A Teresa Cremisi è stata affidata la nuova sezione del Salone del libro di Torino dedicata all’editoria (in cui dialogherà con Antonio Sellerio, Antoine Gallimard, Stefano Mauri e Massimo Turchetta). ilLibraio.it ha intervistato la presidente di Adelphi, che ha parlato del futuro della lettura (“Non si può fare a meno del libro per salvaguardare e trasmettere il sapere, la letteratura”) e delle complessità legata al suo mestiere: “Ma si diventa editori scoprendo in se stessi talenti talvolta insospettati…”. Spazio anche all’Adelphi di ieri, di oggi e di domani: “Philip Roth è l’autore di un’opera fra le più forti e coerenti del nostro tempo…”. Quanto a due autrici di oggi destinate a restare, cita Svjatlana Aleksievič e Yasmina Reza

Teresa Cremisi è un nome noto dell’editoria europea. A lei Annalena Benini, al suo primo Salone del libro di Torino in veste di direttrice, ha affidato la curatela della nuova sezione dedicata a quello che viene definito un “mestiere da acrobati“, in cui Cremisi dialogherà con editori molto diversi tra loro, come Antonio Sellerio, direttore generale ed editoriale di Sellerio, Antoine Gallimard, presidente e direttore generale di Madrigall (che oltre a Gallimard raggruppa decine di case editrici), Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di GeMS (ed editore di questo sito, ndr), e Massimo Turchetta, direttore generale della Rizzoli (qui i dettagli sui quattro appuntamenti in programma al Lingotto tra il 9 e il 12 maggio).

Cremisi è figlia di un imprenditore italiano e di una scultrice spagnola e anglo-indiana, è nata nel ’45 ad Alessandria d’Egitto, e nel suo percorso professionale la Francia e la lingua francese hanno avuto un ruolo centrale.

Arrivata in Italia all’età di dieci anni, a Milano ha iniziato il suo percorso nei libri: dopo ventidue anni alla Garzanti (dove ha cominciato come lessicografa per i dizionari ed è giunta fino alla direzione del marchio, lavorando nel frattempo anche per la Rai, senza dimenticare le collaborazioni con L’Espresso e La Stampa), nel 1989 si è trasferita a Parigi, per dirigere la prestigiosa casa editrice Gallimard. È del 2005 il passaggio al gruppo Flammarion e del 2016 la presidenza del CNC (Centro Nazionale del Cinema). Dopo la morte di Roberto Calasso (il 28 luglio 2021), è stata nominata presidente di Adelphi, mentre Roberto Colajanni è stato scelto come amministratore delegato e direttore editoriale.

Un lungo percorso nel mondo del “fare i libri”, dunque, un viaggio in cui non sono mancate le sfide quello percorso da Cremisi, durante il quale ha visto cambiare l’editoria libraria, e in cui è stata protagonista anche in veste di autrice (scrivendo alcuni dei suoi testi in francese), con Strangolata con un portacenere (Bompiani, 1974), con il romanzo La Triomphante (Adelphi, 2016), con Cronache dal Disordine, volume uscito per La Nave di Teseo l’anno scorso, e con la curatela del Processo di condanna di Giovanna d’Arco (riproposto da Marsilio).

Riguardo al suo lavoro principale, intervistata da Chiara Valerio Teresa Cremisi ha raccontato che “quello dell’editore è un mestiere che è difficile definire, tant’è vero che io non riuscivo nemmeno con i miei figli. Una volta, cercando di fare a gara con i suoi amici che dicevano ‘mia madre è chirurgo’, ‘mia madre è avvocato’, mio figlio ha provato a spremersi le meningi e alla fine ha detto: ‘mia madre parla al telefono‘. Tramite, filtro e agente lo sono anche i galleristi, i producer musicali; l’editoria ha qualcosa in più perché non crea solo il contatto tra l’artista e il luogo dove verrà esposto, ma anche un oggetto. E questo oggetto ha qualcosa di eterno. Ha qualcosa dell’eterno come la perfezione di una tazza: può deformare il manico, allargarla, ma una tazza è sempre una tazza e un libro è sempre un libro”.

In effetti, Teresa Cremisi, nonostante periodicamente qualcuno ne profetizzi la fine, i libri e l’editoria, pur non mancando certo i problemi, hanno dimostrato di saper resistere anche alla rivoluzione digitale e all’ascesa dei social: è ottimista per il futuro della lettura, o nutre qualche timore?
“Ho l’impressione di ripetere sempre le stesse cose, ma lo faccio volentieri: il libro fa parte degli oggetti essenziali della vita umana. Non si può fare a meno del libro per salvaguardare e trasmettere il sapere, la letteratura. Quanto alla ‘rivoluzione digitale’, mi permetta due considerazioni generali”.

