“Ricordo ancora il senso di vuoto alla fine di quella prima lettura. Sapevo che forse sarebbe stato impossibile trovare un romanzo altrettanto coinvolgente. Così, negli anni, sono tornata spesso ai ‘Beati Paoli’, divertendomi e appassionandomi anche più di quella prima volta…”. Stefania Auci, insegnante di sostegno e scrittrice bestseller, racconta il libro del siciliano Luigi Natoli (l’intevento è tratto da “Leggere il mondo”, la prima guida del progetto “Il Libraio Scuola”, dedicato alla promozione della lettura tra gli adolescenti)

Stefania Auci racconta I Beati Paoli di Luigi Natoli, 1909

(da Leggere il mondo, la prima guida del progetto Il Libraio Scuola*)

Ci sono libri che segnano e libri che insegnano. E poi ci sono libri – pochi – che fanno tutt’e due le cose, magari imponendo una svolta alla propria «carriera» di lettore (nel mio caso, anche di scrittrice). Li tengo in uno scaffale a parte, una sorta di “Olimpo privato”. E forse il mio Zeus è I Beati Paoli, il romanzo che il sicilianissimo Luigi Natoli pubblicò a puntate, con lo pseudonimo di William Galt, sul Giornale di Sicilia tra il 1909 e il 1910 e che ebbe subito un successo clamoroso, al di là di qualsiasi differenza sociale: ancora oggi, in Sicilia, è uno dei pochissimi libri che pure le persone più semplici hanno letto.

Un’idea della sua popolarità ce la dà Rosario Lo Duca nella prefazione dell’edizione uscita per Flaccovio: «Per gli abitanti del quartiere del Capo, che per tradizione si ritenevano i legittimi discendenti della setta, il romanzo divenne, al contempo, sillabario e testo sacro, tenuto al capezzale del pater familias che, nelle lunghe sere di inverno, ne leggeva, con voce velata di commozione, i diversi capitoli ai parenti e vicini che lo attorniavano ascoltandolo nel più religioso silenzio.»

È un po’ ridicolo temere di fare spoiler per un romanzo degli inizi del Novecento, eppure non vorrei per nulla al mondo rovinarvi il piacere di scoprire gli incroci, le trame primarie e le sottotrame, gli amori e i tradimenti, gli scarti e i colpi di scena del romanzo né svelare troppo degli abilissimi meccanismi narrativi con cui Natoli costruisce la sua storia.

Dirò semplicemente che il romanzo si apre nel 1698 con la morte in battaglia di Emanuele Albamonte, duca della Motta, in seguito alla quale il fratello Raimondo cerca di uccidere il neonato figlio di Emanuele per entrare così in possesso del titolo e del patrimonio di famiglia, ma senza riuscirci. Quindici anni dopo (un vertiginoso, bellissimo fast forward), arriva a Palermo il giovane Blasco di Castiglione: bello, abile con la spada ma poverissimo, si ritrova al servizio di Raimondo, anche se entrambi ignorano che il padre (naturale) di Blasco altri non è che il duca Emanuele. Ovviamente, intorno a Blasco, ruotano anche due donne: la moglie di Raimondo, donna Gabriella, dalla sensualità prepotente, e sua figlia Violante, dolce e ingenua. E i Beati Paoli? Com’è giusto che sia, tramano nell’ombra, vestiti di un saio che li lega al culto di San Francesco di Paola, e mandano lettere minacciose Raimondo, facendogli capire che loro sanno che il figlio di Emanuele è ancora vivo e che quindi, col loro aiuto, avrà di nuovo il titolo che gli spetta di diritto.

Me lo sono ritrovato tra le mani un’estate di molti anni fa. Mi «guardava» dalla biblioteca di mio padre: un volume rilegato in cuoio e con le pagine ingiallite. Erano anni in cui potevo permettermi di abbandonarmi al piacere della lettura, distesa sul fresco pavimento di scaglietta della mia casa di Trapani, magari dopo una mattina trascorsa al mare. Ricordo che avevo un gran bisogno di distrazioni, di qualcosa che mi permettesse di dimenticare almeno per qualche ora i miei studi giuridici, amatissimi, ma non certo avvincenti.

