Il nuovo libro della scrittrice sarda Cristina Caboni, “La ragazza dei colori”, è una storia piena di speranza, in cui i colori invadono il mondo e ci insegnano a trovare noi stessi. E che riporta alla luce un episodio dimenticato della storia italiana durante il periodo fascista… – Su ilLibraio.it un estratto

Dopo Il profumo sa chi sei, Cristina Caboni, autrice di successi come Il sentiero dei profumi, La custode del miele e delle api, Il giardino dei fiori segretiLa rilegatrice di storie perduteLa stanza della tessitrice e La casa degli specchi, torna in libreria – sempre per Garzanti – con La ragazza dei colori.

Il nuovo romanzo della scrittrice sarda è una storia piena di speranza, in cui i colori invadono il mondo e ci insegnano a trovare noi stessi. E riporta alla luce un episodio dimenticato della storia italiana durante il periodo fascista.

Entriamo dunque nella trama: il blu del cielo regala allegria, il verde dei prati conforto. Stella ci credeva davvero. Credeva davvero che i colori avessero il potere di cambiare le emozioni e la vita delle persone. Ma per lei non è più così. E si sente perduta. Fino al giorno in cui, nella casa dell’anziana prozia Letizia, trova una valigia in cui sono custoditi dei disegni. I tratti sono semplici, infantili, ma l’impatto visivo è potente. Il giallo, il rosso e il celeste sono vivi, come scintille pronte a volar via dalla carta. Stella ha quasi paura a guardarli. Perché, per la prima volta dopo tanto tempo, i colori non sono più solo sfumature di tempera, ma sensazioni, racconti, parole. Stella deve scoprire chi li ha realizzati, solo allora tutto tornerà come prima. Ma Letizia, l’unica che può darle delle risposte, si chiude in un ostinato silenzio.

L’APPUNTAMENTO SU INSTAGRAM CON “LIBLIVE” – Il 13 ottobre, alle ore 18, Cristina Caboni dialoga con Livio Partiti, conduttore radio di Il posto delle parole, sulla pagina Facebook de ilLibraio.it

Continuandole sue ricerche, però, Stella scopre un episodio che affonda le sue radici nel periodo più difficile della storia nazionale, quando poveri innocenti rischiavano la vita solo a causa della loro origine. Quando la solidarietà di un intero paese riuscì ad avere la meglio sull’orrore, salvando la vita a centinaia di bambini ebrei. Quello che Stella non poteva immaginare è il senso di colpa che quei disegni hanno celato per decenni. Un senso di colpa che grava come un macigno sulle spalle di Letizia. Spetta a lei ricostruire cosa è successo davvero. Perché Stella ha imparato che il buio non dura per sempre e che il sole splende ogni giorno più forte che mai…

Copertina del romanzo La ragazza dei colori di Cristina Caboni

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

Blu. Colore primario, mistico, rappresenta l’infinito. È il colore dell’anima più profonda, e come tale induce alla calma e alla serenità. In oltre cento sfumature descrive il mare e il cielo, evocandone l’immensità.

