Si può credere che una cosa sia ingiusta e comportarsi in modo da preservarla e in molti casi alimentarla? Prendiamo il caso della disuguaglianza: può una persona ricca credere davvero che sia ingiusta? O sta bluffando? Le risposte di alcuni saggi e romanzi di ieri e di oggi (del resto, alla crisi del capitalismo e al tema della disuguaglianza continuano a essere dedicati numerosi testi…)

Chiamiamolo il test dell’ipocrisia: si può credere che una cosa sia ingiusta e comportarsi in modo da preservarla e in molti casi alimentarla? Prendiamo il caso della disuguaglianza: può una persona ricca credere davvero che sia ingiusta? O sta bluffando?

Operazione austerità, di Clara E. Mattei

Nel mare di libri che negli ultimi anni sono stati dedicati ai temi della disuguaglianza e della crisi del capitalismo – ne cito due usciti da poco, originali e importanti: Operazione austerità – Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo di Clara E. Mattei (Einaudi) e Il codice del capitale – Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza di Katharina Pistor (Luiss University Press) – c’è una domanda che non è mai stata seriamente sollevata: se credi nell’uguaglianza, come mai sei così ricco?

È facile in prima battuta squalificarla. Sembrerebbe innescata da quella rete di sentimenti prepolitici (invidia, risentimento eccetera) che non possono trovare accoglienza nello spazio delle ragioni e della discussione pubblica.

In realtà la questione è forse un po’ più complessa, almeno così ha pensato un intellettuale di origini canadesi, Gerry A. Cohen, che più di vent’anni fa ci ha scritto un libro: If You’re an Egalitarian, How come You’re So Rich? Se credi nell’uguaglianza, come mai sei così ricco?

L’autore non è un pericoloso bolscevico, e nemmeno un peso piuma. Ha insegnato per anni a Oxford, tenendo la cattedra che prima di lui era occupata da uno dei grandi maestri del pensiero liberale, sir Isaiah Berlin. Padre del marxismo analitico, nel libro Cohen si rivolge a quel dieci per cento di privilegiati (prestigiosi docenti universitari e professionisti, intellettuali di sinistra ma anche avvocati, architetti, imprenditori eccetera, borghesia colta cittadina) che credono nel valore dell’uguaglianza, o dicono di crederci. Ed è una sorta di operazione di autocoscienza; lo stesso autore, infatti, fa parte del club.

If You’re an Egalitarian How come You’re So Rich

Molti avvertono fastidio ascoltando un benestante che discetta di uguaglianza. Appare ridicolo – scrive Cohen – quel benestante che s’indigna contro i governi Thatcher o Major mentre sorseggia ottimo vino in compagnia di amici nella sua bella casa in campagna. Come possono i ricchi parlare seriamente di uguaglianza? È sostenibile la posizione del ricco che crede nell’uguaglianza?

Nell’assemblare le teorie, i filosofi della politica – scrive Cohen – cominciano solitamente da una domanda: come dovrebbe comportarsi una persona in una società giusta? Ma ne trascurano un’altra, non meno importante: come dovrebbe comportarsi una persona in una società ingiusta?

Socrate sosteneva che è impossibile fare il male intenzionalmente. Dunque, se credo davvero che una cosa sia ingiusta, non la faccio. Seguendo la convinzione socratica, se il ricco benestante credesse davvero nell’uguaglianza, non potrebbe essere così ricco.

Proviamo a entrare nella testa del ricco egualitarista. Il suo ragionamento funziona così, scrive Cohen:

1 – A crede che X (A crede nell’uguaglianza);

2 – A non intende fare X (A è ricco, cioè tiene per sé gran parte dei soldi che guadagna – o che ha ereditato);

3 – A ritiene che il suo comportamento non sia in contraddizione con i suoi principi, con le sue credenze;

Ciò che interessa il filosofo non è mettere in discussione la premessa (1), il fatto che il ricco benestante creda davvero nell’uguaglianza. Non è un test sulla sincerità o meno di una credenza. La domanda è come il ricco benestante possa sostenere insieme 1 e 3, affermando cioè di credere nell’uguaglianza e di essere una persona la cui vita è improntata ai principi in cui crede. Da qui in poi, nel libro sono esposte le possibili autodifese del ricco benestante di sinistra.

Primo round. Il benestante può replicare di non essere un santo, di essersi arricchito grazie al suo duro lavoro, certamente anche beneficiando di circostanze e condizioni di partenza che gli sono state favorevoli (tipo essere nato nella parte ricca del mondo), ma senza sottrarre nulla ad altri. La sua ricchezza è legittima. E nella vita è sempre stato piuttosto generoso nei confronti dei meno avvantaggiati. Una risposta sincera, che però non funziona. Cioè – tornando nella sua testa – (3) rimane incompatibile con (1). Il suo comportamento resta in contraddizione con ciò in cui crede. Continua a detenere e accumulare ricchezza, cioè ad alimentare ciò che crede ingiusto, la disuguaglianza.

