“Napoli è per me l’unico sfondo dove possono nascere le bestie e i mostri, il circo nero dove tutto è polveroso e dolcissimo, lo sfondo acquatico dove ogni cosa sprofonda e poi riaffiora”. Monica Acito, all’esordio, su ilLibraio.it racconta il romanzo di Uvaspina, il femminiello che piange e ride

Ho scritto un romanzo che si intitola Uvaspina, che è il nome del suo protagonista. In questo libro si chiagne e si fotte tanto. Non leggetelo, se non siete disposti a chiagnere e fottere anche voi. Se dovessi pensare a un foglietto illustrativo che possa contenere le indicazioni e le controindicazioni per maneggiare Uvaspina, scomoderei un certo sommo poeta. No, non quello che era annoverato tra le file dei guelfi bianchi e che è morto in esilio dalla sua Firenze, ma quell’altro nato a vico Foglie ’e Santa Chiara e che era famoso perché faceva le corna e si definiva nero a metà, un tipo a cui piaceva tanto ’o blues:

“T’aggio visto chiagnere e jastemmà,
t’aggio visto fottere e scannà,
bonasera bella ’mbriana mia,
ccà nisciuno te votta fora”
(Pino Daniele)

Se vi lascerete prendere non dico per mano, ma almeno per il mignolino, da Uvaspina, lui vi insegnerà un po’ a chiagnere e jastemmare, a fottere e scannare.

Il romanzo inizia proprio con una donna che chiagne e fotte: il suo nome è Graziella la Spaiata e nella vita ha fatto fortuna facendo la chiagnazzara. Era pagata per piangere a comando ai funerali, ha pianto i bambini morti investiti sotto le macchine e i vecchi di novant’anni, ha creato un’estetica e una poetica del pianto, è una nobile praefica romana e una stracciona, è una matrona forcellara e una fumatrice incallita che si è ridotta a baciare solo le sigarette di contrabbando perché non riesce più a baciare la bocca del suo uomo.

Ogni mercoledì sera, quando il marito Pasquale Riccio – presidente del Circolo Nautico di Posillipo – esce senza di lei, Graziella la Spaiata attacca a chiagnere e mette in scena la propria morte, appesa alla croce di legno del letto a baldacchino. Il marito non si lascia impressionare, le allunga una carezza sulla testa, di quelle carezze scialbe che si danno ai gattini più brutti della figliata, e se ne va. Allora lei prosegue la sua scena per i figli, Uvaspina e Minuccia, che le poggiano le mani sulla pancia per capire se respira ancora.

Uvaspina porta un nome parlante: è nato con una voglia a forma di acino sotto l’occhio sinistro – un acino pallido, quello del ribes – e per tutta la vita è stato abituato a farsi spremere dalle persone intorno a lui. Proprio come l’uvaspina, che viene spremuta per creare sciroppi densi, decotti e liquori che alleviano i dolori altrui, Uvaspina pare esistere solo per essere pigiato e distillare il succo che farà stare meglio le persone intorno a lui. Tutti lo spremono, ma in particolare lo spreme Minuccia, la sua sorellina, una criatura rabbiosa e sadica, che ogni notte gli impedisce di dormire. Minuccia non è una ragazzina qualsiasi, è uno strummolo, è una trottola di legno che quando si inceppa comincia a vorticare, e allora non serve a nulla tirare lo spago, perché lo strummolo si alimenta della sua stessa forza centripeta, demoniaca, cazzimmosa. Minuccia chiama suo fratello femminiello, e anche i suoi compagni di classe lo chiamano così: femminiello è una parola liscia e rotonda che puzza sul palato, una parola sferica che incancrenisce la lingua.

Tutti, in questo romanzo, si arrischiano a chiagnere e fottere: il dolore è vero e simulato al tempo stesso, il lamento è reale come una ninnananna, il pianto è fatto di lacrime scure che tingono la faccia e creano rughe e sorrisi storti. Il corpo di Uvaspina è un corpo di lacrime ed estasi, che impara a camminare in una Napoli che lo delizia e lo punisce, ma questo non è un romanzo su Napoli: semplicemente, Napoli è per me l’unico sfondo dove possono nascere le bestie e i mostri, il circo nero dove tutto è polveroso e dolcissimo, lo sfondo acquatico dove ogni cosa sprofonda e poi riaffiora. Napoli è la città teatro, penetrata dall’acqua come il mitico Palazzo Donn’Anna, la città che piange lacrime che dal basso salgono verso il cielo.

Napoli è un mostro e un prodigio, così come Uvaspina è un frutto e una scintilla di giovinezza che tenterà di sfuggire ai colpi dello strummolo che cerca di soffocarlo col suo spago. Uvaspina impara l’arte del chiagnere e fottere, e la impara con Antonio, un pescatore dagli occhi di colori diversi che incontra sulla spiaggia di Palazzo Donn’Anna: Antonio gli racconta storie di regine e duchesse, di viceré e pezzenti, di rivoluzioni e masanielli, e lo accompagna in un’iniziazione all’amore e al mito.

Tutti i corpi, in questo libro, hanno una spina segreta che li fa sanguinare, il sesso è fossa oscura, beatitudine e Averno. Si chiagne e si fotte nei vasci dove anche il sole si vergogna di filtrare, nelle case di Chiaia che puzzano di tabacco, si chiagne e si fotte di fronte al mare, il mare che scotta e fa bruciare gli occhi se lo si guarda troppo a lungo. Si chiagne e si fotte in ogni epoca di questo libro che non ha tempo, potrebbe essere il 1950 o il 1991 o il 2018, si chiagne nello straniamento, si chiagne nel disorientamento di sentirsi molluschi davanti alla spiaggia, si chiagne senza perché sapere perché si chiagne, eppure si continua a chiagnere e fottere. Le lacrime sono il cordone marino a cui bisogna aggrapparsi per seguire le fila di questo romanzo: Uvaspina chiagne e fotte per salvarsi da Minuccia, trottola di legno che lo umilia eppure gli insegna dove è nascosto l’amore più struggente, chiagne e fotte per scappare dalle mura di Chiaia, chiagne e fotte per andare da Antonio suo, che lo renderà un uomo e lo spoglierà dalla sua buccia di frutto.

Questo è il romanzo di Uvaspina, il femminiello che piange e ride, il polimorfo e queer napoletano, la creatura fluida nata dalla lava e dal mare, il camaleonte che muta per ritrovarsi sempre nuovo e risorto: proprio come noi, che stiamo sempre a chiagnere e fottere ma non perdiamo mai la voglia di amare.

monica acito uvaspina

 

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Monica Acito è nata nel 1993. È cresciuta in Cilento, tra le gole del Calore e i templi di Paestum. Ha iniziato a scrivere da bambina, e fin dall’adolescenza ha collaborato con testate cartacee e online. Dopo la maturità classica si è trasferita nel centro storico di Napoli, tra Forcella e Mezzocannone, e si è specializzata in Filologia Moderna presso l’Università Federico II. Nel 2019 è approdata a Torino, dove ha frequentato la Scuola Holden. Nel 2021 ha vinto, tra gli altri, il Premio Calvino per la narrativa breve e i suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste letterarie. È docente di discipline umanistiche presso la scuola secondaria di primo e secondo grado. Collabora con ilLibraio.it ed è al suo debutto nel romanzo, per Bompiani, con Uvaspina.

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