Stella aveva sempre amato la villa.
Era stata progettata da Zeno Marcovaldi due secoli prima. Il suo antenato era stato un artista, un sognatore. La sua im­pronta era impressa nell’edificio in molti piccoli particolari che lo rendevano unico. Ogni ambiente aveva qualcosa di speciale, e la camera rosa non faceva eccezione. La chiama­vano così perché sul soffitto, tra gli altri decori, spiccava un roseto.
Era la sua preferita.
Forse perché dava sul terrazzo o forse perché nei giorni in cui l’aria era più limpida da lì si poteva vedere il lago.
O forse non esisteva una ragione precisa. La bellezza in fondo non necessitava di nessuna spiegazione.
Lasciò il trolley in un angolo e si sedette sul letto, gli occhi sulla finestra da cui si vedevano i tetti delle altre case.
La coperta era soffice sotto le sue dita, i pensieri correvano cullati dalla sensazione di pace che provava.
Si chiese perché suo padre non le avesse detto che Letizia stava tanto male. In realtà non avrebbe dovuto stupirsi. Lui era il centro del proprio mondo. Gli altri erano pensieri di cui si dimenticava subito, come un bambino distratto da ciò che lo circondava. Lo conosceva, sapeva com’era fatto. Avrebbe dovuto capire. Non sapeva se fosse più delusa da suo padre o da sé stessa che ci aveva messo così tanto a deci­dersi di andare a trovare la zia. Era logico che stentasse a ri­prendersi.
D’altronde lei e Orlando erano stati insieme per oltre set­tant’anni. Quasi il triplo della sua vita, pensò mentre si spo­gliava. Sbadigliò, la stanchezza le chiudeva gli occhi.
Ripose i vestiti nel cesto della biancheria sporca ed entrò in bagno. Si fece una lunga doccia calda e si cambiò d’abito. Poi lo vide. Era un pacco voluminoso, ricoperto da carta per dolci trasparente. Si avvicinò al comò e ne seguì il profilo con la punta delle dita. Il suo nome spiccava nitido. Riconobbe la grafia dello zio e, suo malgrado, sorrise. Era uno dei regali che le aveva lasciato. La zia l’aveva avvisata, pensò. Si soprese per non averlo notato subito. Lentamente tirò via la carta, piegandola con cura. Sorrise riconoscendo lo specchio.
Sorpresa, cercò con lo sguardo la parete da cui era stato staccato e lo rimise al suo posto mentre un ricordo affiorava nella sua mente.
Guarda sempre dentro di te, piccola Stella, è lì che troverai le ri­sposte alle tue domande.
Commossa, ebbe l’impressione di percepire la presenza di Orlando al suo fianco.
Quante volte le aveva ripetuto quella frase?
Glielo aveva anche mostrato, in quei terribili ultimi mesi. Anche allora, affaticato, tremante, lo zio si era trascinato lì davanti e le aveva detto che non doveva fermarsi alle appa­renze. Lei lo aveva assecondato, promettendolo.
Sfiorò il bellissimo oggetto con la punta delle dita.
Era molto antico, con screpolature argentate che restitui­vano un’immagine addolcita. Lo aveva sempre adorato. Si guardò a lungo. Al sole i suoi capelli erano un intreccio di riccioli più rossi che castani. Le lentiggini e gli occhi verdi, la pelle olivastra e il profilo deciso si mescolavano in lei tra­dendo le origini nordiche dei Marcovaldi e quelle mediter­ranee degli Usai.
La famiglia di sua madre non aveva mai visto di buon oc­chio suo padre e, dopo la separazione, non aveva nascosto la propria soddisfazione.
Quanto a lei, le poche volte che si erano incontrati per qualche ricorrenza, aveva avuto l’impressione di essere co­stantemente sotto esame.

«È un vero peccato che la bambina abbia ereditato i colori di quel buono a nulla di Alberto
Il ricordo emerse all’improvviso.
Sua madre le stava spazzolando i capelli, lo faceva ogni se­ra prima di metterla a letto. Era un momento tutto loro, quello. Nel silenzio dolce della notte, scandito dal fruscio della spazzola, Stella sentiva tutto l’amore di Roberta. L’in­tromissione della nonna l’aveva disturbata.
Assunta era immobile sulla porta, l’espressione indecifra­bile. Ma d’altronde Stella non l’aveva mai davvero capita, quella donna sempre vestita di nero.
«Nella nostra famiglia i colori sono normali. Nero, nel peggiore dei casi castano. Ma dignitosi. Nessuno degli Usai si è mai sognato di avere capelli biondi, figurarsi rossi.»
«Per me lei è perfetta!» aveva commentato seccamente sua madre.
La nonna le aveva lanciato un’ultima occhiata penetrante, poi le aveva lasciate sole.
Stella si era guardata allo specchio e si era sentita sbagliata. Aveva letto la disapprovazione nelle labbra tirate di sua non­na, aveva riconosciuto il disprezzo.
Il bacio della buonanotte e la raccomandazione di non fa­re caso alle sue parole non avevano smorzato il dispiacere.
Sua madre le aveva detto che gli adulti spesso sbagliano.
Stella però sapeva che la nonna aveva ragione.
Perché lei era esattamente come suo padre.
E non poteva farci niente.

(continua in libreria…)

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