Su ilLibraio.it un estratto da “Il re di tutti – Un ritratto di Stephen King”, il libro che Luca Briasco ha dedicato al “re dell’horror”. Nel brano si parla di un momento decisivo per la carriera del prolifico autore di romanzi cult come “Le notti di Salem”, “Carrie”, “Shining” e “IT”: “Nessuna profezia avrebbe potuto rivelarsi più esatta: Steve viene etichettato o, per citare il titolo di uno dei suoi saggi più belli sul mestiere di scrivere, diventa ‘un brand’. E le sue sorti si capovolgono…”

Stephen King, il “re dell’horror“, uno degli scrittori contemporanei più amati, autore di romanzi bestseller protagonisti anche sul grande schermo e in versione serie tv. Proprio a colui che ha firmato capolavori come Carrie, Shining e IT (solo per citarne tre) è dedicato Il re di tutti – Un ritratto di Stephen King (Salani) di Luca Briasco, che ha tradotto King in italiano e che è un esperto di crime fiction e di letteratura nordamericana.

Un passo indietro. Per molti Stephen King è il più grande scrittore degli ultimi decenni. Per altri, invece, le sue storie horror non s0no degne di essere considerate “letteratura di serie A”. Una volta, il diretto interessato si è autodefinito “l’equivalente letterario di un Big Mac con le patatine“, per rivendicare il suo legame con la cultura popolare.

Oggi, con più di settanta romanzi pubblicati, quattrocento milioni di copie vendute e una serie impressionante di adattamenti delle sue opere, King è celebrato in tutto il mondo come il “re del brivido“.

Attraverso i suoi profili social lancia stoccate contro i potenti del pianeta, da Donald Trump a Elon Musk, o consiglia film e libri a un fandom che lo osanna. La sua villa a Bangor nel Maine, con la famosa cancellata costellata di ragnatele e pipistrelli, è ormai una meta di pellegrinaggio. Ma per gran parte della sua vita, King si è rifugiato in un’esistenza normale, lontana dai riflettori. “Ha insistito nel suo sogno di diventare uno scrittore grazie alle due donne della sua vita; ha imparato a fare i conti con le sue paure e a trasfigurarle attraverso l’arte del racconto; ha scoperto le contraddizioni di un Paese attraversato dal terrore, dalla rabbia, dall’odio”.

Ne Il re di tutti Briasco, lettore famelico di King, conduce dentro l’arte di un genio indagando i temi ricorrenti di un corpus narrativo sconfinato eppure straordinariamente coerente. Il risultato è un’occasione per scoprire (o riscoprire) uno scrittore che da oltre quarant’anni alimenta i nostri incubi.

Come spiega l’autore stesso nell’introduzione, questo libro “non è un saggio critico, se non in parte; è una biografia di King, ma filtrata attraverso un nucleo ristretto di sue opere – quelle che più hanno segnato il mio percorso di lettore, in base a criteri ovviamente soggettivi -; è un’autobiografia, in parte; è un ragionamento sull’America degli ultimi cinquant’anni; è una riflessione sul lavoro del traduttore. Ed è varie altre cose, che hanno preso forma durante il processo di scrittura e che ho assecondato, sperando che, anziché allontanarmi da King, mi portassero dentro la sua arte”.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

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(…) Le notti di Salem non è l’unico manoscritto che Steve aveva sottoposto a Bill Thompson, l’editor di Doubleday cui va il merito di aver riconosciuto per primo il talento di King. Insieme alla sua versione moderna di Dracula, Steve aveva spedito al suo mentore anche Blaze, che, nella nota d’autore con cui si conclude Stagioni diverse (la sua prima raccolta di novellas), descrive come ‘un melodramma imperniato su un gigantesco criminale, quasi ritardato, che rapisce una bambina, progetta di chiederne il riscatto ai ricchi genitori… e poi finisce con l’innamorarsi della bambina stessa’. I due manoscritti, racchiusi in un unico, grosso pacco, erano in un certo senso altrettante imitazioni letterarie, rispettivamente di Dracula e di Uomini e topi, di John Steinbeck. Dopo averli letti entrambi, Thompson ammette la propria preferenza per la storia di vampiri, ma avverte King che pubblicare quello che diventerà Le notti di Salem comporta un rischio serio. «Se fai pubblicare un libro sui vampiri immediatamente dopo uno che parla di una ragazza capace di spostare gli oggetti col potere della mente, finirai etichettato come scrittore dell’orrore». Un concetto ribadito quando, qualche tempo dopo, Steve racconterà al suo editor la trama di Shining. «Prima la ragazzina telecinetica, poi i vampiri, ora l’hotel infestato di spettri e il bambino telepatico. Finirai etichettato!» insiste Thompson.