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Era stato amore a prima vista. Avevo trascorso parecchie notti insonni su quel libro e siccome a un certo punto finivo per addormentarmi, spesso, la mattina dopo, rileggevo un po’ di pagine, per rivivere le emozioni che il sonno aveva attenuato. Insomma era ben più di una lettura; mi sembrava di vivere davvero tutte quelle vicende: trattenevo il fiato con Blasco e con la storia della sua famiglia perduta per poi odiarlo per il modo in cui trattava Gabriella e Violante, mi immergevo nel mistero di quella setta, dei Beati Paoli, un mistero che – di nuovo – è ancora vivo (anche se qualcuno lo mette in relazione con le origini della mafia, mentre in realtà, se proprio vogliamo trovare un paragone, i Beati Paoli sono più vicini a Robin Hood). E infine – lo confesso – c’era lui, Coriolano della Floresta, il capo della setta, un personaggio straordinario, forse uno dei più belli della letteratura italiana: dotato di un’intelligenza e di un coraggio fuori del comune, sulle prime richiama il tormentato Athos di Alexandre Dumas, ma poi se ne discosta, perché si rivela assai più cupo e ambiguo. Tanti scrittori hanno la mia mente, ma Coriolano, da allora, ha il mio cuore.

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Ricordo ancora il senso di vuoto alla fine di quella prima lettura. Sapevo che forse sarebbe stato impossibile trovare un romanzo altrettanto coinvolgente. Così, negli anni, sono tornata spesso ai Beati Paoli, divertendomi e appassionandomi anche più di quella prima volta. Talvolta, da scrittrice, mi sono fatta domande «esistenziali» (in parole povere: «Mannaggia, ma perché non l’ho scritta io questa storia?») ma più spesso, essendo io anche un’insegnante, mi sono chiesta: «Ma com’è possibile che questo romanzo non abbia un posto nelle antologie scolastiche?» La risposta è che si tratta di un romanzo che non è mai stato avvolto da quell’aura di sacralità dei classici «riconosciuti»: è un romanzo orgogliosamente popolare, che vuole avvincere, stupire e trascinare a sé il lettore. Qualcuno direbbe che ha la stessa forza immaginativa di una serie TV. Sicuramente bisogna tener conto che la prosa è «d’epoca», e la cosa può intimorire o disorientare un poco; in brevissimo tempo, però, diventa la molla per apprezzare ancor meglio i mille avvenimenti raccontati. Senza contare, poi, che Natoli è maestro anche nel gestire il mondo che crea: nei dettagli della storia – dalla conoscenza pietra su pietra di Palermo alla ricostruzione puntuale di vicende importanti e no, alle descrizioni di usi e costumi – c’è tutto il rigore di uno storico che sa quanto sia importante far immergere il lettore in un’atmosfera vivida, concreta. Chi l’ha letto (e diversi miei alunni sono tra questi) mi ha sempre chiesto – con aria un po’ da cospiratore – che lo accompagnassi a vedere il misterioso passaggio segreto nella chiesa di San Matteo che – si tramanda – veniva usato proprio dai Beati Paoli…

Se i classici sono tali perché a ogni rilettura ci raccontano qualcosa di nuovo e ci permettono di emozionarci ancora e ancora, allora I Beati Paoli è senza dubbio un classico. Senza polvere, senza noia, senza lunghe note al piede. Con tanto divertimento, con tanta fantasia, con grandi emozioni. Perché la lettura deve essere, prima di tutto, esattamente questo: passione.

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L’AUTRICE – Stefania Auci è nata a Trapani, ma vive da tempo a Palermo, dove lavora come insegnante di sostegno. Con I Leoni di Sicilia, che ha avuto uno straordinario successo, ha narrato le vicende dei Florio fino alla metà dell’Ottocento, conquistando i lettori per la passione con cui ha saputo rivelare la contraddittoria, trascinante vitalità di questa famiglia. Una passione che attraversa anche L’inverno dei Leoni, seconda e conclusiva parte della saga (edita da Nord), e che ci spalanca le porte del mito dei Florio, facendoci rivivere un’epoca, un mondo e un destino senza pari. Dal 25 ottobre su Disney+ (visibile anche su Sky Q e tramite la app su Now Smart Stick) la serie di 8 episodi tratta dal bestseller. La regia è di Paolo Genovese, la protagonista è Miriam Leone.

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