Grazie alle sue poesie sui social, in Spagna il nome di Elvira Sastre è notissimo, tanto che è definita “la Rupi Kaur iberica”: su ilLibraio.it un capitolo dal romanzo “Talvolta con il cuore”, che racconta con delicatezza una storia d’amore contemporanea, ma con radici antiche

Grazie alle sue poesie sui social, in Spagna il nome di Elvira Sastre è notissimo, tanto che è definita “la Rupi Kaur iberica“. Nata a Segovia nel 1992, è l’autrice di sei libri di poesie che hanno scalato le classifiche in patria. Le letture pubbliche dei suoi versi riempiono piazze e teatri. Non solo: Sastre è anche traduttrice di autori come Oscar Wilde e Rupi Kaur.

Sastre - Talvolta con il cuore

Garzanti, dopo aver pubblicato La solitudine di un corpo abituato alla ferita (2018), propone Talvolta con il cuore (traduzione dallo spagnolo di Andrea Bigliardi), romanzo vincitore del premio Biblioteca Breve, che racconta con delicatezza una storia d’amore contemporanea, ma con radici antiche.

La trama ci porta a incontrare Gael, la cui nonna, Dora, l’ha sempre incoraggiato a seguire il proprio cuore, anche quando è difficile. È stata quella donna intraprendente a crescerlo e a fare di lui un sognatore determinato. Per questo, quando al giovane scultore viene proposto di insegnare in un’accademia, accetta senza ripensamenti. Lì incontra Marta, minuta e selvaggia, che sconvolge il suo mondo con risposte pronte e una risata senza freni. Gael crede di aver trovato l’amore di cui gli ha sempre parlato nonna Dora quando ricordava il nonno. Si sente vivo, completo, felice. Ma quando Marta lo lascia, la sua passione si trasforma in un vuoto difficile da colmare. Nonna Dora, però, ha una lezione da trasmettergli. Un ultimo aneddoto, nascosto in una lettera, che riguarda proprio lei e il nonno, giovani innamorati durante la guerra civile spagnola. Perché, anche quando un amore finisce, c’è qualcosa da imparare. Talvolta bisogna mettere in gioco il cuore, se si vuole crescere.

Su ilLibriao.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

SECONDO GIORNO SENZA DI TE
Non mi alzo dal letto.
Anche se nei miei incubi sei ancora qui con me, così bella

