Arriva in libreria il romanzo autobiografico di uno dei fumettisti italiani più noti, Igort: su ilLibraio.it un capitolo

Igort è un nome fondamentale della cultura italiana: disegnatore, scrittore, artista, autore per il teatro e il cinema, editore (ha fondato diverse case editrici, tra le quali Coconino Press, che tuttora dirige) e musicista, attivo da oltre trent’anni, arriva ora in libreria per Chiarelettere con My generation, romanzo di formazione che racconta un’epoca incredibilmente produttiva, geniale, irresistibile, grottesca.

Nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra i quali il premio per la miglior graphic novel dell’anno alla Fiera internazionale del libro di Francoforte, nel 2003. Non solo: ha partecipato alla Biennale di Venezia, come artista plastico e musicista, ha esposto a New York, Parigi, Tokyo.

My generation è un viaggio nel tempo, in cui grande spazio ha la musica, e il punk in particolare, che travolge anche l’Italia. Un viaggio che vede protagonisti ragazzi senza un quattrino trascinati dalla forza dei propri sogni: sogni di gloria, arte, musica e fumetto. Sogni di liberazione.

Un racconto che attraversa gli anni di piombo, Pasolini, la fantascienza, l’astro nascente di David Bowie e di Lou Reed, la controcultura, Moebius, i viaggi in autostop, l’infanzia asfissiante ma indimenticabile in provincia, le fughe, le scoperte e le illuminazioni, le discese e le risalite esistenziali, Londra, la vita ai margini, Sid Vicius, Iggy Pop, Bologna, il Dams, ritrovo di orde di “studelinquenti”, Freak Antoni, Andrea Pazienza e Pier Vittorio Tondelli, il postmoderno, la new wave, e in mezzo la cronaca e la politica, la bomba alla stazione, i fiumi di eroina e i tanti amici rimasti travolti, l’omicidio di Francesca Alinovi, critica d’arte geniale e sofferente, la fine dell’innocenza…

igort

Igort

Su ilLibraio, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un capitolo

Post Modern Symphony

Gli anni che seguirono la bomba furono levigati da una foga di fare, produrre, ingegnarsi. non solo per consentire a quella ferita di rimarginarsi, ma anche perché, banalmente, l’industria parve timidamente aprire le sue braccia e accogliermi. Pubblicavo sulle riviste che avevo sognato, quelle con cui ero cresciuto. Cominciavo a esistere, a sentire la mia «voce di autore».

Con Patrizia, cara amica di Lorenzo Mattotti, nacque in quei giorni una storia d’amore profonda, complice. lei era dolce, colta e bella; parlavamo per ore, notti in bianco a scoprire chi era l’una, chi l’altro. Il giorno dopo, sul mio tavolo, trovavo libri. Suoi libri che potevano «essere utili» a quello che stavo disegnando o scrivendo. Aveva un carattere lunare, Patrizia, misterioso e complesso, ne fui affascinato. l’amore sarebbe durato per diversi anni durante i quali le conversazioni riguardarono la musica, il fumetto, la letteratura, il cinema, i viaggi, la vita in genere. Conobbi i suoi nordici genitori, sgomenti per il fatto che la loro pargola perdesse il suo tempo con un sardagnolo dalle aspirazioni artistoidi, piuttosto che dedicarsi ai capitani d’industria. Furono giorni intensi, nei quali, forse, baby Igor dimenticò, per un attimo, di essere funambolo.

my generation

Negli scambi di opinioni Patrizia vedeva un furore che la atterriva. Ero cresciuto a declinazioni latine e miti familiari folli. Con un genitore devoto all’algebra e al classicume, agli ascolti a volume stellare, ai voli pindarici e alle scaramucce degne di un D’Artagnan della retorica. Come poteva, questo, non lasciare tracce indelebili? lei mi avrebbe insegnato a dire le cose con i silenzi. Diventai marconista sentimentale, imparavo a decriptare.