Nessuna profezia avrebbe potuto rivelarsi più esatta: Steve viene etichettato o, per citare il titolo di uno dei suoi saggi più belli sul mestiere di scrivere, diventa ‘un brand’. E le sue sorti si capovolgono: se per Bill Thompson inanellare una serie di storie horror era un rischio professionale, per il nuovo editor di King alla Viking, Alan Williams, il rischio da non correre sarà esattamente l’opposto, ossia abbandonare l’horror per storie mainstream.

Alla domanda di Steve: «Che cosa ne penseresti di un libro di quattro novelle? Tutte o quasi storie normali? Potremmo intitolarlo Stagioni diverse o qualcosa del genere, in modo che la gente capisca che non si tratta di vampiri o di hotel infestati di spettri o di altre cose simili», Williams ribatte: «Immagino che non potremmo infilarci anche un racconto dell’orrore, vero?»

Trasformatosi in un brand, Steve si troverà in una situazione paradossale, che condizionerà diversi passaggi della sua lunghissima carriera: la critica lo tratta come uno scrittore-spazzatura, prima di tutto per il genere che ha scelto di praticare, e una parte del suo immenso fandom tende a non perdonargli le incursioni nella letteratura mainstream, e neppure quelle in generi ‘complementari’ come il thriller, il fantasy, la fantascienza. Il punto fondamentale però, al netto dei distinguo e dei giudizi condizionati da una visione rigida e compartimentata della letteratura, è un altro: l’horror, per Steve, è lo
strumento perfetto per analizzare e trasporre in potenti architetture simboliche l’America nella quale è nato e cresciuto, e le strutture sulle quali si regge il suo Paese: la famiglia, la piccola comunità, lo spirito pionieristico, l’inquietudine e la rivolta adolescenziale. Le notti di Salem non fa eccezione, e basterebbe a chiarirlo il perfetto impasto che King opera tra la storia di vampiri à la Stoker e la rappresentazione in stile Peyton Place della Piccola Città, con i suoi segreti e i suoi rancori sepolti.

Ma riflettendo sul suo secondo romanzo, Steve aggiunge ulteriori elementi, che si spingono ancor più in profondità: «I freudiani sostengono che i nostri sogni sono simbolici. Può darsi che sia vero e può darsi di no, ma tante tra le paure e gli incubi che ritroviamo nei libri o nei film sono veramente simbolici. Magari si parla di un vampiro o di un lupo mannaro… ma quello che c’è sotto, o tra le righe, nella tensione dove si annida la paura, è tutt’altra cosa. So per esempio che nel mio romanzo Le notti di Salem a spaventarmi veramente non erano i vampiri, ma la cittadina in pieno giorno, la cittadina deserta, con la consapevolezza degli scheletri negli armadi, delle persone nascoste sotto i letti e sotto i pilastri di cemento armato delle roulotte. E mentre scrivevo, alla tv andavano in onda le udienze del Watergate, dove la gente diceva: ‘In quel preciso momento…’, e aggiungeva: ‘Non riesco a ricordare’. Saltavano fuori i soldi dentro le buste. Howard Baker (membro della commissione parlamentare d’inchiesta che indagava sullo scandalo, n.d.a.) continuava a chiedere: ‘Quello che voglio capire è: lei che cosa sapeva, e quando è venuto a saperlo?’. Quella domanda mi ossessiona, mi è rimasta impressa: è la classica domanda del ventesimo secolo: che cosa sapevamo, e quando siamo venuti a saperlo? Durante quel periodo pensavo ai segreti, alle cose che sono state tenute nascoste e che venivano trascinate alla luce del sole. Nel libro se ne trova traccia, anche se sono convinto che i libri dovrebbero essere scritti e letti per divertimento».

(continua in libreria…)

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