Prego.
“Una vera rivoluzione digitale l’abbiamo vissuta quando la composizione tipografica abbandonò il piombo; la produzione si trasformò completamente e divenne molto più agile ed economica. Se poi si indica come ‘rivoluzione’ l’accesso al libro digitale, va ricordato che libro è sempre libro, digitale o no, che non si tratta di concorrenza. ma di complementarietà. E – cosa importantissima, che non avevamo del tutto previsto vent’anni fa – i lettori sono, in grande maggioranza, gli stessi. Chi legge, legge. Preferisce farlo su carta e conservare in scaffali i suoi libri ma, se viaggia o non trova l’edizione che cerca, ebbene legge il testo desiderato su Kindle o iPad; poi completa con un tascabile; poi, ancora, compra su una bancarella dell’usato… Insomma, si adatta, come si adatta l’industria editoriale agli alea della situazione economica e sociale”.

Nell’introduzione alla serie di incontri che curerà al Salone del libro si sottolinea come il mestiere dell’editore assuma “connotazioni molto diverse a seconda del marchio editoriale, e del Paese, in cui si lavora”. E ancora: “un occhio alle vendite e un occhio alla qualità, un occhio al commercio e un occhio allo spirito, un occhio al gusto dell’epoca e un occhio alla posterità”: in che modo il suo approccio al lavoro editoriale è cambiato nel tempo?
“Non è veramente cambiato. Penso sia un mestiere molto particolare proprio perché ‘strabico’. Piuttosto difficile, proprio perché richiede qualità e difetti talvolta contraddittori — esperienza, intuito, curiosità, tenacia, umiltà. Difficile ‘insegnarlo’. Si diventa editori scoprendo in se stessi talenti talvolta insospettati”.

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Ai giovani che oggi sognano di entrare in casa editrice, cosa si sente di consigliare?
“Di seguire la loro ispirazione! Non è entrando in editoria che diventeranno ricchi. Ma è un crocevia appassionante, convergono lì alcune delle tensioni più alte nel breve tempo che ci è dato di vivere. È un posto d’osservazione privilegiato sulla creazione letteraria, l’elaborazione delle idee e l’evoluzione del gusto”.

Meno di tre anni fa ha raccolto un’eredità pesante, quella di Calasso: come vede il presente, e soprattutto il futuro prossimo dell’Adelphi?
“Non credo si possa definire la mia presidenza ‘un’eredità’. Ho accettato questa carica con spirito di amicizia e volontà di preservazione. Calasso non era solo presidente, ma anche amministratore delegato e direttore editoriale, da decenni. Due cariche che oggi svolge con competenza e audacia Roberto Colajanni”.

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A proposito del futuro di Adelphi – come anticipato da Repubblica nelle scorse settimane – ci sarà anche Philip Roth: cosa vi ha spinto ad affrontare questa sfida, acquisendone il catalogo delle opere?
“Philip Roth è l’autore di un’opera fra le più forti e coerenti del nostro tempo. ‘Sfida’, dunque, è forse una definizione inappropriata. Quando sarà il momento, quando la riflessione editoriale sulle riedizioni dei libri di Philip Roth sarà portata a termine, Roberto Colajanni ve la esporrà nella sua globalità”.

In un’intervista del 2016 al nostro sito lei aveva spiegato di essere “sempre stata una lettrice onnivora”. “Sin da ragazzina, ho amato i classici dell’epica e Shakespeare. Anche se non capivo quasi nulla, mi lasciavano qualcosa”, aveva aggiunto: c’è un libro pubblicato di recente che l’ha davvero colpita, che in futuro sarà considerato un “classico”?
“Quando ho letto i libri di Svjatlana Aleksievič, in particolare quello che in Italia è stato tradotto come Tempo di seconda mano (e in altri paesi come La fine dell’uomo rosso) ho avuto una specie di stordimento artistico. Ecco come una scrittrice si serve della realtà e della storia di gente comune per farne un romanzo di storie umane. Il metodo, le scelte stilistiche, l’attenzione documentaria trasformata da uno sguardo d’artista… tutto questo mi ha dato l’impressione di leggere un capolavoro. In un genere diverso, i libri di Yasmina Reza mi fanno lo stesso effetto. Consiglierei in particolare Felici i felici“.

Nella stessa intervista aveva poi ammesso: “Se non avessi cominciato a lavorare nell’editoria, probabilmente mi sarei dedicata alla biologia, o alla medicina”: qual è l’aspetto del suo mestiere di editrice che ancora oggi le regala più energie positive?
“Sono curiosa, e la vita editoriale mi offre sorprese a ripetizione. Sono tenace e il nostro mestiere riserva difficoltà sempre rinnovate. Amo il rischio intellettuale, e l’editoria è un’eccellente palestra per questo”.

Un’ultima curiosità: sta lavorando a un nuovo libro?
“Dimenticavo: sono anche pigra e i miei lavori personali sono sempre rimandati a un altro momento. C’è sempre qualcosa di più importante da fare o da scrivere”.

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Fotografia header: Teresa Cremisi nella foto di Lara Vianello

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