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Le frasi romantiche più belle della letteratura

Un ragazzo sdraiato su un tappeto di foglie bacia la ragazza accanto a sé mentre entrambi tengono in mano un libro

Nelle giornate spente, in cui niente sembra avere un senso e la vita appare come un susseguirsi di attimi slegati fra loro, se c’è una cosa che può ridare valore al nostro stare al mondo è pensare all’amore di chi ci circonda.

Niente come la sensazione di amare e di essere amati, infatti, sa restituire un certo spessore alla nostra quotidianità, conferendo un significato più ampio e profondo a ciò che facciamo, e permettendoci di ritrovare una scintilla di luce perfino nei momenti più bui.

Da Wisława Szymborska a Italo Calvino, passando per Emily Brontë e per Jacques Prévert, ecco quindi una selezione di frasi romantiche tratte dalla letteratura di tutti i tempi, per riflettere sui tanti modi possibili di concepire l’amore e sull’impatto che quest’ultimo può avere nella nostra esistenza…

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Cominciamo con una citazione tratta dalla tragedia a lieto fine Alcesti (Signorelli, a cura di Silvia Barbantani) del drammaturgo greco Euripide (485-406 a.C.), risalente al 438 a.C. circa. Qui, ai versi 278-280, la protagonista evidenzia l’importanza dell’amore come vera e propria ragione di vita, che ci unisce ai nostri cari in maniera indissolubile e di cui non potremmo più fare a meno:

Infatti, se tu morissi, io non esisterei più;
dipende da te che io viva o meno;
il legame con te mi è sacro.

Una frase romantica, questa, che ricorda da vicino una dichiarazione d’amore più recente, tratta stavolta dalla letteratura inglese dell’Ottocento. Ci riferiamo a un celebre passo del IX capitolo di Cime tempestose (Garzanti, traduzione di Rosina Binetti) di Emily Brontë (1818-1848), in cui Catherine definisce il suo amore per Heathcliff come un sentimento altrettanto totalizzante:

Le mie grandi pene in questo mondo sono state le pene di Heathcliff, e io le ho conosciute e le ho sentite tutte una a una dal principio; la sola ragione di vivere per me è lui. Se tutto il resto perisse, e lui rimanesse, io continuerei a esistere; e, se tutto il resto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo si cambierebbe per me in un’immensa cosa estranea.

Al di là dell’eterno rapporto fra èros e thànatos, l’amore in letteratura è stato spesso rappresentato anche come la capacità di abbandonarsi all’altro, percependo una comunione di corpo e di spirito che va oltre le nostre capacità razionali. Ne scrive la poetessa Premio Nobel Wisława Szymborska (1923-2012) nel seguente componimento, tratto da La gioia di scrivere (Adelphi, traduzione di L. Rescio):

Cademmo nell’abbraccio,
ci separammo dal mondo,
non sapevamo se eravamo due corpi
o due anime
o un corpo e un’anima […].

Non dimentichiamo, però, che aprirsi all’amore vuol dire soprattutto entrare in contatto con sé stessi, con la propria interiorità, con le proprie pulsioni. E a dimostrarlo è una frase teneramente romantica tratta da Il barone rampante (Mondadori) di Italo Calvino (1923-1985), in cui l’amore si trasforma in un mezzo privilegiato per ampliare la conoscenza di noi stessi mentre viviamo nuove esperienze:

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre mai s’era potuta riconoscere così.

In ultimo, ma non per importanza, l’amore resta naturalmente anche conoscenza dell’altro. Un desiderio di condivisione e di vicinanza che passa da tutti e cinque i sensi, come anche dalla presenza fisica ed emotiva dell’oggetto del nostro desiderio. A suggerircelo è l’autore francese Jacques Prévert (1900-1977) nella lirica Tre fiammiferi, contenuta in Poesie d’amore e libertà (Guanda, traduzione di Francesco Bruno, Rino Cortiana e Maurizio Cucchi):

Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia

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