Intervista a Piero Ottone autore di Memorie di un vecchio felice

Giunto sulla soglia degli ottant’anni, in Memorie di un vecchio felice il grande giornalista si racconta dal punto di vista offerto da una vecchiaia vissuta felicemente. Un privilegio dell’età è il piacere della contemplazione, che riguarda il presente e il passato. Tutto è già avvenuto, si diventa insieme attori e spettatori della vita, le situazioni si possono godere più pienamente. Insomma, si vive in una condizione di distacco che, in verità, nel caso di Ottone, è sempre stata naturale per il suo temperamento. Dall’alto degli anni guarda con disinteresse alla politica e osserva il passato con disincanto: il Corriere, la leggerezza con cui se ne staccò dopo esserne stato direttore – afferma – quasi per caso, Montanelli, Mondadori e Mediaset, Berlusconi, Agnelli e la Fiat, Cefis e la razza padrona… Ne abbiamo parlato con lui.

D. Perché un libro come questo proprio adesso?

R. Ho sempre pensato che i libri di memorie dovrebbero scriverli soltanto le persone che abbiano avuto una vita interessante, fuori dal comune. E questo non è il mio caso. Quindi ho sempre allontanato il proposito di dar vita ad autobiografie o memoriali. Ho invece pensato di scrivere un libro sulla vecchiaia perché ho esperienza diretta sul tema, e perché penso – grazie a questa esperienza – che la vecchiaia è, a suo modo, un’età felice. Una bella stagione nella vita di una persona e, qualche volta, addirittura la stagione più bella. Questa scoperta che va un po’ contro il senso comune, mi pareva il caso di comunicarla al prossimo e magari a edificazione dei tanti miei coetanei (che, sia detto tra parentesi, diventeranno sempre meno numerosi). E così mi sono messo a scrivere l’elogio della vecchiaia. Ma vecchiaia vuol dire ricordi: uno degli aspetti più belli della vecchiaia è che la vita diventa sempre più ricordo e sempre meno protagonismo. Mentre i propositi per l’avvenire implicano sempre qualche ansia e qualche preoccupazione (riuscirò ad attuare i miei progetti? avrò fortuna? avrò successo?), i ricordi solo serenità: anche gli episodi meno piacevoli nel ricordo perdono l’affanno con cui sono stati vissuti e diventano interessanti, o comunque tollerabili. E qui è successo che, parlando di vecchiaia e ricordando, ho finito col rivangare tante momenti, tanti episodi, tante vicende di una esistenza che, ormai, abbastanza lunga la è. Ecco quindi che, per vie traverse, l’elogio della vecchiaia è diventato anche in qualche modo un libro, ahimé, di memorie. Proprio quello che volevo evitare. Quindi Memorie di un vecchio felice, diciamo così, di contrabbando.

D. Una parte di queste memorie riguarda, inevitabilmente, i dieci anni che lei ha passato come direttore, prima del Secolo XIX e poi del Corriere della sera. Ce ne vuole parlare?

R. Il direttore di un giornale, come in generale chiunque abbia un incarico direttivo, può vivere la sua esperienza in due modi differenti: o con la paura di perdere il posto, o con il proposito di fare tutte quelle belle cose audaci e interessanti che il posto – e solo quel particolare posto che occupa – gli permette di fare. Ovviamente, com’è facile arguire dalla mia premessa, ho vissuto le due direzioni (tre anni e mezzo al Secolo XIX e cinque anni e mezzo al Corriere della sera) in piena serenità. Avevo occasione di fare quel tipo di giornalismo in cui credevo, un giornalismo spregiudicato, che dica tutto quel che c’è da dire senza preoccuparsi di tutte le reazioni allarmate, negative, pavide e tremebonde che poteva suscitare. Così ho fatto, ed è per questo che gli anni di direzione sono stati anni piacevoli, interessanti e soprattutto sereni.

D. Se la sente di dare qualche consiglio, da parte di un vecchio felice ai giovani che hanno ancora tutto da vivere?

R. Il consiglio di base a ogni giovane è: fai quel che devi, e sarà quel che sarà. Questo va vissuto non soltanto nel senso fare quel che devi fare normalmente (nel senso di avere la coscienza pulita e di essere a posto con le norme di vita). Non soltanto questo, ma anche fai quel che devi in base ai tuoi propositi, ai tuoi obiettivi particolari. Per esempio: decidi di diventare giornalista. Devi tracciarti un programma di preparazione per fare il giornalista: certe letture, certe frequentazioni, certi approfondimenti. Insomma, tracci una rotta per arrivare alla tua meta. Tracciare una rotta non è facile, ma puoi farti consigliare – anzi, devi – da chi ha più esperienza e quindi può darti buoni consigli. Fatta la rotta, poi cerca di seguirla (fai quel che devi) senza chiederti un giorno sì e un giorno no se avrai successo. Il risultato finale si vedrà quando si vedrà. Ma tu sarai a posto con la tua coscienza se avrai fatto ciò che ti eri prefisso di fare.

novembre 2005

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