L’autrice del bestseller “L’eleganza del riccio” torna con una fiaba storica, secondo capitolo del suo “Vita degli elfi”. Una lettura leggera, non per questo infantile, impastata di storia e di magia, e raccontata con una certa vena di poesia – L’approfondimento

Certe cose accadono in modo curioso. Capita, per esempio, che una bella fiaba per adulti programmata per uscire a primavera, si ritrovi intrappolata in un lockdown imponderabile e infinito, che ne blocca la pubblicazione, e quindi la lettura.

È successo – son stime apocalittiche, le stime di quest’anno – a centinaia di titoli, vittime incolpevoli di una pandemia da coronavirus. Tra le uscite posticipate, anche quella di una copertina che reca la firma di Muriel Barbery, e che in Italia ha il marchio di e/o. È un sogno fatto da svegli, Uno strano paese, un viaggio dichiaratamente onirico nel paese da fiaba di cui l’autrice de L’eleganza del riccio iniziò a raccontarci nel 2015, con Vita degli elfi. Del precedente romanzo ritroviamo alcuni tra i protagonisti, su tutti le due bimbe che reggono la trama, Maria e Clara, vite parallele a metà tra la natura elica e quella umana. Insieme a loro umani ed elfi, elfi travestiti da umani, e soldati – di entrambi i mondi – impegnati in guerre diverse. Una storia di alleanze e di verità, di coraggio e di destino.

Uno strano paese

Una lettura leggera, non per questo infantile, impastata di storia e di magia, e raccontata con una certa vena di poesia.

Le atmosfere non sono nuove per chi ha amato la Barbery di Vita degli Elfi, di cui questo romanzo è una ideale prosecuzione. Ma ritornano familiari anche lo stile e il lessico che hanno decretato il successo de L’eleganza del Riccio, certo in ambienti molto meno convenzionali. Tema comune rimane la passione per l’Oriente, il radicamento in Francia, e un grande amore per l’Italia e per la Spagna.

La portata del testo è ampia, forse troppo per la sua leggerezza, ma il rimando costante alla realtà – concreta, tangibile – sa calare la fiaba nella cronaca storica, senza perdere l’elemento magico che le è essenziale. 

Il conflitto tra i due mondi, quello delle brume dove albergano gli Elfi e quello tangibile, pesante e incompleto dove dimorano gli uomini, si mescolano e si intrecciano per la nascita impossibile di due gemelle separate, due bambine “di novembre e di neve”, nate la stessa notte e legate dallo stesso destino. Sarà il filo delle loro vite a legare la narrazione dei due mondi, a cercare il ponte là dove si era perduto, a innervare di realtà un racconto fantastico. È infatti questa la trovata più arguta delle Barbery: innestare la fiaba dentro un libro di storia, legando alla battaglia campale tra il mondo dei vivi e quello degli eterni, la serie di battaglie di vicende e di sconvolgimenti che stanno tra una e l’altra delle nostre guerre mondiali, dando una lettura “altra”, immaginifica, a quella che noi conosciamo come ricostruzione storica del Secolo breve.

Non un libro impegnato, dunque, né impegnativo: una fiaba rimane una fiaba. Ma miti e fiabe erano il linguaggio che gli antichi avevano escogitato per dire con verità le cose vere: ed è infatti nella trama fantastica che si incastrano frammenti di verità, dall’urgenza ecologista – quanto sia attuale non occorre dirlo – all’esegesi evangelica, dalla politica all’arte della guerra. E la magia, poi, che niente ha a che vedere con incantesimi e pozioni, ma solo con una sorta di panteismo originario, di unità naturalistica espressa dagli elfi, creature silvane, nella loro capacità di presentarsi in forma umana e insieme animale, perché la natura una è, e come tale si mostra là dove mancano sovrastrutture. 

Impressionante leggerlo di notte, questo romanzo inconsueto, mentre ogni giorno le cronache riportano le immagini degli animali che tornano a popolare spazi urbani lasciati abbandonati da un’umanità impaurita: decontestualizzate, le bestie sull’asfalto, appaiono fuori fuoco come siamo noi, chiusi in gabbie di paura. E come deve sentirsi un elfo, finito nel mondo di qua.

E la paura, così come il coraggio, è una storia da raccontare. Dove non mancano i traditori, ma dove non manca nemmeno l’amore.

Una storia lieve eppure non banale, che non spiega tutto perché non è nella natura del mito essere chiaro, ma che anzi gioca con arguzia tra i giri delle metafore e delle parole, lasciando un senso di curiosità e mistero, che apre forse a una possibile nuova incursione nel mondo degli elfi. 

Una curiosità: Burbery, che abbiamo conosciuto per una narrazione diventata arcinota della Parigi upperside, rivela in questa serie fiabesca una particolare passione per il nostro Paese, in special modo per le campagne umbre, per il vino d’annata, e per la grandezza di Roma. E chi può darle torto?

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