Dedicata al film “Stalker” del maestro Andrej Tarkovskij, “Zona” di Geoff Dyer, prolifico autore, critico e saggista inglese, è una delle opere di non-fiction cinematografica più interessanti dell’ultimo periodo

Ci sono film che non sono semplicemente i nostri film preferiti. Ci sono film che si imprimono nella nostra mente e ci sconvolgono. Ci sono film che ci piacciono talmente tanto da diventare degli enormi enigmi davanti ai quali non si smette mai di imparare e li si riguarda in cerca di ulteriori risposte.

Per Geoff Dyer uno di quei film è Stalker (1979) di Andrej Tarkovskij, uno dei massimi capolavori della storia del cinema attorno al quale il prolifico autore, critico e saggista inglese ci ha addirittura scritto un libro: Zona (Il Saggiatore, traduzione di Katia Bagnoli).

Una lettura che promette, da sottotitolo, di essere “un libro su un film su un viaggio verso una stanza” e che si svela come una delle opere di non-fiction cinematografica più interessanti dell’ultimo periodo.

Zona Geoff Dyer

Il film di Tarkovskij, tratto dal romanzo Picnic sul ciglio della strada (Marcos Y Marcos, traduzione di Luisa Capo) è, sin dall’epoca, oggetto di venerazione e dibattito di critici e cinefili. Un film dalla produzione travagliata che trova il suo cuore nella zona, questo luogo/non-luogo in continua mutazione nel quale bisogna spogliarsi dell’umana comprensione.

La pellicola diventa occasione per l’autore di analizzare l’opera dal punto di vista dello spettatore e quello che ne è esce è sorprendente: dalle prime pagine sembra di assistere a un semplice riassunto di ciò che si vede sullo schermo, ma serve poco tempo per accorgersi che Dyer sta riassumendo emotivamente quel film.

Senza privare Stalker di quell’alone di insondabile mistero, Zona intreccia le scene cinematografiche, grazie ad un uso delle note a piè pagina che può ricordare David Foster Wallace, a digressioni filmiche e esperienze autobiografiche dello scrittore in un racconto che brilla di amore per la settima arte e il suo potere evocativo.

Nella prosa di Dyer, Stalker è un vero e proprio film-zona in grado di affascinare sia grandi registi coevi al regista russo (Bresson, Antonioni, Godard) sia successivi (Von Trier, Zvjagincev) che l’hanno citato nelle loro opere, sia gli spettatori, che siano cinefili o inconsapevoli.
In uno dei punti più limpidi del libro, Dyer rivela di essere stato annoiato alla prima visione del film tanto da non apprezzarlo. La forza (e la natura enigmatica) di quelle immagini, però, gli sono rimaste dentro tanto da spingerlo a rivederlo e, successivamente, amarlo.  Ed è questa la forza delle grandi opere, che siano cinematografiche o non: rimanere impresse.

Ecco perché il saggio di Dyer va ben oltre il riassunto di un film amato: è un’espansione in cui emerge, qui più che altrove, un amore incondizionato verso la narrazione e la forza inesauribile del cinema.

 

 

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