“Quando le campane di Saint Paul si mettono a suonare per un attimo mi sembra che è qui che avrei sempre dovuto essere. Invece non appena i rintocchi svaniscono mi dico che io con tutto questo c’entro niente, che il mio posto si trova da un’altra parte, dove stanno gli acquitrini e le civette si aggrappano ai pali della luce…”. In occasione dell’uscita del romanzo “Sola andata”, ambientato tra Roma e Londra, su ilLibraio.it la riflessione dell’autrice, Claudia Bruno

A Blackfriars i binari se ne stanno sospesi sull’acqua davanti allo skyline. Scendo dal treno e imbocco le scale, sotto il ponte c’è qualcuno che suona. Sul lungofiume l’uomo panda ondeggia piano inseguito da un nugolo di bambini, l’illusionista lancia in aria mongolfiere di sapone. I

l cielo è bianco, ma non è vero che il sole non c’è. C’è, dalle sei alle sette di mattina, bello deciso, in fronte. Che per un paese senza tapparelle significa una cosa sola. Allora, già che sei in piedi, il risveglio muscolare te lo fai alla Tate, con il tuo paceful piano nelle cuffie e i lacrimoni di sonno che solo i veri musei ti sanno donare. Finché dopo aver guardato per tre volte di seguito l’animazione Thirteen possible futures realizzata con l’iPad da Amy Sillman e aver pensato che forse ti spia, non t’imbatti nella stanza numero sei.

Rebecca Horn c’è scritto sulla soglia.

Ora, Rebecca è una che ti cuce un vestito da unicorno e ti manda a fare una passeggiata nei boschi, si costruisce una maschera composta di matite e ci disegna muovendo la testa. Oppure se ne va in spiaggia a imbozzolarsi in gigantesche ali-ventaglio, si ricopre di piume e ci scava dentro con le dita. Nel video in loop sul piccolo schermo color caramello la osservo indossare guanti di tessuto rigido che arrivano a terra, camminarci lungo i muri come fosse cieca. Quando le porte si chiudono e l’ascensore comincia a salire mi chiedo perché non ci siamo incontrate prima.

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Le mie mattine del duemilaesedici cominciano così, la Brexit è un orizzonte inverosimile, la pandemia non esiste, il mio pensiero fisso è il terrorismo internazionale. “Adesso ti vesti ed esci”, dice la voce. “Adesso, non dopo”. È sempre così che mi butto fuori, mi lascio trasportare dal magma eterogeneo di braccia e di gambe che avanza lungo le strade e ne assume la forma a prescindere da quello che nel frattempo sta succedendo a cinque, cento, seimila chilometri. Mi muovo in equilibrio su una mappa di galassie interconnesse, la prossima fermata è quella che non mi aspetto. Per me ha l’effetto di un blister di pasticche effervescenti, le voglio tutte, ne voglio sempre di più. Più inspiro caos, più espiro e sono dove voglio essere.

claudia bruno

Claudia Bruno

Il mio posto è davanti agli stivaletti di Charlotte Brontë alla National Gallery, sulle scale della British Library, nella Earth Hall del museo di storia naturale di fronte a una sezione minerale vecchia cinquanta milioni di anni che sembra il calco di un impero in rovina.

Quando le campane di Saint Paul si mettono a suonare per un attimo mi sembra che è qui che avrei sempre dovuto essere. Invece non appena i rintocchi svaniscono mi dico che io con tutto questo c’entro niente, che il mio posto si trova da un’altra parte, dove stanno gli acquitrini e le civette si aggrappano ai pali della luce. E sarà che più ci allontaniamo dalla superficie delle cose più il tempo scorre velocemente, ma è dall’ultimo piano del Blavatnik Building che riesco forse per la prima volta a contemplare la mia vita tutta intera. Mio padre che accosta si gira e mi chiede, “vuoi essere una bambina felice, oppure no?“.

Accorciarmi le unghie coi denti ogni tre, cinque, nove settimane. I flash della cabina per le fototessere sparati negli occhi. Io che lascio stanze, case, lavori, una successione di fughe in minore, la sensazione di trovarmi sempre comunque nello stesso punto.

Non so calcolare i giorni che separano la voce di mia madre che canticchia astro del ciel mentre sventra i pesci la vigilia di Natale da mia sorella che incrocia i tacchi davanti alla commissione un attimo prima di affermare che “la voce ha un corpo”. La distanza che separa l’angolo di strada dove è esploso il camion di Baghdad da quello dove un autocarro ha virato sulla folla sul lungomare di Nizza non la conosco. Ma se conto le volte che ho guidato a centoventi mentre piangevo sulla strada dell’aeroporto so che sono viva per miracolo, penso quando l’ascensore mi risputa fuori accanto al bancone del bar.

Al sesto piano della Boiler House il tintinnare dei cucchiaini sulle tazze è una sveglia che si attiva a intervalli irregolari, ha il colore dell’albume e provoca minuscole fitte ai nervi ottici. E non sarà unicamente questione di tempo, realizzo mentre aspetto una spremuta.

Quassù c’è molta più luce, dopo anni di immersioni in penombra mi consegno alla lunga vetrata che affaccia sul fiume.

Eccoti“, dice la voce, “sei la pellicola bruciata dei tuoi giorni trascorsi, tutto quello che non ti è mai potuto succedere può accadere a partire da ora“.

Sola andata di Claudia Bruno

L’AUTRICE – Claudia Bruno è nata nel 1984. Da sei anni vive tra Roma e Londra. Suoi scritti e racconti sono stati pubblicati da Colla, Cadillac, Inutile, Minima&Moralia, Not. Lavora come redattrice e consulente editoriale e collabora con le pagine culturali del Manifesto. Con effequ ha pubblicato Fuori non c’è nessuno. Ninnananna di periferia.

Per NN ora è in libreria con Sola andata. Veniamo alla trama del romanzo: i protagonisti, Ludovica e Cristian, si amano, hanno vent’anni e vivono in una casa poco fuori Roma che chiamano “il cantiere”, un’eterna promessa di futuro e completezza. Quando lui, ricercatore medico, ottiene un incarico a Londra, Ludovica reagisce come a un trauma: trova conforto solo in Ombra, la loro piccola gatta cieca, e nei quaderni in cui scrive formule e diagrammi a cui si affida per ancorarsi al mondo.

Dopo un anno, Ludovica riesce a raggiungere Cristian nella sua squallida soffitta londinese, convinta di poter ricomporre così la sua vita frammentata. Ma la città diventa un collage di passati imperfetti e futuri anteriori, una voragine di grattacieli e locali notturni che la inghiotte, spingendola verso un’esistenza ai margini, in bilico tra sogno e realtà, dove finalmente riesce a perdonarsi e trovare la sua dimensione esistenziale.

Sola andata racconta il viaggio di chi, per conoscersi davvero, è disposto ad abbracciare la vastità del presente. Un libro è per chi affoga i dispiaceri in una tazza bollente di Masala Chai, per chi ha amato l’atmosfera ipnotica di Lost in translation, per chi ha l’impressione di trovarsi in una vita inventata che esiste davvero.

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