto a raccontare la caduta, la spirale della sconfitta e la fine del sogno americano.

Dick Diver ha un segreto: Nicole Warren, sua moglie, la madre dei suoi figli, non è la donna che ha scelto per sé. È il suo passpartout, la scommessa su cui ha puntato tutto. La donna è incline a esaurimenti nervosi, la sua mente si crepa con facilità, perché nel suo passato si annida un trauma pulsante. Ed è l’ego del professionista e la scaltrezza dell’arrivista che rendono Diver il tutore perfetto per una donna così fragile.

Dick sceglie di sua spontanea volontà di innamorarsi della sua paziente, accetta il ruolo che la famiglia Warren sceglie per lui, pur di salire gli ultimi scalini del successo.

La vita che scorge dal punto più alto però, non è quella che si aspettava. Il mondo non risponde alle promesse fatte, le speranze esaudite non sono così dolci. L’ambrosia è velenosa.

È tracotante Dick Diver, un piccolo Ulisse che ha perso i suoi dèi protettori nell’Olimpo. Il suo mare è l’alcool con cui riempie le serate, il vento, che lo sbatte da costa a costa, è una frenesia smaniosa a cui non riesce a dare freno.

Il suo talento per la psichiatria, le sue aspirazioni professionali, sono slavate dal denaro in eccesso. Gli obiettivi non esistono più e per la ricerca della felicità ha perso la rotta. La sua hybris trova pace solo nel riflesso che intravede negli occhi degli altri. Ma il tempo scorre e la smania, che lo ha reso l’alto borghese che è diventato, non ha nient’altro da ingurgitare se non vino, cocktail e disperazione.

Nel giugno del 1929, dopo quattro anni di appunti e bozze sul nuovo romanzo, Fitzgerald aveva scritto a Maxwell Perkins, il suo editore, di lavorare a una nuova prospettiva che avrebbe risolto i problemi che aveva con la scrittura.

Fitzgerald ruba alla sua vita, razzia dalle persone che ha conosciuto in Riviera, nella vita reale, prende in prestito la loro bellezza, la loro perfezione e le sfida, le mette alla prova. È inevitabile che la goccia per Dick Diver, l’ultima stilla di disperazione accettabile, venga da un’attrice diciassettenne.

Rosemary Hoyt è il granello che innesta la frana, la mina che serve a Fitzgerald per far esplodere l’idillio che ha messo in scena. Rosemary lavora sodo, ha talento, ha messo i piedi uno dietro l’altro e si è guadagnata la strada giusta. Non ha trovato scorciatoie. E Dick non può fare altro che ammirarla, guardarla da lontano, mentre esplode in mille pezzi.

Fitzgerald fa scorrere tutto in Tenera è la notte, rubando persino dal suo rapporto di coppia con Zelda. Dick eredita da Scott la dipendenza dall’alcool e Nicole, da Zelda, le patologie psichiatriche.

Per investigare la caduta, per riportarla nella narrazione, Fitzgerald, la mischia con la realtà, succhia dalle ferite personali tutto il male che riesce e lo sputa nel destino dei suoi personaggi.

È la fine dell’autore di successo, il declino dovuto agli eccessi, il travaglio dell’amore. È il tramonto degli eroi, la sconfitta amara e l’abbandono.

Tenera è la notte è un romanzo che ha un fascino diverso dai fasti del Grande Gatsby, è la luce impolverata di un faro su un palcoscenico scricchiolante, ma che è vivo e scotta ancora.

Il triangolo amoroso di Dick, Nicole e Rosemary, ha un cuore unico, che immette nel sangue disperazione e dolore. I loro destini si incrociano, si tagliano e collassano. Rosemary spoglia Dick della sua grandezza e Nicole lo prosciuga fino all’ultima goccia. Dick si avvelena sempre di più, incapace di riprendere il controllo.

Fitzgerald mette la sua vita in gioco, il suo Ulisse non torna ad Itaca, non tocca più terra ferma. Affoga, si inabissa. La ricerca dell’ordine, la corsa per il successo, si svuota, e la vita, quella caotica e imprevedibile, prende il sopravvento.

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