Scritto nel 1921 e pubblicato l’anno seguente, “Presenza della morte” di Charles-Ferdinand Ramuz racconta il collasso della civiltà e la fine di ogni forma di vita. Una distopia novecentesca che si sta trasformando in una tragica profezia, un romanzo potente (per la prima volta pubblicato in Italia), che nasconde l’amore per l’esistenza…

Oltre cento anni separano lettori e lettrici di oggi dall’anno di pubblicazione, in lingua originale, del romanzo di Charles-Ferdinand Ramuz, Presenza della morte (rimasto inedito fino all’attuale pubblicazione italiana da parte di Feltrinelli, a cura di Maria Nadotti).

Cento anni durante i quali molto è cambiato, eppure alcuni elementi descritti dallo scrittore svizzero (di lingua francese) appaiono normali, o quantomeno familiari, a chi legge oggi.

Romanzo di "Presenza della morte" di C F Ramuz

Nonostante il poco successo nelle vendite, durante gli anni passati a Parigi, Ramuz riscontrò diversi pareri positivi da altri scrittori come André Gide

Nel 1921 (anno precedente alla pubblicazione), l’Europa e, in particolare, la Svizzera vissero un’estate estremamente calda che ispirò la stesura del suddetto libro: un testo apocalittico per sua stessa natura, profetico – purtroppo – pensando alla crisi climatica, e ascrivibile al moderno genere della Climate fiction.

Charles-Ferdinand Ramuz (1878 – 1947), unendo religione e scienza, inizia il suo romanzo con la fine del mondo: “A causa di un incidente verificatosi nel sistema gravitazionale, la terra precipita rapidamente verso il sole e tende verso di esso per fondervisi”, questo il messaggio che apre l’opera e che lascia scioccati gli abitanti della Terra. Un messaggio biblico per tono ed epicità, e che sa di spiegazione (in parte) scientifica, quasi come se l’autore sentisse di dover motivare una fine tanto imprevedibile.

Le pagine successive allora sono la descrizione di quello che accade nei paesi che si affacciano sul lago di Ginevra (ambientazione ben conosciuta dall’autore). Una sorta di microcosmo rurale si apre ai lettori e alle lettrici: piccoli dettagli e indizi, e poi immagini, miniature di persone semplici che vivono la tragedia in diretta, testimonianze di come si possa reagire (o non-reagire) all’Apocalisse. E se, per forza di cose, Ramuz deve inventarsi quello che accade nella (e alla) società, è altresì vero che tutte queste descrizioni sono estremamente realistiche e comprensibili.

Lo scrittore nato a Losanna non ha nessun interesse per le cause di quello che sta accadendo, si concentra unicamente sulle conseguenze, alternando capitoli che ricordano le distopie più famose ad altri che, implicitamente, sottolineano le differenze.

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Ramuz non conosce il riscaldamento globale e il negazionismo, e neppure il crollo della società postindustriale, nondimeno capitolo dopo capitolo si assiste al collasso della civiltà – così familiare agli occhi degli abitanti del terzo millennio. Un esempio: “E se il lattaio non viene? Dovremo fare come gli altri, dovremo prendere il fucile”. Uno scambio semplice e brutale tra moglie e marito, che evidenzia la trasformazione in atto.

Il caldo aumenta, la siccità dilaga, i ghiacciai si sciolgono alimentando (troppo) laghi e fiumi. La Terra si avvicina sempre più alla sua stella, fatalmente e inevitabilmente. Dapprima lavorare e uscire al sole sembra un’impresa ardua, poi vietata dal buon senso e infine mortale… Ramuz costruisce un climax che è prevedibile ma nonostante ciò colpisce. Come una ventata d’aria calda.

E colpisce anche attraverso le parole. C. F. Ramuz ha una scrittura ruvida e pulita, che sembra essere alla ricerca della parola più corretta… Nello stesso modo, gli abitanti sono alla ricerca di un senso e di una salvezza. Una narrazione drammatica e (forse per questo) poetica, che riesce nel difficile compito di mostrare la quintessenza dell’umanità e il suo opposto, la sua degradazione. Il vivere per sé stessi e il sopravvivere a discapito di altri.

Non servono molti giorni (e molte pagine) per cogliere la velocità della fine: “Gira voce che stiano scoppiando epidemie. Tutti gli ospedali sono pieni. I passanti cadono stecchiti per strada”. Ogni capitolo è l’occasione per chi legge di seguire un personaggio, un io, e la sua fine. Diversi per età, classe sociale, ricchezza ma uguali di fronte alla caduta di ogni codice morale.

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Leggendo questo romanzo si ha l’impressione che questa fine possa accadere. Ma ci si rende anche conto della profondità di certi autori mentre trattano uno dei temi più quotidiani ed evitati: la morte.

Dissipatio H.G. di Guido Morselli

Come Ramuz, anche Guido Morselli ha scritto un’apocalisse ricca di spunti e di filosofia; i protagonisti dello scrittore francese cercano un senso alla vita, si chiedono se hanno vissuto bene, l’alter ego dello scrittore italiano in Dissipatio H.G. (Adelphi, 1977) fa lo stesso ma, per uno strano gioco del destino, è l’unico sopravvissuto all’evaporazione del genere umano a cui si riferisce il titolo. Due storie complementari capaci di entrare sottopelle a chi legge.

E accostare questi due romanzi, distanti quasi cinquant’anni, offre a sua volta nuove considerazioni e pensieri. Su tutti, che la morte è presente.

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