In un certo senso tutti i libri di Ben Lerner sono delle storie di formazione: formazione del giovane intellettuale che si interroga sul senso della letteratura, sul senso dello scrivere, che ricerca un modo per ricongiungere l’esperienza individuale con i destini generali. Non fa eccezione l’ultimo romanzo, “The Topeka School”, ma… – L’approfondimento

In un certo senso tutti i libri di Ben Lerner sono delle storie di formazione: formazione del giovane intellettuale che si interroga sul senso della letteratura, sul senso dello scrivere, che ricerca un modo per ricongiungere l’esperienza individuale con i destini generali, con una presunta comunità che si sente dissolta e sfilacciata in un tempo in cui la stessa Storia sembra essere un concetto vecchio e logoro e che tuttavia continua a riaffermare la propria presenza e la propria violenza; e ancora una formazione letteraria tutta protesa verso un’autenticità sempre in crisi, sempre da ritrattare e da riconquistare ogni volta.

Non fa eccezione l’ultimo romanzo di Lerner, The Topeka School (Sellerio, traduzione di Martina Testa), ma se nei suoi primi due testi narrativi, Un uomo di passaggio e Nel mondo a venire, questo processo prendeva forma principalmente per via saggistica e riflessiva, e con un’attenzione specifica all’attività letteraria, in The Topeka School il saggismo si sfilaccia in una maggiore figuralità e drammatizzazione dei temi costanti dell’opera di Lerner.

The Topeka School racconta la storia di Adam Gordon, personaggio che porta lo stesso nome del protagonista di Un uomo di passaggio, nella fase centrale della sua formazione, vale a dire l’adolescenza e la prima maturità; il racconto è tuttavia intervallato dalle storie della madre Jane e del padre Jonathan che offrono degli slittamenti di prospettiva sul racconto dell’esperienza del figlio e, contemporaneamente, forniscono dei punti di osservazione di analisi sui nodi delle proprie identità. Non a caso le situazioni narrative principali del libro sono presentate principalmente nella forma di riti che performano o problematizzano continuamente le identità dei protagonisti e appartengono, in primo luogo, alle sfere dell’interazione giovanile, delle gare di dibattito e dell’analisi psicoterapeutica. La ritualità di queste situazioni è funzionale a mettere in scena la ripetitività che caratterizza i processi di soggettivazione e, contemporaneamente, esprime uno dei nodi concettuali e dei procedimenti letterari tipici di Lerner: lo straniamento, che assume la forma di riproposizioni continue di gesti, ambienti, situazioni comuni e sempre uguali, ma presentate in maniera scissa, con degli elementi di disturbo che presentano al lettore delle cose assolutamente familiari, ma viste da una prospettiva diversa.

The Topeka School

In The Topeka School questo procedimento serve anche a mettere in scena la lacerazione di Adam nel suo cammino di formazione, diviso fra un ambiente familiare progressista e di sinistra e il conservatorismo e la violenza del mondo circostante. Topeka, città del Kansas, fin dalla prima raccolta poetica di Lerner, Le figure di Lichtenberg, è associata a una galassia di significati che gravitano attorno al tema della violenza, soprattutto un tipo di violenza maschile, bianca ed eteronormativa, gratuita e apparentemente incomprensibile.

Questa condizione non si esprime, però, nel racconto di azioni particolarmente violente, ma piuttosto nell’esposizione di gesti ripetuti, di crisi identitarie, nel contesto del collasso del discorso pubblico e del dipanamento, su ogni livello, di un discorso estremo: che sia il rituale competitivo delle gare di dibattito, l’appropriazione culturale del rap e del freestyle, il litigio, la violenza verbale, l’insulto reiterato continuamente, nell’analisi psicoterapeutica. Tutti questi discorsi vengono portati a contraddizione, messi in relazione alle definizioni identitarie e, soprattutto, esposti a casi limite di fallimento del linguaggio. La lingua dei personaggi di The Topeka School continuamente esaurisce la sua funzione comunicativa: si trasforma in non sequitur, in glossolalie, in discorsi accumulativi e rapidi che oscurano l’argomentazione logica, in ritmo, prosodia e musicalità. Eppure, questi fallimenti del linguaggio sono estremamente significativi perché rappresentano, per il protagonista che continuamente tende a paragonarli all’esperienza della poesia, l’esistenza di una possibilità altra, di qualcosa che non è ancora definito, ma esiste come utopia – per quanto incerta e sfocata.

Da questo punto di vista The Topeka School è anche un libro sul fallimento e sulla possibilità dell’utopia: sul fallimento della memoria, della trasmissione intergenerazionale, dell’amore, del significato, fallimenti a uscire dalle contraddizioni, da meccanismi di determinazione soggettiva, dai rituali che continuamente performano delle identità e dei criteri di attribuzione del valore e sulla possibilità (spesso frustrata) di immaginare delle retoriche – individuali e collettive – altre.

Questa dialettica informa anche la struttura del libro: le scene raccontate si susseguono talvolta in un ordine casuale, talvolta quasi come in una seduta analitica, per mostrare queste dinamiche in atto: così il discorso saggistico è soppiantato dalla messa in scena di situazioni ricorrenti: il bullismo scolastico, la chiesa attivamente omofoba di Westboro, l’analisi psicoterapeutica, l’abuso, ma anche la protezione, l’accudimento, rituali comuni di vita quotidiana, nel bene o nel male.

In una discussione con Ocean Wuong su Lithub Lerner dichiara che uno dei temi principali del libro è la relazionalità e il modo in cui, attraverso il linguaggio, possiamo trasmettere fra le varie generazioni, insieme, odio alienazione e amore. E queste due diverse galassie di significato assumono nel romanzo forme specifiche: è la comunicazione ordinaria a trasmettere la prima, mentre la seconda emerge sempre nel fallimento del linguaggio (e quindi nell’utopia).

 

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