“Le ragazze Monroe” è la nuova opera della complessa architettura post-esotica di Antoine Volodine. Un noir allucinato, ambientato in un mondo dove la Fine è già arrivata e uomini e donne si muovono oltre il confine tra la vita e la morte, persi nel buio di una catastrofe continua e fedeli solo alla memoria della loro passione politica e individuale

Il mondo è già finito, trasformato in una distesa fatiscente di padiglioni di ospedali e quartieri abbandonati. Piove ininterrottamente, una pioggia scura e cupa che si mescola a innumerevoli odori, tutte segni di vita ormai irrimediabilmente perduta.

I morti e i vivi si mescolano all’umanità residua. Sono tutti abitanti del disastro, funzionari, militanti e membri dissidenti di un Partito che un tempo lontanissimo rappresentava il sogno di un domani migliore e che oggi sopravvive in una forma scheletrica e delirante. O forse non sopravvive affatto.

Le ragazze Monroe antoine volodine

Le ragazze Monroe di Antoine Volodine, edito da 66thand2nd e tradotto da Anna d’Elia, è il 45esimo romanzo post-esotico, la peculiare corrente letteraria fondata dal suo autore, che concluderà la sua opera con il libro numero quarantanove.

Il post-esotismo si avvia dunque alla sua conclusione. La geniale costruzione di Volodine è un universo parallelo che rappresenta l’apocalisse non come qualcosa da attendere ma come un evento già accaduto, al quale sopravvivono alcune figure in una dimensione di frontiera tra morte e vita, spettri di una storia passata dove si respira l’eco della nostra recente. Degli orrori, delle delusioni e dei massacri che hanno caratterizzato l’ultimo secolo, carico di una speranza rivoluzionaria andata incontro a una drammatica sconfitta.

I protagonisti del romanzo si muovono in un ambiente devastato e privo di vita, fatto di strutture concentrazionarie al di là delle quali la realtà sembra essere scomparsa. Hanno in mano solo rimasugli di speranze precedenti, frasi o terminologie politiche un tempo vivide, ricordi di amori passati che cercano di sfuggire all’oblio.

Volodine sfalda consapevolmente la trama, la lascia affondare in uno spazio onirico e buio come quello nel quale brancolano i suoi antieroi, stanchi e sconfitti anche se, in qualche modo, ancora permane in loro un’eco della vita precedente, della fiamma che è stata.

Monroe è una figura misteriosa, che dal mondo dei morti organizza un commando di ragazze guerriere che devono tornare in vita per combattere la deriva del Partito. Breton un internato dotato della strana capacità di entrare in contatto con queste ragazze, e in particolare con Rebecca Rausch, che trent’anni prima ha amato alla follia. Kaytel un agente della polizia di partito che ha il compito di sgominare i piani di Monroe, Dama Patos una sua vecchia fiamma, adesso importante membro del comitato centrale. Il romanzo potrebbe essere una sorta di noir, ma i personaggi girano a vuoto, sono smarriti, muoiono eppure continuano a muoversi e parlare, sembrano credere a un inizio nonostante siano consapevoli di avere già oltrepassato la Fine.

Le atmosfere sono quelle di un sogno cupo, un pianeta in disgrazia attraversato da figure disperate che si muovono tra carneficine e solitudine. “Desolante era poi il fatto di aver ereditato i sacri valori della rivoluzione mondiale proprio quando il mondo esistente si era rimpicciolito riducendosi a nient’altro che a una gabbia di matti, a una minuscola insenatura sulla carta del globo. Desolante l’evidenza della fine collettiva (…) Desolante e idiota l’idea che nulla fosse andato definitivamente perso, che nulla fosse spacciato.”

Il mondo del post-esotismo è sì devastato ma percorso da una memoria insopprimibile, per quanto dolorosa, e da un altrettanto stralunato umorismo, quello che Volodine stesso ha definito umorismo del disastro. E che regala momenti da teatro dell’assurdo mentre le cose crollano e mostrano la desolazione, per esempio quando apprendiamo che una peculiarità dei morti è il loro linguaggio volgare. Una comicità vera, e divertente, dietro la quale si legge la sofferenza per il corso della storia, come nella sua apoteosi, l’appendice del libro che elenca le incredibili 343 frazioni del Partito ai suoi tempi gloriosi e rivela l’esistenza dei marxisti della gran compassione, dei comunardi del supremo risveglio ma anche dei cani di nevoso, dei massimalisti dell’abbaglio o della Frazione «Finiamola qui.». 

È difficile dire che cosa resti, quando i morti cercano di tornare per deviare il corso della storia, e anche i vivi sembrano spettri di loro stessi, tracce di qualcosa che hanno smarrito.

Oggetti, vestiti, parole e corpi perdono consistenza, non hanno più senso. Nelle strade ci sono binari di tram senza tram, amuleti sciamanici di cui non si conosce la funzione, padiglioni di ospedali grandi come intere città, una polizia e un partito che non hanno più fisicamente degli esseri umani di riferimento. Eppure i protagonisti del romanzo non perdono una forma residuale di amore e persino di erotismo, per quanto sgraziato e a volte farsesco, e nel loro limbo di rassegnazione affiorano, a volte, gli echi degli antichi ideali. È forse questo un altro grande, affascinante mistero del post-esotismo. Volodine è uno scrittore che non crede più alla missione sociale degli autori, e teme che il mondo attuale abbia ormai tolto alla letteratura ogni possibilità di essere forma di protesta o rivolta. Ma il mondo post-esotico e il suo amore dolente è qualcosa di più di un rifugio. Rimugina sugli orrori irredimibili ma è anche una voce che persino dopo la fine, ogni fine, non rinuncia a volere scrivere, e parlare.

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