BIP BIP BIIIP BIP BIP BI BI BIIIP

Prendevo appunti, disegnavo storie misteriose ambientate nel Giappone della mia anima. In quel paese non ci ero mai ancora andato, eppure lo sentivo familiare. Presi a viaggiare con la fantasia. nacquero le basi per la storia di un uomo di vetro, un uomo che trascorreva le sue giornate assorto. Si chiamava Hiro Oolong, era un giapponese trapiantato in Parador. In quell’isola cercava di assecondare le proprie ossessioni. la mia era una storia morbosa, perché Hiro San coltiva la passione per la carne. raccontavo quest’uomo, che era un macellaio per vocazione. non uccideva, lui, la contemplava, la carne. Contemplava in grande. Poiché aveva aperto le Imperiali Macellerie nipponiche in quel di Papassinas. Scandagliavo lo spirito di chi si perde, implode, divorato dalle visioni. Chiesi a Daniele di sceneggiare, di dare a questo nucleo la forma definitiva. Daniele, se ne impossessò, ogni mese mi mandava parole, strutture, dialoghi; battuti a macchina su carta velina. Io leggevo, con una certa emozione, poi appuntavo, scarabocchiavo, cominciavo l’opera di visualizzare.

my generation
Che sembrava tutto, in quei giorni gelatinosi. la concentrazione mi impediva di uscire, mangiare, dormire. Vivevo e respiravo solo per questo: per vedere. le poche indispensabili interruzioni mi infastidivano.

***

Andavo a prendermi da mangiare. Il giornale ogni tanto. Al ritorno mi soffermavo a spiare la tv di un ristorante sotto casa, trasmetteva i primi discorsi di Ronnie. Ronnie era Ronald Reagan, il nuovo presidente degli Stati Uniti. Quanto tempo era passato dai tempi delle gote da criceto di Richard Nixon? Una vita. Altre televisioni, altri Igor.

Eravamo entrati nell’era del postmoderno. Tutto nuovo. E allora? Come mai da noi le Brigate Rosse assassinavano Roberto Peci, operaio, Giuseppe Taliercio, dirigente della Montedison, Raffaele Cinotti, secondino di rebibbia, rapivano Ciro Cirillo, democristiano, il generale Dozier, comandante della nato dell’Europa meridionale? Una scia di sangue e violenza senza fine. Macelleria ideologica, nient’altro.

Almeno, per equilibrare, in Bosnia-Erzegovina la madonna faceva la sua prima apparizione ai veggenti di Medjugorje. Preghiamo.

***

Fu prolifica la frequentazione con un gruppuscolo di amici e colleghi che volevano raccontare con i disegni. loro, come me, erano attraversati da un’ansia inarrestabile, un fuoco sacro che celebrava la ricerca. Il complotto artistico era all’ordine del giorno. Com’è che venne fuori l’idea di un gruppo di autori? non ricordo esattamente, ma so che a un certo punto sembrò la cosa più ovvia del mondo. Con Giorgio ci ero cresciuto, con Daniele il legame era divenuto profondo. Si parlava a ogni momento di un fare moderno, modernista, ultramoderno. lorenzo Mattotti portò con sé uno strampalato amico suo che si faceva chiamare Jerry Kramsky. Aveva uscite esilaranti, sembrava il figlio naturale di Michaux, se Michaux si fosse sposato con Groucho Marx. In breve quegli incontri diventarono qualcosa di più, la voglia di giocare insieme, di scambiarci idee e visioni. Valvoline nacque così. Un gruppo di fumettisti che pensano di aprire gli angusti confini della vignetta. E nel farlo scelgono un nome comune, parodia della marca di un noto olio per motori. Valvoline Motor oil. È così che avremmo pubblicato, con il nome altisonante di Valvoline Motorcomics.

VroooooM

Ridere. Cosa c’è di più sano? Ma si faceva sul serio.
Uno scambio semplice tra personalità diversissime. Marcello Jori frequentava l’arte seria, quella delle gallerie, che a noi interessava relativamente, ma era persona fine e colta. Con Daniele, rigoroso ma anche spigoloso, furono scintille. Diventerà un amicizia di ferro, la loro. Ma occorreranno anni.

Ero deciso a tentare il tutto per tutto, da quando mi ero licenziato dal ristorante le mie mani avevano smesso finalmente di tremare.
Ora dovevo osare. nei miei sonni agitati salto da un treno in corsa verso un altro treno in corsa.

(continua in libreria…)

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