Il sudafricano John Maxwell Coetzee, classe ’40, Premio Nobel per la letteratura nel 2003, è noto per spiazzare i lettori e la critica con romanzi che per tematica, forma o stile rifuggono semplici categorizzazioni. Lo conferma “La morte di Gesù”, volume conclusivo di una trilogia, che è anche un’indagine filosofica sulla conoscenza – L’approfondimento

Ogni volta che viene annunciato un nuovo libro di J.M. Coetzee il mondo della critica letteraria si strofina le mani in deliziata attesa: dove si sarà spinto questa volta?

Coetzee è infatti noto per spiazzare i lettori con romanzi che per tematica, forma o stile rifuggono semplici categorizzazioni. Il nuovo romanzo, La morte di Gesù (Einaudi, 2020 traduzione di Maria Baiocchi), volume conclusivo di una trilogia iniziata con L’infanzia di Gesù, in questo senso non è da meno.

Il percorso letterario di Coetzee inizia negli anni ’70 in Sudafrica (sua terra d’origine), in piena apartheid. Influenzato dal postmodernismo e dalla grande tradizione del romanzo europeo, da Defoe a Kafka, da Buzzati a Dostoevskij, i suoi romanzi nel tempo hanno trattano questioni esistenziali fondamentali come la sopravvivenza, la malattia e la morte, i sistemi di privilegio, il rapporto tra padri e figli, il desiderio e la colpa, ma anche questioni ambientali e politiche, il terrorismo o il veganesimo.

La morte di Gesù John Maxwell Coetzee

La sua opera può essere divisa prevalentemente in tre gruppi, i romanzi più propriamente sperimentali che includono riscritture e sperimentalismi formali (Foe, Il maestro di Pietroburgo, Diario di un anno difficile, La vita degli animali, Elizabeth Costello etc.), quelli d’impianto più realista (Vergogna, Aspettando i barbari, La vita e il tempo di Michael K. etc.) e il ciclo autobiografico (Boyhood, Youth, Summertime). Ci sono poi gli scambi epistolari e i saggi.

La trilogia di Gesù non rientra completamente in nessuno di questi gruppi. È prima di tutto una parabola, sia nel senso di genere letterario (e dunque di speculazione filosofica) quanto – metaforicamente – in senso propriamente geometrico perché in tre mosse racconta una vita che nasce, si innalza e si spegne.

i giorni della scuola di gesù coetze

Il primo volume racconta l’arrivo improvviso e misterioso di un bambino (David) in una città finzionale – Novilla –,  e la successiva fuga verso la più civile Estrella grazie all’aiuto di un padre  e una madre acquisiti (Sìmon e Inès). Il secondo copre alcuni anni scolastici e si focalizza sull’apprendimento non convenzionale basato su aritmetica e danza di David, l’ultimo, come il titolo suggerisce, ne racconta la morte, ancora bambino.

La domanda che ci si pone di fronte a questo trilogia, prima ancora del suo significato, è chi sia Gesù. Inevitabile è infatti l’associazione tra Gesù e David, benché questa non solo non venga mai fatta esplicitamente nel testo, ma che non vi appaia proprio mai il nome di Gesù stesso. Come ha suggerito qualche critico, Gesù indicherebbe piuttosto un fenomeno che arriva inaspettatamente in una società per confrontarne e mettere in dubbio le idee preconcette. “Gesù” rappresenterebbe una forza dirompente atta a sovvertire le strutture attraverso cui ordiniamo e diamo senso al mondo. In questo senso si potrebbe interpretare la trilogia come un’indagine filosofica sulla conoscenza, tesa a raccontare come si possa dare forma diversa alle nostre esperienze quando ci si trova immersi dalla nascita in un mondo già dotato di significante, come si possa decostruire e ripensare un ordine simbolico e quali possano essere gli strumenti per farlo.

L’infanzia di Gesù

Alla luce di questa idea, non è un caso che nel secondo volume sia proprio la questione dell’educazione a essere centrale. David, dopo essere stato catapultato a Novilla e costretto ad apprendere lo spagnolo per esprimersi e muoversi nel mondo sotto la guida di due “genitori”, inizia ad andare a scuola e ad elaborare la sua esperienza nel mondo attraverso correlazioni numeriche armoniche e coreografie di danza. Prevedibilmente ciò insinua in chi lo circonda dubbi sulla natura della sua eccezionalità: un genio incompreso o un bambino con difficoltà di apprendimento? E se è un genio incompreso, qual è la natura di questo genio? Cosa si cela dietro questo modo di apprendere? Cosa spinge David a questionarsi ai limiti dell’ossessione sulle proprie percezioni e le informazioni acquisite, dalle più prosaiche come i bisogni naturali alle più filosofiche come il perché del nostro essere al mondo?

Quella raccontata nella trilogia potrebbe essere una delle tante possibili storie di finzione che nascondono in controluce una serie di domande filosofiche, oppure potrebbe essere una sorta di saggio travestito da romanzo – d’altra parte Coetzee questo stratagemma lo aveva già testato con Elisabeth Costello e La vita degli animali (e non solo). Eppure qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso: Coetzee sceglie di andare oltre la riflessione sul genere e di usare proprio la parola e la struttura narrativa come viatici della sua inchiesta esistenziale. Riduce dunque il linguaggio e il racconto a tal minimo da rendere la narrazione quasi archetipica.

Proprio come nella parabola religiosa, dove il significato non si trova nella specificità (nel qui e ora) dell’evento narrato, ma nella sua interpretazione, e dove ogni orpello descrittivo è abbandonato, la trilogia di Gesù diventa a sua volta una storia universal(izzabil)e, un conte philosophique ad uso ed interpretazione del lettore. Ed è per questo che David non è allora solo un bambino che vive delle avventure, ma può diventare Gesù allo stesso modo in cui Gesù nei testi sacri è l’incarnazione della Parola.

La parte finale de La morte di Gesù si sofferma proprio sul messaggio di cui David, con la sua vita, è portatore. Un messaggio che non è mai svelato direttamente, ma prende forma solo nelle interpretazioni dei personaggi che gli sono stati attorno. Interpretazioni che possono cambiare a seconda della volontà di chi cerca di codificare il messaggio.

Proprio sul valore dell’interpretazione si impernia l’intera trilogia, tanto che per un gioco di riflessi metaletterari, proprio nelle ultime pagine, viene esplicitamente lasciata nelle mani del lettore.

Morto David, a Sìmon viene restituita la copia sgualcita del Don Chisciotte che David leggeva e rileggeva ossessivamente come un testo sacro negli ultimi momenti prima della morte. Al suo interno trova un biglietto della biblioteca.

Cari bambini, qui alla biblioteca ci piace sapere se avete amato leggere i nostri libri e che cosa vi hanno lasciato. Qual è il messaggio di questo libro? Che cosa vi rimarrà piú impresso? Scrivete la vostra risposta qui sotto. Non vediamo l’ora di leggerla. Il vostro amico, il bibliotecario.

Ci sono due risposte, nessuna delle quali di David. A quel punto i confini tra letteratura e realtà si confondono. A chi si sta chiedendo di scrivere il messaggio del libro? E di quale libro, del Don Chisciotte o di quello che abbiamo appena letto?

 

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