Ormai erano passate due settimane da quando avevo iniziato il mio secondo anno nell’atelier e le lezioni procedevano bene. Gli studenti erano abbastanza diligenti, la maggior parte di loro manteneva la costanza e la pazienza che richiedono i lavori artigianali. L’obiettivo del corso era scolpire una figura umana, concentrandosi sui dettagli: le espressioni, una smorfia particolare, la profondità dello sguardo. Io ero motivato come mai prima d’allora. Era molto tempo che cercavo quel battito di cui parlava sempre Dora e finalmente l’avevo trovato. Con l’esperienza ero diventato un buon professore e, insegnando, anche le mie abilità artistiche erano migliorate. Amavo la scultura perché sentivo che grazie a essa poteva creare qualcosa di nuovo, qualcosa che prima non esisteva. Quella libertà quasi divina mi dava potere, e di conseguenza una certa responsabilità. Per quanto sia vero che nell’arte non esistano giusto o sbagliato, ma tutto è una prova continua, è altrettanto vero che l’artista deve essere fedele a quello che crea, perché le sue creazioni lo definiscono. È necessaria, per tanto, l’empatia; si deve cercare la connessione con chi ammira, chi decide di fermarsi a contemplare la tua opera, senza sapere bene il perché. In una scultura, un dipinto, o qualsiasi opera d’arte che viene esposta, si deve riuscire a ottenere quel vincolo invisibile che coglie lo sguardo di chi osserva. Così come un libro non esiste senza due occhi che lo leggano o una canzone non sopravvive senza qualcuno che la ascolti, un’opera d’arte non svolge la sua funzione se non attrae lo spettatore. Probabilmente questo proposito è il più complicato da realizzare. Ma era proprio quello che stavo cercando con tanta insistenza. Marta riempiva quell’atelier di luce. Alcune persone sono come un bagliore e inondano i luoghi che occupano e il cuore di coloro che le ammirano. Marta era una di quelle persone. Per i tipi come me, che guardano passare il tempo lentamente e osservano tutto nei minimi dettagli ma raramente hanno il coraggio di afferrare l’esistenza con entrambe le mani e scuoterla per far cadere le opportunità, le persone come lei, immediate ed elettriche, fugaci mentre ci attraversano la vita, inarrestabili come i treni che ci passano davanti, sono uno spettacolo. Osservarla era come ascoltare dal vivo la mia canzone preferita. Dora diceva spesso che è breve il tempo che impieghiamo per abituarci all’oscurità, ma che, tuttavia, non ci si abitua mai del tutto alla luce, come se ci sentissimo al sicuro solo dentro i nostri anfratti, in quei luoghi che nessuno riesce a raggiungere. In ogni parte di me, Marta era fuoco. Il suo sguardo, i suoi gesti, la sua pelle vulnerabile e allo stesso tempo indomita esposta alla creatività dei miei studenti la facevano esplodere di energia. Un giorno si dimenticò il cellulare e a tarda sera dovette tornare all’atelier, dove io rimanevo sempre dopo la lezione per finire le mie opere. Per lavorare avevo bisogno di stare da solo e ascoltare musica, la calma in un luogo caotico per trovare la concentrazione, e quel posto era perfetto. Sarebbe impensabile non raccontare che Marta era il contrario di tutto quello di cui avevo bisogno. Irruppe nell’atelier come il primo giorno, facendo rumore, con il broncio e il respiro affannato, borbottando qualcosa tra sé e sé. «Sono un disastro, Gael. Ho perso il cellulare e me ne sono accorta che ero già sull’autobus per tornare a casa, ho obbligato l’autista a fermarsi a metà strada e lo ha fatto controvoglia, poi delle signore hanno iniziato a lamentarsi.» Scoppiò a ridere all’improvviso. Un bagliore. «Dovevi vederle… avevano la bava alla bocca, te lo giuro. Delle matte! Il tizio ha rischiato la vita fermandosi, poco ma sicuro. Difficilmente sopravviverà alla furia di quelle streghe settantenni. Comunque», tornò con il broncio, «adesso lo cerco, spero sia qui!» «Aspetta, ti do una mano.» Mi avvicinai con lei al posto in cui era solita lasciare le sue cose, il quale, inutile dirlo, era nel caos più totale. In quella parte dell’atelier, più stretta, la luce era tenue. Marta cercava con attenzione il cellulare e io tentavo di fare la stessa cosa, senza smettere di guardarla, c’era qualcosa nell’atmosfera di quel momento che mi rendeva nervoso, una certa solitudine interrotta, non lo so, non ne sono sicuro. Non lo trovavamo, così le proposi di chiamarla dal mio cellulare per vedere se la vibrazione ci avrebbe condotto al nascondiglio. Demmo la caccia al brusio ridendo come pazzi finché, mentre eravamo stesi a terra fiutando come due segugi, dietro la scala che portava in soffitta, non lo rintracciammo. All’improvviso, Marta cominciò a urlare, a squittire in modo isterico, ululava come un lupo in una notte di luna piena. Mi prese la mano e la strinse con forza, era fredda, congelata, e continuò a sgolarsi per dieci o quindici secondi. Io ero perplesso, ma lei si girò verso di me, incalzandomi con lo sguardo, e mi unii al suo grido. Fu allora che smise. «Si sta meglio, vero?» mi chiese, morendo dal ridere. «Lo faccio quando sono in ansia. È che mi innervosisco facilmente. Anche le situazioni più ridicole mi restringono lo stomaco. È la prima volta che lo faccio con qualcuno. Tu sei sempre così tranquillo, Gael… non so se te l’hanno mai detto, ma grazie di aver urlato con me.» In quel momento, Marta si avvicinò lentamente e mi baciò. Era uno di quei baci che non sai se sono il preambolo di una cascata di saliva altrui sul tuo corpo o se rimarrà solo una carezza sulla guancia. In quell’istante, sotto quella luce soave, fui capace di apprezzare le sfumature d’azzurro che si mescolavano nei suoi occhi. Erano esatte e precise. Una di quelle sembrava il cielo di un paesino dell’entroterra spagnolo il 15 giugno. Un’altra assomigliava all’acqua sulla riva del mare della spiaggia di Bolonia nel Sud della Spagna il 19 gennaio. Una terza era uguale alla parete della casa di Frida e Diego in Messico una mattina soleggiata del 29 marzo. Un’altra mi ricordò la copertina di un quaderno di bozzetti che finii il 4 marzo. E l’ultima sfumatura d’azzurro la credetti uguale a quella che lo scrittore Bécquer aveva visto il 3 dicembre. Marta e la sua esplosione di azzurro mi baciarono.

(continua in libreria…)

© 2022, Garzanti S.r.l., Milano

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