Addio al Presidente che voleva fare l’insegnante

All’inizio degli anni ’40, l’Italia è allo sbando. Il fascismo vive i suoi ultimi tragici momenti, il popolo è sull’orlo della guerra civile, i bombardamenti sono quotidiani. Carlo Azeglio Ciampi ha poco più di 20 anni e si è appena laureato in Lettere alla Normale di Pisa discutendo una tesi in filologia classica e letteratura greca. Il relatore è Augusto Mancini, chiamato dall’Università per sostituire Giovanni Pascoli nella cattedra di letteratura greca.

Ciampi vorrebbe proseguire gli studi umanistici, la sua  “prima vera passione”, come lui stesso ammetteva. Ci prova, nonostante la situazione attorno a lui sia al limite della sopravvivenza. Gli viene assegnata una cattedra di Lettere Italiane e Latine al Liceo Classico Niccolini e Guerrazzi di Livorno. Ma la guerra prende il sopravvento: nel 1944 si iscrive al Partito d’Azione, sceglie di aderire alla Resistenza e attraversa mezza Italia a piedi con un gruppo di partigiani. Racconta la sua esperienza in un diario personale, donato diversi decenni dopo al liceo scientifico di Sulmona, che oggi lo custodisce.

Finalmente la guerra finisce e porta un nuovo vento di speranza. Ciampi si sposa con Franca Pilla e decide di iscriversi a Giurisprudenza. Inizia così una seconda vita che lo porterà, dopo una lunga e brillante carriera, a diventare Governatore della Banca d’Italia, Presidente del Consiglio e infine Presidente della Repubblica. Un Presidente, come scriveva qualche anno fa il giornalista Emilano Liuzzi, che in realtà voleva fare l’insegnante.

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