Che cos’è l’onomatopea? E come si diversifica dall’allitterazione? Ecco il significato e alcuni esempi di utilizzo di questa figura retorica, molto utilizzata nella storia della letteratura e fonte di ispirazione anche in campo artistico e fumettistico

Significato dell’onomatopea

L’onomatopea è una figura retorica di suono la cui denominazione deriva dal greco ὄνομα, -ατος (“nome”) e ποιέω (“fare”), e che quindi significa letteralmente “creare un nome”. Questa figura retorica (a volte chiamata anche fonosimbolismo) serve a evocare un particolare suono nella modalità più facilmente distinguibile e più diretta possibile.

In particolare le onomatopee sono utilizzate per riprodurre:

  • il verso di un animale (miao, bau, chichiricchì, cra cra, zzz);
  • il suono scaturito da un’azione (etcciù, brr, ah ah, smack, sniff, snap);
  • il rumore prodotto da un oggetto (dlin dlon, crac, ciuf ciuf, clic, bang, crash).

L’onomatopea può essere composta da una sola parola o da più di una, e a volte può basarsi sulla ripetizione di un gruppo fonetico (ra ta ta ta, plin plin). Quando dall’onomatopea viene invece creata una parola vera e propria, (sostantivo o verbo, come per esempio miagolio, scricchiolio, muggire,  bisbigliare, borbottare, ronzare, ticchettio), si parla di onomatopee improprie o di parole di origine onomatopeica.

Spesso la comunicazione di un suono specifico risulta più diretta di lunghe perifrasi descrittive, per via del suo basarsi sulla sua imitazione, anche se a questo proposito è interessante notare che le onomatopee riguardanti lo stesso suono cambiano in base alla lingua in cui le si utilizza, nonostante possano dare l’impressione di essere “universali” nella loro rappresentatività. Il tentativo di imitazione varia infatti in base ai fonemi e alla grafia della lingua in questione. Basti pensare a come si modulano alcune onomatopee indicanti il verso degli animali, come per esempio miao in italiano, che si trasforma in meow in inglese.

Proprio per la loro semplicità, le onomatopee vengono legate in particolare al tipo di registro e linguaggio adatto ai più piccoli. Non per questo, però, il loro uso deve essere considerato “basso”: sono infatti molti i poeti della letteratura italiana ad averle utilizzate.

Esempi di onomatopea

Roy Lichtenstein con la sua opera Whaam!, il cui titolo è un'onomatopea

Onomatopee nell’arteRoy Lichtenstein, artista statunitense esponente della pop art, insieme a una delle sue opere più famose, il dittico “Whaam!” (1963, esposto al Tate Modern). Il dipinto imita lo stile dei fumetti, e riporta una gigantesca onomatopea che dà il nome all’opera stessa

Una particolare classe di onomatopee è quella nata e utilizzata nei fumetti, specialmente in quelli di origine americana. Le onomatopee assumono un ruolo particolarmente importante dal momento in cui si diffondono le storie di supereroi, nelle quali diventano fondamentali per la descrizione dei combattimenti. In tutti i fumetti, poi, questa figura retorica assume un ruolo primario, costituendo un testo che entra a far parte della scena stessa anziché essere inserito nelle vignette.

L’onomatopea è stata molto utilizzata anche nella poesia italiana, specialmente nelle poesie futuristiche e da Giovanni Pascoli. Ecco alcuni esempi di onomatopea in poesia:

“Dov’era la luna ? Ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?… );
e c’era quel pianto di morte…
chiù…”

Pascoli, L’assiuolo, Myricae

 

“…
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella, numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
…”

G. D’Annunzio, L’onda, Alcyone
(come abbiamo visto in questo caso si tratta di onomatopee improprie)

“…
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch……
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
…”

Palazzeschi, La fontana malata, Poemi

“…
forza che gioia vedere udire fiutare tutto
tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare
a perdifiato sotto morsi shiafffffi traak-traak
frustate pic-pac-pum-tumb bizzzzarrie
salti altezza 200 m. della fucileria
Giù giù in fondo all’orchestra stagni
diguazzare buoi buffali
pungoli carri pluff plaff impen-
narsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack
ilari nitriti iiiiiii… scalpiccii tintinnii
battaglioni bulgari in marcia croooc-craaac
[ LENTO DUE TEMPI ] Sciumi Maritza
o Karvavena croooc-craaac grida degli
ufficiali sbataccccchiare come piatttti d’otttttone
pan di qua paack di là cing buuum
cing ciak [ PRESTO ] ciaciaciaciaciaak
su giù là là intorno in alto attenzione
sulla testa ciaack bello Vampe
…”

Marinetti, Zang Tumb Tumb

Differenza tra onomatopea e allitterazione

Anche l’allitterazione è una figura retorica di suono, il cui scopo è quello di richiamare alla mente un particolare stimolo uditivo. Si distingue dall’onomatopea perché non consta di una parola, ma si crea tramite la ripetizione di una lettera o di una sillaba in un verso, in una strofa o in un’intera poesia. Ecco un esempio di allitterazione: 

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
…”

D’Annunzio, La sera fiesolana, Alcyone

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