“La mia Ingeborg”, romanzo dello scrittore norvegese Tore Renberg, trascina in un racconto “teso come un thriller e commovente come una storia d’amore”, attraverso il ritratto di una famiglia che, capeggiata da un uomo distruttivo, va in pezzi – Su ilLibraio.it un estratto

Il vecchio Tollak, protagonista di La mia Ingeborg (Fazi, traduzione di Margherita Podestà Heir) dell’autore norvegese Tore Renberg, è un uomo pieno di contraddizioni: orgoglioso e furioso, giusto e tenero. Ormai vecchio e solo, non fa che imprecare contro il mondo che da tempo, per lui, ha smesso di avere senso. Solo una cosa lo teneva attaccato alla vita: sua moglie Ingeborg, amatissima, scomparsa diversi anni fa…

Il romanzo dell’autore classe ’72, premiato come miglior libro dell’anno dai librai norvegesi, trascina lettrici e lettori in un racconto “teso come un thriller e commovente come una storia d’amore“, attraverso il ritratto di una famiglia che, capeggiata da un uomo distruttivo, va in pezzi.

Dopo la scomparsa della moglie, i suoi due figli, ormai adulti, lo hanno abbandonato alla vita desolata della provincia remota da cui provengono, e passano a trovarlo di rado; soltanto Oddo è rimasto con lui: Oddo lo scemo, come lo chiamano i vicini, di cui Tollak si prende cura da quando, ancora bambino, è stato abbandonato dalla madre.

Tollak insiste affinché sua figlia e suo figlio tornino a casa ancora una volta: ha bisogno di parlare e condividere il suo segreto prima che sia troppo tardi. O meglio, i suoi segreti. Le verità che Tollak ha sempre tenuto per sé sono molteplici, e sono una più terribile dell’altra.

La mia Ingeborg di Tore Renberg

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

La mia Ingeborg.

Riesco a vedere il suo viso. Quei lineamenti così belli. Riesco a vedere il modo in cui camminava per la stanza, come l’ondeggiare dei suoi passi si diffondeva per tutta la gamba fino a raggiungere i fianchi. Riesco a vederne la schiena, la maniera in cui si chinava. Riesco a sentirne il suono della voce, dentro la quale si mescolavano profondità e leggerezza:

Non sei di molte parole, Tollak.

A volte lo diceva con amore. Ogni tanto in preda alla disperazione. Qualche volta con dolore. Spesso con irritazione. Aveva ragione. Non sono un tipo loquace.

Mentre sto qui davanti alla finestra, mi torna alla memoria una sera di molti anni fa. Era il periodo in cui Hillevi e Jan Vidar frequentavano le elementari. I bambini si erano addormentati e noi eravamo a letto, io e Ingeborg, due corpi, uno accanto all’altro. Dopo l’amplesso ci sentivamo sempre così caldi e sazi. Eravamo così, io e Ingeborg, ci aggrovigliavamo come due animali e non potevamo farci niente.

Ci penso di continuo.

Lei godeva di me e io godevo di lei.

Quella sera mi appare così nitida davanti agli occhi. Io mi ero nutrito di lei e lei si era dissetata di me. Sdraiato sul letto, ero stremato, eppure ero stato assalito di colpo dal desiderio di parlare.

Ingeborg, le avevo detto girando la testa verso di lei. Giaceva accanto a me con gli occhi chiusi, alcune ciocche di capelli le si erano appiccicate sulla pelle olivastra, ero rimasto a contemplarla perché per me era bellissima.

Lo facevo di continuo.

I vicini che abitavano come me nella valle avevano sicuramente notato quanto fossi orgoglioso di mia moglie.

Sììì?

Aveva strascicato il suono, pigramente.

Anche se non parlo molto, le avevo detto, non significa che mi manchino le parole.

Aveva aperto gli occhi e, girata la testa, mi aveva guardato. Lo so, aveva risposto.

Dentro di me, avevo continuato, sì, quella sera non avrei mai smesso di parlare, dentro di me ci sono tantissime parole.

Lo so, aveva risposto Ingeborg prendendomi la mano, ho sempre creduto di poter sentire le parole che sono dentro di te.

Non puoi, ricordo di aver pensato, ma ero rimasto in silenzio.

È perché ti conosco così bene, aveva detto Ingeborg, lo sai vero, Tollak?

Avevo annuito, perché era così bella mentre se ne stava lì sdraiata, ma dentro di me avevo pensato: No, adesso esageri, nessuno mi conosce davvero.

Mi sembra di ricordare che si fosse messa a ridere.

Mia moglie rideva facilmente. Era come se avesse la risata pronta che, quando aveva la possibilità di sgorgarle dal petto, non si faceva pregare.

Invece per me è difficile ridere. Mi sono chiesto come mai. Non ci riesco. Ho un blocco. Una contrazione all’altezza dei muscoli della bocca. Qualcosa mi dice che devo trattenerla per non rendermi ridicolo. Vale per tutto. Però quando si tratta di Ingeborg, mi sento in colpa.

Con lei mi sarebbe piaciuto aver riso di più.

Degli altri non mi interessa.

Sì, sì.

Il rimorso non serve a cambiare il passato.

Mi avvicino alla finestra e guardo fuori in cortile. La stalla è illuminata. Oddo. È là. Non lo vedo da stamattina. Ha trascorso una mattinata tranquilla. Non sa che stanno per arrivare.

(continua in libreria…)

Fotografia header: Tore Renberg, foto di Signe Christine Urdal

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