Cosa significa basare la nostra visione del mondo su un unico punto di vista? Se lo è chiesto la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie

Cosa significa basare la nostra visione del mondo su un unico punto di vista? Lo ha raccontato Chimamanda Ngozi Adichie nella sua prima conferenza TED del 2009, ora raccolta in un libello intitolato Il pericolo di un’unica storia da Einaudi, nella traduzione di Andrea Sirotti.

La scrittrice, che è celebre per brevi saggi come Cara Ijeawele, in cui stila una lista di consigli per crescere una figlia femminista, Dovremmo essere tutti femministi, nato da un’ormai iconica conferenza TED tenutasi nel 2013, e per i romanzi Americanah, Metà di un sole giallo, L’ibisco viola e la raccolta di racconti Quella cosa intorno al collo, editi in Italia da Einaudi, torna a far riflettere.

pericolo unica storia Chimamanda Ngozi Adichie

Anche ne Il pericolo di un’unica storia fa riferimento a esempi a cui lei per prima si relaziona per aiutare il lettore (o l’ascoltatore, nel caso della TED originale) a riconoscere la fallacia delle “storie uniche”.

Un esempio di “storia unica” che fa la scrittrice nigeriana classe ’77 è, purtroppo, ben noto anche ai lettori italiani: “La mia coinquilina aveva un’unica storia dell’Africa. Un’unica storia fatta di catastrofi. In questa unica storia, non vi era alcuna possibilità che gli africani fossero in alcun modo simili a lei. Nessuna possibilità per sentimenti più complessi della pietà, nessuna possibilità di un rapporto alla pari tra esseri umani“.

Un’interessante riflessione racchiusa nel libello è l’importanza della rappresentazione per sconfiggere una narrazione semplificata, ma ben poco veritiera.

Sempre attraverso un aneddoto personale Chimamanda Ngozi Adichie racconta come da bambina scrivesse storie in tutto e per tutto simili a quelle che leggeva: “Tutti i miei personaggi erano bianchi con gli occhi azzurri. Giocavano nella neve. Mangiavano mele. E parlavano molto del tempo, di quanto fosse bello che era spuntato il sole”. E spiega: “Dato che avevo letto solo libri in cui i personaggi erano stranieri, mi ero convinta che i libri, per loro natura, dovessero avere personaggi stranieri, e dovessero parlare di cose con cui non potevo identificarmi”.

Ma la rappresentazione, o la mancanza di essa, non sono gli unici effetti collaterali dell’avere un’unica storia. Pensiamo alla politica e alla creazione di un unico nemico,  il pericolosissimo “altro”.

Anche in questo caso Chimamanda Ngozi Adichie fa riferimento a “un’unica storia” in cui si è imbattuta. La scrittrice durante un viaggio in Messico, dopo aver vissuto negli Stati Uniti, dove “ferveva un grande dibattito sull’immigrazione”, si accorge di essere caduta lei stessa nella trappola dell’unica storia secondo cui “la parola ‘immigrazione’ era diventata sinonimo di ‘messicani’”.

Non è un caso se gli esempi citati nel discorso fanno riferimento a narrazioni distorte di minoranze che vengono ridotte a semplificazioni molto spesso denigratorie: “Il potere è la possibilità non solo di raccontare la storia di un’altra persona, ma di farla diventare la storia definitiva di quella persona”. 

La scrittrice sottolinea come smantellare “l’unica storia” non solo permetterebbe di creare un racconto inclusivo delle realtà complesse che ci circondano, ma anche di riconoscere le persone come individui e non come meri stereotipi. Una domanda, tuttavia, non trova risposta: di cosa c’è bisogno per distruggere le “uniche storie”?

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