Secondo round. Il ricco egualitarista sostiene che la disuguaglianza non si risolve con azioni del singolo ma attraverso l’intervento dello Stato e una seria e efficace politica redistributiva, che lui è pronto a appoggiare e difendere. Resta tuttavia sempre la domanda: perché con la ricchezza che possiede non aiuta chi sta sotto la soglia di povertà a salire un po’ più su? Il ricco replica che sarebbe una goccia nell’oceano, non farebbe troppa differenza. Ma con le risorse che ha potrebbe fare molto per un gran numero di persone.

Andiamo avanti. Prendiamo l’articolo 3 della Costituzione italiana: “…compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che… impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. È un principio di giustizia. Se lo Stato non ci riesce, nulla ricade sul cittadino, in particolare sui più avvantaggiati? Contrattacca il ricco egualitarista: l’unico suo dovere come cittadino sarebbe quello di contribuire a una politica più giusta. Perché allora non usa le sue risorse per sostenere partiti o movimenti attenti al valore dell’uguaglianza, oppure finanzia una grande campagna a favore di una seria imposta patrimoniale, o per una seria riforma dell’imposta di successione?

Terzo round. Il ricco egualitarista sostiene di non avere nessun obbligo nei confronti di chi ha meno. Quello che possiede se lo è meritato. Se lo Stato non riesce a garantire l’uguaglianza, il ricco di sinistra potrebbe rinunciare volontariamente a ciò che possiede solo a patto che tutti quelli come lui facciano lo stesso. Immaginiamo il caso di una società in cui tutti vivano secondo le norme dell’uguaglianza tranne due persone. Le due persone sono un ricco egualitarista, che rinuncerebbe volontariamente alle sue ricchezze solo a condizione che anche gli altri lo facciano, e un altro benestante che però non crede nell’uguaglianza. Secondo il principio espresso sopra, il ricco egualitarista potrebbe non sentirsi obbligato visto che comunque non tutti trasferirebbero la propria ricchezza. Se anche uno solo degli altri non rinuncia alla sua posizione di ricco benestante, il ricco egualitarista si sentirebbe danneggiato nell’interesse suo e ancor più in quello della sua famiglia, figli, eredi.

Se ciò che conta davvero non è l’uguaglianza in sé ma il fatto che tutti abbiano accesso a risorse sufficienti per una vita degna e significativa, il ricco potrebbe ritenere che lui e la sua famiglia verrebbero danneggiati ben più del povero cristo visto che le abitudini che ha (e che hanno i suoi familiari) sono di un certo tipo e sottrarle ad esempio ai propri figli metterebbe questi ultimi in condizioni di maggiore disagio rispetto a chi già può permettersi poco o nulla. I soldi garantiscono scuole eccellenti, ambienti sempre gradevoli, case al mare e in montagna, viaggi in località interessanti, possibilità di andare a visitare i familiari, ferie e pause dal lavoro, eventi di musica, mostre, bei vestiti, ottimo cibo e vino, alimentazione sana, cure mediche di prima qualità, attività sportive e molto altro che contribuisce alla crescita personale e a una vita significativa. Per un ricco benestante è certo più complicato farne a meno, meglio allora lasciare le cose come stanno.

Small World (Il professore va al congresso) di David Lodge

Morris Zapp è il protagonista del romanzo Small World (Il professore va al congresso) di David Lodge (Bompiani). Professore americano di origine ebraica, Zapp incontra in aereo una ricca milionaria di sinistra, Fulvia Morgana, intenta a leggere un libro del filosofo marxista francese Louis Althusser. Zapp resta un po’ sorpreso e la interrompe: “Non riesco proprio a non chiederglielo: come concilia la sua vita da milionaria con il suo essere marxista?”. La replica della ricca ereditiera: “Ecco una domanda tipicamente americana… io riconosco le contraddizioni del mio modo di vivere, sono le contraddizioni che caratterizzano l’ultima fase del capitalismo borghese, che è al collasso. Rinunciando a un poco del mio benessere non accelero nemmeno di un minuto questo processo, che ha un suo ritmo inesorabile e si realizzerà in un momento storico che prescinde dall’azione di un singolo individuo”. La filosofia della storia di Marx offre la replica forse più solida al ragionamento del ricco che crede nell’uguaglianza.

Chiamiamolo il test dell’ipocrisia: può un ricco di sinistra essere davvero contro la disuguaglianza? Se crede nell’uguaglianza, come mai è così ricco? Per uscire dall’angolo gli basta una mossa, professarsi marxista duro e puro: è il capitalismo, bellezza. Un sistema destinato all’autodistruzione. Ma ci sarebbe un’altra mossa, ancora più astuta, una scappatoia ideologicamente meno impegnativa. Continuare la recita. In fondo, diceva Eduardo a proposito dell’attore, “l’uomo che finge non è mai così tanto sé stesso come quando recita”.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati